La Stampa, 14 maggio 2019
Una mini-scossa e la memoria ritorna
Aprile 2019 è stato il mese delle scoperte neuroscientifiche. Attualmente, ogni mese è il mese delle scoperte neuroscientifiche, dato che decine di migliaia di ricercatori nel mondo, costantemente, mettono a punto nuovi strumenti e raggiungono nuove conoscenze. La stragrande maggioranza delle scoperte non viene notata al di fuori della cerchia degli specialisti. Ma a volte i risultati fanno notizia, producono speranze o inducono timori e sollevano questioni di neuroetica.
L’8 aprile è stata data notizia, «su Nature Neuroscience», che «dare corrente elettrica al cervello per 25 minuti ha invertito il declino della memoria di lavoro derivante dall’invecchiamento». I ricercatori hanno testato 42 ventenni e 42 anziani. I partecipanti indossavano cuffie dotate di elettrodi che (a volte) inviavano corrente alternata al cervello attraverso il cranio. Senza la stimolazione i più giovani erano accurati al 90% nei ricordi a breve termine, mentre gli anziani lo erano all’80%. Dopo la stimolazione questi ultimi diventano efficienti come i giovani.
Ottimo. Ma è tutto vero? È un effetto replicabile? Quella che si ottiene è una differenza rilevante? Chi vorrà mettere sul mercato la cuffia attenderà la prova che il metodo è efficace e sicuro? E quanto tempo passerà prima che la gente cerchi di costruire da sé un dispositivo di stimolazione cerebrale?. Ancora più impegnative le domande neuroetiche, se il metodo si rivela non pericoloso e potente. Quanto ci vorrà prima che qualcuno cominci a usare lo strumento per ottenere un vantaggio - a scuola, nei concorsi, sul posto di lavoro? E se funzionasse, ma fosse costoso, aumenterà le disuguaglianze?
Il 10 aprile la «Mit Technology Review» ha dato conto di un articolo pubblicato da una rivista scientifica cinese. I ricercatori hanno inserito in embrioni di macachi copie di un gene umano, il Mcph1, associato allo sviluppo del cervello. Le scimmie ne hanno una propria versione. I ricercatori hanno creato 11 scimmie dotate di copie della versione umana: solo cinque hanno vissuto abbastanza da essere testate. Queste hanno avuto punteggi migliori della media nei test di memoria a breve termine.
Non è chiaro se questa ricerca sia significativa, ma lo è l’affermazione dell’autore: «È stato il primo tentativo di comprendere l’evoluzione della cognizione umana, usando una scimmia transgenica». E non sarà certo l’ultimo tentativo. Stiamo creando primati non umani intelligenti che metteranno in discussione il nostro controllo sul mondo? Quasi certamente no, ma che dire del benessere delle scimmie? Come hanno reagito al gene? Sono diventate «più umane»?
Il 17 aprile, infine, la copertina di «Nature» ha dato rilievo alla ricerca di Nenad Sestan a Yale. I ricercatori hanno prelevato teste di maiali macellati. Quattro ore più tardi i cervelli sono stati collegati a una macchina, chiamata «BrainEx», che pompa un fluido nelle carotidi. Non è sangue, ma trasporta zucchero ed emoglobina. Si pensa che le cellule cerebrali muoiano 10 o 12 minuti dopo essere rimaste prive di ossigeno. Ma la maggior parte delle cellule dei cervelli di maiale sono sembrate rianimarsi dopo quattro ore senza ossigenazione. Per sei ore i ricercatori hanno mantenuto il cervello attaccato a «BrainEx»: le cellule hanno conservato la loro integrità, assunto zucchero e ossigeno e si sono inviate messaggi. I cervelli di maiale non hanno mostrato un’attività elettrica coordinata - i loro elettroencefalogrammi erano piatti - cosicché non si ritiene che fossero coscienti, ma il fluido che ricevevano includeva una sostanza inibitoria che impediva la scarica dei neuroni e, quindi, non sappiano che cosa sarebbe potuto accadere.
Il cervello dei maiali era vivo? I maiali erano vivi? E cosa succederebbe se un ricercatore provasse la procedura con il cervello di una persona morta? Che cosa può cambiare per le nostre definizioni di morte cerebrale? Cosa accadrebbe se il cervello mostrasse un modello coerente di attività elettrica nell’elettroencefalogramma? E quanto tempo passerà prima qualcuno provi a commercializzare un «BrainEx» per dare la possibilità ai malati terminali di diventare un «cervello in una vasca»?
8 aprile-17 aprile, un intervallo di 10 giorni, un tempo breve. Ma i risultati sorprendenti delle neuroscienze arrivano di continuo. Più apprendiamo conoscenze sul cervello - guidati dal dovere morale di prevenire e curare malattie mentali e disordini neurologici che affliggono un miliardo di persone - più emergeranno risultati sorprendenti. Organizzazioni come la Società Italiana di Neuroetica, che tiene il suo convegno a Milano, e la International Neuroethics Society cercano di trovare modi per gestire le nuove conoscenze. Ma non sono domande solo per esperti. Riguardano tutti. E tutti dobbiamo cominciare a pensarci.