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 2019  maggio 14 Martedì calendario

Nel palazzo delle bollette non pagate

Arriva un agente della Digos e si mette a gambe larghe sopra al tombino dell’Acea.
«Il prete s’è infilato qui?».
Non ottiene risposta. Sguardi neutri. Sul marciapiede: occupanti bianchi, italiani, anziani, occupanti neri, un paio di giovani antagonisti, fotografi, la cronista di una tivù locale. L’agente si gratta la testa, si accende una sigaretta, ci riprova.
«Voglio sapere: il prete s’è infilato qui?».
«Era un cardinale, non era un prete», dice una bambina, stringendo la sua Barbie.
Raccontano che l’elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewski, sabato sera si sia calato qui dentro per raggiungere la cabina elettrica, manomettere l’interruttore e ridare luce al palazzo occupato.
Se è vero, ha rischiato la pelle.
Se è vero, ha compiuto un reato.
L’unica cosa vera, ha spiegato lui al Corriere, è che questa povera gente non poteva più restare senza corrente.
Quattrocentocinquanta persone dentro un palazzo di otto piani – più due interrati – che fu la sede dell’Inpdap; 17 mila metri quadrati, valore commerciale di 50 milioni d’euro, che restano chiusi e abbandonati per anni, la proprietà (Investire Sgr) che medita di vendere immaginando la costruzione di un grande albergo a cinque stelle: e invece il 12 ottobre del 2013 gli antagonisti di Action assaltano e occupano, li guida il capo storico Andrea Alzetta detto «Tarzan», che si porta dietro questa folla di senza casa, di disperati, di dimenticati. Entrano, si sistemano, si organizzano.
Siamo sul confine del centro storico, all’angolo tra via Statilia e via di Santa Croce in Gerusalemme, la basilica è a trecento metri: padre Gabriele si prende subito una stanza e inizia a fare il suo lavoro di pastore; poi c’è una suora laica, Adriana Domenici.
È lei che, l’altro giorno, avverte la Santa Sede.
Occupato nel 2013
Ogni famiglia versa
un contribuito di 10 euro al mese. Il debito da 300 mila euro
Trecentomila euro di bollette non pagate, la proprietà ha invitato l’Acea a staccare la corrente, stiamo al buio e abbiamo cardiopatici, neonati, una donna attaccata al bombolone dell’ossigeno, l’acqua fredda.
L’elemosiniere polacco è un tipo tosto. Prima di calarsi nel tombino, ha chiesto di poter fare un sopralluogo nel palazzo. I ragazzi di Action e di Spin Time Labs, la costola ludica di questa realtà occupata, adesso ne autorizzano un altro.
La scena: androne con scalinata che va su, architettura anni Sessanta, pareti gonfie di umidità, bandierine colorate tipo veglione di capodanno, colpo d’occhio classico di un centro sociale. Sulla sinistra, il laboratorio teatrale e l’ufficio dove forniscono informazioni sulle richieste di alloggi comunali.
Piano rialzato: l’ufficio distribuzione alimenti e vestiario e un piccolo presidio dove, il lunedì e il giovedì, visitano medici volontari.
Primo piano: le stanze che ospitarono gli impiegati dell’Inpdap sono state trasformate in alloggi. Su ogni porta, un numero e un nome. 10: Ewere, 12: Ononuy, 7: Enrico M. (più l’adesivo con il lupetto stilizzato della Roma). Bagni comuni: i sanitari paiono abbastanza puliti, ma c’è un tanfo tremendo («Il tragico risultato di una settimana senza corrente: le pompe idrauliche alternative, che abbiamo montato a nostre spese, hanno smesso di funzionare», spiega Adriano Cava). Cucine comuni: i fornelli alimentati con bombole a gas («Lo so che è pericoloso, ma sempre meglio stare qui, che nella baracca dove stavo con i miei tre figli», dice Nerly C., 53 anni, dall’Ecuador. «Sto preparando carne e patate in padella: vuol fermarsi a pranzo con noi?»). Nel corridoio: stendini con i panni – due lavatrici per ogni piano – e poi alcuni tricicli, un pallottoliere, una scatola con le costruzioni Lego, due palloni, il poster di Eros Ramazzotti.
Dati sparsi: circa la metà degli occupanti è di nazionalità italiana (molte ragazze madri, molti anziani che, con la pensione minima, non riescono più a pagarsi un affitto); in sei anni di tribolata vita in comune tra tutte le etnie presenti sul pianeta, aborigeni ed eschimesi esclusi, solo un nigeriano deceduto per cause naturali e un marocchino suicida; ciascuno dei 170 nuclei familiari versa un contributo mensile di 10 euro («Denaro che poi investiamo nella gestione dello stabile», spiega Giovanni Lamanna, responsabile eventi).
Ecco, gli eventi: si tengono nei due piani sotterranei. Dove ci sono una specie di pub, un teatro (ricavato dalla sala congressi) e una discoteca (un tempo c’era il gigantesco archivio).
Si esibiscono gruppi come «Tetes the bois» e collettivi musicali come «La Roboterie», Myss Keta è venuta qui a tenere il suo primo concerto romano, serate danzanti con Dj Lady Maru. In una città senza spazi per sperimentare, questi sotterranei sono diventati frontiera alternativa e possibile.
Con i locali deserti e le gigantesche casse acustiche spente non si riesce ad accertare il livello dei decibel (ma non c’è traccia di insonorizzazione), ci vorrebbe un esperto per stabilire se le uscite di sicurezza sono a norma, e lasciamo stare il problema dell’alcol e della droga, che quello pure nei migliori locali di Riccione o Milano.
Dalla penombra dei sotterranei, si riemerge su un marciapiede affollato ora dalle troupe dei tigì. La casa, dice un tipo basso, con l’accento siciliano, è un diritto che non dovrebbe essere negato a nessun essere umano. Allora una giornalista chiede: va bene, e le bollette? Chi le pagherà?
Si volta uno: sai come si chiama il nostro miglior amico? Francesco. Ti dice niente questo nome?