Il Sole 24 Ore, 13 maggio 2019
Immigrati, cresce il reddito ma pesa il sommerso
Gli immigrati pagano il 4,3% dell’Irpef, cioè 7,9 miliardi. È un contributo tutto sommato modesto se rapportato al loro numero (3,8 milioni di contribuenti). Ma dipende dal fatto che quasi metà di loro dichiara appena 3.760 euro di reddito complessivo annuo. E la media – che pure include tedeschi, francesi e svizzeri – non arriva a 13.700 euro. I dati elaborati dalla Fondazione Leone Moressa per Il Sole 24 Ore del Lunedì fotografano una situazione con molte ombre e qualche luce.
Partiamo dalle luci. Tra l’anno d’imposta 2010 e il 2017 il reddito dichiarato dai contribuenti nati all’estero è cresciuto del 17,3% in termini reali, cioè a parità di potere d’acquisto. E anche l’Irpef è aumentata di pari passo. Il grosso di questo incremento, però, dipende da un allargamento della platea dei dichiaranti (+15,8%). Da un lato, quindi, gli occupati stranieri in regola sono aumentati dal 2015, dopo la fase più dura della crisi. Dall’altro lato, però, il reddito medio rimane bassissimo. È vero che secondo l’Isfol il 48,2% degli immigrati in regola svolge lavori non qualificati (e quindi poco pagati), ma le cifre sono così modeste da far pensare che molti siano assunti per meno ore di quelle effettive o dichiarino solo alcuni dei rapporti in corso.
D’altra parte, il reddito “in chiaro” risente dell’evasione anche per i contribuenti nati in Italia, che nell’anno d’imposta 2017 hanno dichiarato in media 21.406 euro. Con il paradosso che il reddito degli stranieri residenti in Lombardia supera quello degli italiani che vivono in diverse regioni del Sud (Calabria, Molise, Basilicata e Puglia). Un dato su cui incide in modo trascurabile la presenza di manager stranieri nelle imprese lombarde.
Il peso del nero
Tra i 5,1 milioni di immigrati regolari censiti dall’Istat al 1° gennaio 2018, il fenomeno dell’evasione “parziale” pare più diffuso del nero totale. Anche per la necessità di chiedere o mantenere il permesso di soggiorno. Di fatto, se si tolgono i minorenni (il 20,2%) e gli anziani (4%), il numero degli adulti regolari combacia con quello dei contribuenti rilevato dalla Fondazione Moressa.
Al contrario, il lavoro nero “totale” si concentra tra gli irregolari. Lo confermano le stime e i dati ufficiali disponibili, per quanto parziali. Nel libro bianco sul lavoro domestico presentato nei giorni scorsi da Assindatcolf si descrive «un settore con un altissimo livello di lavoro irregolare», con 1,3 milioni di colf e badanti senza contratto. Spesso prive di permesso di soggiorno. Un numero più alto di quello delle lavoratrici domestiche note all’Inps, 865mila nel 2017, di cui oltre un quarto ucraine, moldave e polacche (tre nazionalità in cui le donne costituiscono oltre il 60% dei contribuenti). E le ombre non si fermano qui.
Molti dei settori in cui il ministero del Lavoro registra la più elevata presenza di immigrati corrispondono con quelli in cui l’Istat stima la maggior incidenza di sommerso. Tre esempi su tutti: nelle costruzioni c’è il 16,6% di occupati stranieri e il 22,7% di sommerso stimato; negli alberghi e ristoranti, rispettivamente, il 18,5 e 23,7%; in agricoltura il 16,7% di addetti stranieri e il 16,4% di incidenza del lavoro nero.
Gli interventi necessari
È una situazione che imporrebbe rapide contromisure: controlli, incentivi e semplificazioni burocratiche per favorire l’emersione e la corretta qualificazione dei rapporti. L’indagine Isfol sui lavoratori stranieri rileva che il 47,1% degli irregolari ha chiesto un contratto, ma se l’è visto negare, e che il 57,9% avrebbe paura di perdere il posto in caso di denunce.