la Repubblica, 14 maggio 2019
Cannes, il grande cinema che resiste
72 esima edizione, non ancora anziano quindi, visto che secondo la nuova scienza almeno noi umani entriamo nella vecchiaia a 75 anni; ma certo non più così fresco, così superbo, così necessario: eppure il Festival di Cannes che inizia oggi è come sempre combattivo, luminoso, atteso, un momento magico nel gramo presente, appena un po’ appannato ma fedele a sé stesso: grandi autori già celebri il secolo scorso, autori esotici dal Brasile, Romania, Senegal, poi in altra sezione, anche dall’Ucraina. Tutto il meglio di un mezzo, il cinema da grande schermo, che ha ingaggiato difesa, resistenza, forse anche aggressione, contro i suoi avversari: che non sono i filmoni del tipo adolescenziale che costano centinaia di milioni ma ne incassano di più, impongono la visione nelle sale e quindi l’abitudine al grande schermo dove possono intrufolarsi anche i film d’autore con qualche successo. Ma ovviamente le piattaforme di streaming, che anche quest’anno Cannes sdegnosamente rifiuta. Al contrario della Mostra di Venezia che due anni fa incluse un modesto film americano, il lancio della serie Suburra e Sulla mia pelle con la tragica fine di Stefano Cucchi prodotti da Netflix e il settembre scorso, tra altri, il sontuoso Roma di Cuarón, perfetto per le sale cinematografiche ma tuttora e forse in eterno, vedibile sulla piattaforma; in più, quasi uno schiaffo all’altezzosità di Cannes, premiato con il Leone d’Oro e poi con tre Oscar: Venezia più d’avanguardia, Cannes più tradizionale. Anche nell’obbligare il drappello geriatrico del cinema, ormai abbastanza ampio, ad arrancare sul famigerato scalone con tappeto rosso, esageratamente impervio, da cui mandare baci e salutini alla folla sottostante, ormai troppo giovane per riconoscere i grandi ottantenni di questa edizione, come Ken Loach o addirittura Alain Delon, in assoluto, un tempo, il ragazzo più bello del cinema mondiale. Poi si sa ci sono i vestiti da sera, quelle meraviglie che gli stilisti si ostinano a creare per generico amore della loro idea del bello e per miliardarie della Siberia, della Mongolia, dello Yemen; non so se ancora adesso, ma in passato per farli indossare da gran dive e gran dame al Festival, le case di moda, ma anche i gioiellieri, pagavano, con immediato annuncio della vittoria vestimentaria all’informazione. Troppe celebrità, troppi fotografi, troppi giornalisti da ogni parte del mondo, troppi aspiranti spettatori, troppi pensionati, troppe feste con troppi imbucati, troppa folla, troppa polizia, gran divertimento e gran fatica. Poi anche manifestazioni, cortei, casini: quest’anno si temono i gilet gialli, molto fastidiosi, e con ancor più spavento gli attacchi delle cinesignore che già stanno organizzando tumulti contro una selezione che in concorso ha solo 4 film di registe su 21 e non la metà come sarebbe paritario: però bisognerebbe tener conto, giusto in difesa del direttore Fremaux, che film diretti da donne ce ne è meno, e quindi se mai bisognerebbe cominciare a protestare da lì. Si immaginano anche scontri tra gli appassionati di Tarantino (la ricerca dei biglietti per la sua serata è già furibonda anche in Italia). Politici forse solo all’inaugurazione, perché poi la sera della premiazione, attesa con ansia in loco, è sabato 25, e il giorno dopo ci sono le elezioni europee, attese con paura ovunque. Il Festival di Cannes è un farmaco stordente, quando sei lì non esiste altro, il resto del mondo scompare, mentre da qui a leggere di film che non vedi e di autori e attori che dicono a circa 5000 giornalisti le stesse cose, si sbadiglia un po’. Però Piera Detassis presidente dei nostri David di Donatello assicura: “Il cinema ha un grande futuro e bisogna essere per capirlo, a Venezia e a Cannes; non solo tanti film da vedere, ma tanti di più da scoprire al mercato, nei progetti che continuano a essere una moltitudine”. In concorso c’è un solo film italiano Il traditore di Marco Bellocchio che racconta i tempi di Tommaso Buscetta e delle grandi stragi di mafia: chi l’ha visto dice che è davvero molto bello, con un protagonista, Pierfrancesco Favino, eccezionale, un film importante perché ci ricorda, nell’attuale drammatica perdita del passato, cosa fu in quegli anni lo stragismo di mafia culminato con l’assassinio di Falcone, di sua moglie e della scorta, e poi di Borsellino.