13 maggio 2019
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Biografia di Mark Zuckerberg
Mark Zuckerberg (Mark Elliot Z.), nato a White Plains (New York, Stati Uniti) il 14 maggio 1984 (35 anni). Informatico. Imprenditore. Cofondatore, presidente e amministratore delegato di Facebook. Secondo l’ultima classifica ufficiale della rivista Forbes (aggiornata al 4 marzo 2019), ottava persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto di 62,3 miliardi di dollari • Famiglia ebraica • Secondo (e unico maschio) dei quattro figli di un dentista e di una psichiatra. «La storia comincia […] a Brooklyn, dove il dottor Ed Zuckerberg, allora poco più che ventenne medico odontoiatra appassionato d’informatica, decide di installare nell’ambulatorio appena aperto un computer Atari 800 per gestire meglio il suo lavoro. Il pc diventa subito indispensabile per schedare i clienti dello studio, scrivere la corrispondenza e tenere la contabilità, ma viene dopo qualche anno sostituito con un più moderno Ibm. Nel frattempo lo studio si sposta da Brooklyn al piano terra della casa di Dobbs Ferry, dove già abita la famiglia Zuckerberg, e Ed può finalmente smettere di fare il pendolare. E, quando l’adolescente Mark Zuckerberg comincia a metà degli anni ’90 a dimostrare interesse per la materia, è proprio su quel vecchio Atari – mai buttato via – che inizia a far pratica come programmatore. La sua prima creazione importante si chiama "Zucknet": è un programma che consente di trasmettere informazioni da una stanza all’altra dello studio dentistico di famiglia e che viene adottato anche in casa Zuckerberg, soprattutto dalle sorelle di Mark, che tramite esso possono scambiare chiacchiere e confidenze da teenager restando ognuna in camera propria» (Anna Zippel). «Studente modello, […] a scuola collezionava premi di matematica, astronomia e fisica, e inanellava straordinarie performance in latino e greco (famose le sue recite dell’Iliade)» (Marina Valensise). «Il giorno del suo bar mitzvah (a 13 anni) riuscì a imporre ai riottosi genitori che la musica per la cerimonia fosse la colonna sonora di Guerre stellari» (Alberto Flores D’Arcais). «Al liceo, insieme al suo compagno di banco Adam D’Angelo, […] aveva inventato come ricerca scolastica un lettore mp3 (un iPod) capace di capire i comportamenti di ascolto di chi lo usava. La Microsoft gli offrì 950 mila dollari per averlo: lui rispose di no, che preferiva andare all’università. Entrò a Harvard» (Mario Calabresi). «David Kirkpatrick di Fortune ha scritto Effetto Facebook: la storia segreta della compagnia che sta connettendo il mondo spinto e indirizzato dallo stesso Zuckerberg. […] Scrive senza freni nel suo diario quello studente venuto da Dobbs Ferry, New York: "Quella ragazza (c’è il nome, ma oggi è censurato) è una puttana. Ho bisogno di pensare a qualcosa da fare, ho bisogno di liberarmi la mente di lei". Sì, il sito più amato del mondo, quello che reclama migliaia di amici, nasce così: da un momento di spassionatissimo odio. Se gli uomini, e soprattutto le donne, pensa Mark, sono capaci di fare un male da bestia, perché non mettere a confronto tutti i ragazzi e le ragazze, in questo caso quelli del college, con qualche bell’animaletto? Basterebbe mettere le immagini sul sito e fare cliccare… Sbollita l’arrabbiatura per la sua bella, Mark capì che, forse, l’idea di far gareggiare uomini e bestie era un po’ troppo hard. Ma perché rinunciare alla gara? Chi è la più bella? Chi è il più bello? Nasce così l’antenato di Facebook, Facemash, partorito nella Suite H33 della Kirkland House, lì ad Harvard. Ma qui nasce anche il primo problema: dove trovare nomi cognomi e immagini degli studenti? Su quei piccoli archivi che ogni casa dello studente conservava e che chiamavano, guarda caso, "facebooks", con quelle foto tessere che una volta finite in rete rendevano al gioco un effetto agghiacciante. Dice Effetto Facebook: "Zuckerberg furbescamente trovò il modo di ottenere le copie digitali da nove delle 12 case di Harvard. Il giornale studentesco Harvard Crimson la definì letteralmente ’computer guerrilla’. Nella maggior parte dei casi Mark entrò come un hacker sul sito web. Alla Lowell House un amico gli fornì la password per entrare (cosa per cui dopo chiese scusa). In un altro caso Mark sgusciò nell’appartamento, infilò una cavo ethernet nel muro e cominciò a scaricare quante più foto e nomi poteva dal computer". […] Nel giro di poche ore il sito era stato visitato da centina di studenti che avevano votato la bellezza di 22 mila coppie di foto. E il boom era partito grazie all’elezione di un ragazzo gay, che – segnalato come il più bello – aveva subito allertato una catena di amichetti che aveva fatto quasi saltare il sistema. Naturalmente Mark finì davanti a una commissione disciplinare. Ma a leggere la biografia niente e nulla avrebbe potuto frenare questo genietto» (Angelo Aquaro). Infatti, con la collaborazione di alcuni compagni di facoltà, pochi mesi dopo, il 4 febbraio 2004, Zuckerberg lanciò Thefacebook (poi rinominato Facebook), «dalla sua stanza nel dormitorio. Il decollo del sito ha una progressione incredibile. Parte con Harvard, si allarga agli studenti di Yale, Columbia e Stanford, poi a quelli di tutte le università che fanno parte della Ivy League – le più antiche e prestigiose d’America – e in tre mesi raggiunge anche le scuole superiori dell’area di Boston. In soli due anni ha sette milioni di membri e raggiunge duemilacento università e ventiduemila licei. È la primavera del 2006. In autunno si rompe il tabù: non più solo studenti. Si apre ai luoghi di lavoro, a gruppi di amici che si raggruppano per aree geografiche o intorno a particolari temi o hobby. In un attimo gli utenti sono dieci milioni. […] La sua fortuna è stata quella di intuire per primo che l’idea di costruire un sito internet dove i ragazzi delle università potessero fare amicizia, discutere, scambiarsi foto, consigli, e raccontarsi le loro vite, i loro sogni e l’ultimo pettegolezzo era giusta e vincente» (Calabresi). La piattaforma suscitò presto l’interesse delle maggiori società informatiche, che non tardarono ad avanzare offerte d’acquisto sempre più generose: Zuckerberg, però, le declinò tutte, consolidando sempre più il suo successo personale (simbolicamente coronato nel 2010 dalla sua elezione quale «persona dell’anno» sulla copertina di Time), grazie alla continua crescita di Facebook, che giunse a quotarsi in Borsa nel febbraio 2012 e a oltrepassare nel luglio 2017 i due miliardi di utenti attivi. Nel corso degli anni, tuttavia, la popolarità del sito e di Zuckerberg hanno vissuto fasi alterne. «È cambiata la visione che abbiamo di una piattaforma che per molti anni è stata considerata il luogo che avrebbe permesso all’informazione di viaggiare libera, a persone sparse in tutto il mondo di mantenere in vita i loro legami, ad attivisti (e anche dissidenti nei regimi autoritari) di organizzarsi politicamente e addirittura di rovesciare le dittature. Se il 2011, con le Primavere arabe organizzate sui social network, segna l’apice di questa visione utopistica di Facebook, il 2016 marca invece il momento in cui la parabola discendente accelera sempre di più. Tutto comincia quando inizia a farsi largo il sospetto (sostenuto da molti studi ma contestato da altri) che la creatura di Mark Zuckerberg sia una delle cause che hanno portato all’elezione di Donald Trump. E che, negli stessi anni, abbia favorito l’avanzata dei populismi di destra culminata nella Brexit, nel trionfo della “bestia” di Salvini e nella vittoria di Bolsonaro in Brasile» (Andrea Signorelli). «La società si è mostrata facile preda dei troll russi che hanno cercato di influenzare, a favore di Donald Trump o per screditare le istituzioni, le elezioni americane del 2016 – e poi anche del 2018. Fasulli account, hanno dimostrato inchieste giornalistiche e congressuali, sono stati creati dalla Internet Research Agency di Mosca, legata al Cremlino, per diffondere la sua agenda attraverso numerosi social media e piattaforme internet, tra cui un ruolo cruciale lo ha svolto Facebook. […] Lo scandalo ha portato alla luce le violazioni della privacy. […] La vicenda è esplosa agli inizi del 2018, quando inchieste giornalistiche hanno esposto la raccolta irregolare, cioè senza adeguato consenso, di dati di ben 87 milioni di americani da parte della società Cambridge Analytica, che era stata assunta da Trump per aiutare la sua campagna elettorale. Facebook, è affiorato, era intervenuta tardi e poco per fermare le violazioni. […] Ma gli scandali sulla privacy hanno continuato ad aggravarsi. […] Il New York Times ha portato alla luce accordi segreti per la condivisione di informazioni e dati sugli utenti con altre grandi aziende tecnologiche, da Microsoft a Amazon, da Netflix a Spotify e Yahoo. Netflix e Spotify potevano ad esempio leggere anche i messaggi privati tra utenti. Microsoft, con il suo motore di ricerca Bing, accedere ai nominativi di tutti gli “amici” di un utente senza il consenso. […] Altrettanto gravi e forse ancora più preoccupanti per il futuro sono state le reticenze dell’azienda. […] Facebook è parsa sempre rincorrere gli scandali, senza mai fornire sufficienti dettagli e assumersi adeguate responsabilità» (Marco Valsania). Nell’aprile 2018, Zuckerberg ha dovuto rispondere personalmente dello scandalo al cospetto del Congresso statunitense, i cui membri si sono tuttavia rivelati inadeguati a incalzarlo, dimostrando scarsa conoscenza del fenomeno. «Mark Zuckerberg è uscito trionfante dalle interrogazioni parlamentari almeno quanto il titolo di Facebook, in significativo aumento durante la due giorni al Congresso. Eppure il fatto stesso che l’icona di tutte le promesse della Silicon Valley sia infine dovuto salire a Capitol Hill e rispondere sotto giuramento alle domande – spesso ridondanti, talvolta surreali – dei rappresentanti del popolo americano è il segno di un tempo fatto di paura e sospetti verso i grandi della tecnologia. Non è da oggi che il sogno del mondo nuovo che promana dal settore tech è diventato un incubo agli occhi degli utenti. Google, Facebook, Amazon & Co. promettevano liberazione e hanno dato controllo, sbandieravano emancipazione e hanno offerto schiavitù, volevano promuovere la vita e si sono trovate con i suicidi live, esaltavano la democrazia e ci hanno dato i troll russo-trumpiani. […] L’età dell’innocenza digitale è un ricordo remoto, ancestrale. In questo clima, le interrogazioni di Zuckerberg sono diventate, almeno visivamente, il primo atto formale di un epocale processo culturale alla valle delle meraviglie, ormai declassata a valle delle disillusioni» (Mattia Ferraresi ed Eugenio Cau). Da ultimo, Zuckerberg ha proclamato a più riprese la sua intenzione di preservare la riservatezza degli utenti (giungendo a dichiarare «Il futuro è privato»), senza tuttavia risultare ai più pienamente convincente. «Mark Zuckerberg […] è nel pieno della ritirata tattica. Dopo due anni trascorsi a chiedere scusa per gli infiniti scandali che hanno riguardato il suo social network – scuse accompagnate da promesse di “metteremo tutto a posto”, che hanno allontanato le azioni legislative e consentito a Facebook di prendere tempo –, Zuckerberg sta ribrandizzando il suo prodotto: mette lo stesso oggetto in una scatola nuova con scritto “privacy”, nella speranza che tutto passi. […] Infatti, Zuck è nel pieno di quello che vorrebbe far sembrare un cambiamento epocale per Facebook: dapprima ha detto che vuole concentrarsi a costruire un social network tutto dedicato alla privacy, poi […] ha invocato nuove regole per internet, nessuna delle quali costituirebbe un problema serio per Facebook. L’intenzione è quella di indirizzare il discorso dei legislatori il più lontano possibile dalle opzioni pericolose per il social network, in particolare le azioni dell’Antitrust. In mezzo a queste proposte ci sono alcune azioni efficaci, come per esempio le nuove regole sulla sicurezza elettorale, ma la gran parte degli annunci di Facebook serve a fare da cortina fumogena. Come ciliegina, in un’intervista concessa a Mathias Döpfner, il ceo di Axel Springer che è uno dei critici più feroci dei social network e che ha fatto da portabandiera nella battaglia a favore della legge Ue sul copyright, Zuckerberg ha promesso di prendere in considerazione la creazione di una nuova sezione di Facebook in cui il social network pagherà per le “notizie di qualità”. Promettere denaro facile ai giornali dopo aver distrutto il loro modello di business: ecco un buon modo per riottenere il favore dei media» (Cau) • «Un paio di cause legali […] sono state intentate a Zuckerberg dall’ex amico e socio Eduardo Saverin, estromesso dalla società dopo essere stato al principio l’unico finanziatore, e dai gemelli Winklevoss, nerboruti figli di papà seriamente convinti di essere stati i primi ideatori del social network. Zuckerberg pagherà tutti: è ormai talmente ricco da potersi permettere d’essere generoso con l’invidia del prossimo» (Curzio Maltese) • «Nel corso della sua storia durata 15 anni, Facebook ha comprato decine, forse centinaia di aziende. […] Ma, in questa continua fagocitazione di startup, alcune acquisizioni sono più importanti delle altre. […] Per Facebook sono tre: WhatsApp, Instagram e Oculus. Di queste, le prime due sono all’origine di prodotti noti: si potrebbe dire, anzi, che in ottica futura WhatsApp e Instagram diventeranno per Facebook più importanti del prodotto principale e originario, il social network da cui tutto prende il nome. WhatsApp potrebbe essere trasformata in una super-app per fare acquisti e ordinare cibo da asporto come è WeChat in Cina; Instagram detiene la chiave del segmento demografico più promettente e pronto all’acquisto: i giovani. Oculus è una divisione più defilata, ma altrettanto importante: progetta occhialoni per la realtà virtuale e la realtà aumentata, che per ora sono ingombranti e fanno sembrare imbranato chi li indossa, ma potrebbero aprire a Facebook mercati miliardari come quello dei videogiochi – inoltre molti analisti ritengono che la realtà virtuale potrebbe presto mantenere le promesse e diventare un prodotto vero, che sarà usato per interagire con il prossimo e fare acquisti in supermercati fatti di bit. Quando una grande azienda fa un’acquisizione strategica, […] i fondatori della startup comprata […] spesso vengono messi a capo della loro vecchia startup, all’interno del più grande corpaccione dell’azienda madre. È successo così per Brian Acton e Jan Koum di WhatsApp, per Kevin Systrom e Mike Krieger di Instagram e per Brendan Iribe e Palmer Luckey di Oculus. Ma c’è un problema. Tutti questi fondatori-colleghi hanno abbandonato Facebook nel giro di pochi mesi. […] Om Malik, venture capitalist e analista di cose tecnologiche, ha scritto che è perfettamente comprensibile che i fondatori se ne vadano da Facebook: “Come abbiamo imparato più e più volte, dentro a Facebook c’è un solo re. E ci sarà sempre un solo re”. […] Eppure, dopo tutti questi addii, la frase si può ribaltare: il re è solo. È solo perché è l’unico che prende le decisioni, e perché una buona parte di coloro che avevano la possibilità di contrastarlo, i fondatori che avevano una certa autorevolezza sulle app originarie, se ne sono andati o sono stati mandati via. Essere l’unico sovrano dell’impero è l’obiettivo di tutti i grandi capitani d’industria, e di certo a Zuckerberg non se ne può fare un torto. C’è anche un altro vantaggio nell’aver eliminato i fondatori: se un giorno la scure della regolamentazione dovesse cadere su Facebook, e l’azienda principale dovesse essere separata da WhatsApp e da Instagram e da Oculus, sarebbe più difficile rendere i vari tronconi indipendenti senza i loro vecchi leader» (Cau) • Sposato dal 2012 con la pediatra Priscilla Chan, conosciuta ai tempi di Harvard, da cui ha avuto due figlie, Maxima detta Max (2015) e August (2017). «Priscilla Chan, nel passaggio da storica fidanzatina a moglie di miliardario della Silicon Valley, ha voluto mettere nero su bianco un obbligo di tipo, diciamo, affettivo: la coppia dovrà fare sesso almeno una volta a settimana» (Elena Castagni) • In quanto amministratore delegato di Facebook, Zuckerberg percepisce un compenso simbolico di un solo dollaro. Alla nascita della prima figlia, inoltre, i coniugi Zuckerberg si sono impegnati a devolvere in beneficenza il 99% delle loro quote di Facebook (il cui valore era allora stimato in 45 miliardi di dollari) • A lungo ritenuto ateo, nel 2016 Zuckerberg dichiarò: «Sono cresciuto ebreo e poi ho passato un periodo in cui mi sono posto domande su molte cose, ma adesso credo che la religione sia molto importante». «Non è un mistero che la moglie del fondatore di Facebook sia una buddista praticante, una religione per cui […] Zuckerberg ha mostrato un certo interesse. Durante una visita alla Pagoda della Grande Oca Selvatica (tempio buddista e simbolo della città di Xi’an in Cina) nel 2015 si fermò a pregare per alcuni minuti insieme alla moglie. […] Aveva avuto l’occasione di incontrare papa Francesco durante un viaggio con la moglie a Roma. “Abbiamo detto al Papa quanto sia di ispirazione per noi il suo messaggio di grazia e tenerezza”, aveva scritto allora sulla sua pagina Facebook, “sicuramente si tratta di un incontro che non dimenticheremo. Siamo riusciti a percepire il suo calore e la sua gentilezza, oltre a comprendere quanto riesca a prendersi cura delle persone”. Ebraismo, buddismo o cattolicesimo, una cosa è certa: Zuckerberg è di nuovo un credente» (Flores D’Arcais) • «Non mette mai le calze, la cravatta o una giacca [fece però eccezione in occasione delle audizioni al Congresso – ndr]. Vive in sandali, maglietta e jeans. […] La sua favola è certamente figlia del coraggio e di un’intraprendenza non comune, ma anche di un Paese in cui ci sono persone che scommettono sugli esordienti. Nella Silicon Valley, Mark ha trovato banchieri e finanziatori che hanno investito milioni di dollari sull’idea di un ragazzo dell’università che si presentava senza calze e con la felpa con il cappuccio» (Calabresi). «I media si occupano di lui da 15 anni, ma non ci sono profili che lo descrivano in maniera compiuta, e nessuno s’è mai fatto avanti per dire: io lo conosco. La sua più fidata collaboratrice è Sheryl Sandberg, coo dell’azienda, che ha 15 anni più di Zuckerberg e dentro a Facebook gioca un ruolo di supervisore, di persona-adulta-nella-stanza. A scorrere i profili Facebook di Mark e Sheryl, non ci sono foto dei due che prendono una birra assieme in un momento di amicizia. A scorrere il profilo di Mark, non ci sono foto di lui che prende una birra, un bicchiere d’acqua o un succo di frutta con nessuno. Nel 2010 il film The Social Network, scritto da Aaron Sorkin, dipingeva Zuckerberg come un genio sociopatico freddo e calcolatore, incapace di stabilire rapporti umani. Zuck all’epoca aveva 25 anni – 24 quando fu scritto il libro da cui è tratto [Ben Mezrich, Miliardari per caso. L’invenzione di Facebook: una storia di soldi, sesso, genio e tradimento, Sperling & Kupfer 2010 – ndr] –, era un ragazzino timidissimo e impacciato a capo di un’azienda che era ancora una grossa startup, che assomigliava più a un fenomeno culturale e a un gioco per ragazzi che a un vero business. Sorkin, allora, fu molto poco generoso nel vedere freddezza dove ancora poteva esserci soltanto immaturità. Oggi però le cose sono cambiate, per Zuckerberg e per Facebook. L’azienda è una delle prime cinque del mondo, è un gigante che si espande su tutto il globo e determina in maniera consistente la vita di miliardi di persone. Facebook è uscito dalla bolla ed è diventato una forza con cui fare i conti anche nel mondo reale, e non sempre questa forza è stata benefica, come dimostrano gli effetti dannosi che il social network ha avuto sulla politica, sul giornalismo, nei paesi emergenti. Facebook è diventato un’azienda matura. […] Zuckerberg, invece, non è mai riuscito a scrollarsi di dosso l’impressione di essere ancora quello di The Social Network. È l’uomo che ha convinto mezzo mondo a cedere la propria privacy, ma, quando ha comprato la sua residenza a Palo Alto, dopo aver speso 7 milioni di dollari per casa sua ne ha spesi altri 44 per comprare tutte le ville attorno, così da avere più privacy e sicurezza. È l’uomo che ha spinto miliardi di persone a condividere la propria vita online, ma non condivide quasi niente di sé: le foto del suo profilo Facebook sono tutte strette di mano con capi di Stato, conferenze e qualche scenetta di vita famigliare molto ben coreografata. […] Mark Zuckerberg è la personalità più privata di tutta la Silicon Valley. Proprio lui che ha rivoluzionato in tutto il mondo il concetto di ciò che è privato» (Cau).