la Repubblica, 14 maggio 2019
Così l’euro ha salvato i nostri conti
La sparò grossa Giuseppe Conte, lo scorso gennaio al Forum dell’economia mondiale di Davos, accusando la moneta unica europea di averci soffocato con il debito. La sua tesi: «Il prezzo della stabilità dell’euro è stato un crescente debito pubblico». Scritto nero su bianco nel testo del suo intervento insieme alla ricetta per uscirne: «Una Ue del popolo, fatta dal popolo e per il popolo». Ma doveva essere digiuno di numeri. Gli avesse dato un’occhiata avrebbe scoperto che è successo esattamente il contrario, visto che oggi con l’euro paghiamo meno interessi di quando il nostro debito pubblico era un quarto di adesso. Al punto da dover dare ragione a chi, come il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, sostiene l’esatto contrario. E cioè che «l’euro fa sopravvivere la finanza pubblica: con la vecchia lira il debito italiano sarebbe esploso».
Patuelli è un banchiere, d’accordo, e di questi tempi figure come la sua non sono proprio le più amate da quel “popolo” che secondo i sovranisti sarebbe vittima della moneta unica e di Angela Merkel. Ma i numeri sono numeri. Parlano estremamente chiaro quelli contenuti in un paio di tabelle elaborate dalla Banca d’Italia, che ha fatto il conto della spesa gravata sul bilancio statale dal 1990 a oggi per remunerare chi ha comprato i nostri titoli pubblici.
Scopriamo così che nel 2018 abbiamo pagato 64,9 miliardi di euro di interessi su un debito pubblico di 2.316,7 miliardi, cifra che corrisponde a un tasso del 2,80%. Ed è inferiore di quasi 6 miliardi ai 70,7 miliardi di euro corrispondenti alla moneta dell’epoca versati gli investitori nel 1990, quando il debito raggiungeva in lire l’equivalente di 667,8 miliardi di euro. Poco più di un quarto, appunto, dell’attuale. Il tasso, allora, era valutabile nel 10,58 per cento.
Se dunque l’Italia fosse ancora in quelle condizioni il costo per il servizio del debito, come si definisce in gergo tecnico, non sarebbe stato nel 2018 di 64,9 miliardi, ma di ben 245. E anche se la situazione si fosse cristallizzata alla fine del 2001 ( prima dell’ingresso nell’euro, con tassi dell’ordine del 5,80 per cento) avremmo comunque speso più del doppio: 134 miliardi contro 64,9. Dimostrazione che sulla moneta unica, da Carlo Azeglio Ciampi sempre chiamata “moneta comune”, si possono avere tutte le opinioni. Anche quelle più critiche, per com’è stata edificata e gestita: altra cosa, però, è raccontare frottole sugli effetti per il nostro bilancio pubblico.
Ma le tabelle della Banca d’Italia rivelano anche la pericolosità della crescita dell’ormai famoso spread fra Bund e Btp, cioè il differenziale di rendimento fra i titoli di stato tedeschi e quelli italiani. Spauracchio che il Movimento 5 stelle «non teme, perché finalmente il governo del cambiamento va incontro alle esigenze dei cittadini», giura il capogruppo grillino alla Camera Stefano Patuelli. E che Matteo Salvini promette addirittura di «mangiare a colazione». Salvo però rischiare che gli rimanga sullo stomaco. Basta vedere che cosa è accaduto qualche anno fa. Nella seconda metà del 2011, c’era al governo Silvio Berlusconi e impazzava la crisi mondiale, lo spread salì in un solo mese ( luglio) da 183 a 389 punti base per toccare il 9 novembre il record assoluto: 574. Una settimana dopo arrivò Mario Monti, ma ci volle più di un anno per farlo tornare sotto quota 300. E non restò altro da fare che leccarsi le ferite. Nel 2011 gli interessi su un debito di 1.908 miliardi balzarono a 76,8 miliardi, ovvero 7,6 in più rispetto al 2010. Per impennarsi ancora fino a 83,6 miliardi l’anno seguente. Ovvero una ventina di miliardi più di oggi. Ragion per cui non c’è da illudersi: con lo spread rimasto a livelli elevati per due terzi del 2018 il costo degli interessi nel 2019 certamente sarà più alto. E né Conte, né i suoi vice Salvini e Luigi Di Maio potranno chiamare in causa la sorte come fece Berlusconi a Italia Domanda su Canale 5 nel gennaio 2013: «Quel che è successo con la febbre del mercato finanziario non è dipeso dal mio governo».
Del resto, mentre in quel maledetto 2011 il debito al 116,5 per cento del Pil insidiava il precedente record storico del 117,3 raggiunto nel 1994, anno del suo primo governo, il Cavaliere aveva anche scaricato tutta la responsabilità del medesimo debito sul compromesso storico. «Un’eredità pesantissima che ci viene dagli anni Settanta e fino al 1992», stigmatizzò convinto. Senza però aggiungere che negli oltre nove anni della sua permanenza a palazzo Chigi (esattamente 3.339 giorni), si erano prodotti sempre secondo le tabelle della Banca d’Italia oltre 500 miliardi di debito pubblico. Fino a quel momento, più di un quarto del totale.