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 2019  maggio 13 Lunedì calendario

Il Tour in bici di Lawrence d’Arabia

Questa è una storia di ciclismo, a suo modo: sono i giorni giusti per raccontarla, il Giro d’Italia oggi affronta la terza tappa che parte da Vinci, in onore di Leonardo. Il protagonista è un giovane britannico, schivo, all’apparenza mingherlino, non molto alto (un metro e 63), però in bicicletta è forte e resistente. Il giovane, in realtà, si chiama Thomas Edward Lawrence. Sì, quel Lawrence. Non ancora Lawrence d’Arabia.
Il nostro Lawrence frequenta il Jesus College. Studia storia e archeologia. Il padre gli inculca la passione delle due ruote. Il suo animo avventuroso – che diventerà avventuriero – si forma pedalando. La prima bici gliela regalano nel 1901. La seconda, una splendida Morris modello 1906, se la fa allestire dal geniale William Richard Morris che ha bottega ed officina (Cycle Market) al 48 della Oxford High Street, ed ha cominciato la sua attività con un capitale di…4 sterline. Smetterà di produrre biciclette nel 1908 per passare alle moto e poi alle autovetture. Il marchio della Mini. Diventato, per meriti industriali e patriottici, Lord Nuffield, non rammenterà mai di aver preparato quella “special” per il futuro Lawrence d’Arabia. Al contrario dei compagni di scuola, che invece se lo ricorderanno bene: “Era davvero fiero della Morris speciale: pareva addirittura un’estensione della sua personalità”.
In effetti, lo stesso Lawrence ne vanterà le particolari caratteristiche: telaio a diamante (inventato da da Henry Lawson nel 1877, che tuttora usiamo) robusto, ma leggero. Pesa appena 7,5 chili, per l’epoca un exploit tecnico. La Gran Bretagna, in quegli anni, è infatti all’avanguardia nell’industria ciclistica, concentrata tra Coventry e Birmingham. Lawrence ha fatto montare un manubrio da corsa e un deragliatore che gli consente tre differenti velocità e che lo agevola nelle salite.
La inforca e comincia a sognare il suo grand tour a pedali. È affascinato dalle trame della Storia. Propone una tesi: “L’influenza delle Crociate sull’architettura militare dei Franchi in Europa e nel Vicino Oriente”. Vuole sviscerare l’arte di assediare le città. La Francia è il suo primo terreno di caccia. In bici ci va nel 1906 e nel 1907. Ma la prova più ardimentosa inizia martedì
14 luglio 1908, quando sbarca a Le Havre dal vapore “Vera”, sorreggendo la preziosa Morris. Il comandante Howe gli augura buona fortuna.
Il giorno prima è scattato il sesto Tour de France. I “forzati della strada” hanno lasciato Parigi diretti a Roubaix, 272 chilometri di polvere e pavé infami. Ha vinto il francese Georges Passerieu detto “l’inglese di Parigi” perché nato a Londra. Ottimo pistard, fulminante in volata. La Francia festeggia il 14 luglio e il Tour riposa: la corsa prevede altre 13 tappe per 4.488 chilometri. Trionferà per la seconda volta Petit-Breton. Il piano di Lawrence è altrettanto ambizioso. Prevede il Massiccio Centrale, l’Est e l’Ovest. Vuole saggiare le pendici dei Pirenei, prima del Sud.
Nell’aspra salita di Le Puy, soffre, tiene duro e scollina orgoglioso dei suoi “bicipiti”. Si tuffa in discesa verso la vallata del Rodano. Ad Arles visita il chiostro di Saint-Trophime, di “una bellezza assolutamente inimmaginabile”. Oltre la vicina abbazia di Montmajor, scorge per la prima volta il Mediterraneo. Da buon allievo di Oxford, cita con enfasi Senofonte, “thalassa thalassa”. Percepisce il suo destino: “Ho infine raggiunto la strada del Mezzogiorno e di tutto il glorioso Oriente (…) è necessario che io vada oltre, più lontano”. Lo farà.
Detesta i cani, nemici dei ciclisti. Odia le zanzare che a Cahors l’hanno divorato (gli ricordano i tormenti del Prometeo incatenato di Eschilo). Il 16 agosto arriva a Châlus, nel Limousin: “Non capita tutti i giorni di compiere vent’anni dove fu colpito a morte Riccardo Cuor di Leone”. Alloggia all’hotel du Midi. Quella sera scrive due lettere, una all’amico Scroggs Beeson, l’altra alla madre. Elogia le virtù di re Riccardo, grande stratega, ingegnere e guerriero. A Châlus, nell’agosto del 2009, Raymond Poulidor, il corridore che non ha mai vinto un Tour ma è il più amato dai francesi, porrà una targa commemorativa del soggiorno di Lawrence. Che concluse il suo Tour dopo 4mila chilometri, il 5 settembre, “100 miglia al giorno, con punte oltre le 150” annotò. L’individualismo rivendicato – da inglese più inglese degli inglesi – prefigurò la tendenza che prevalse per decenni nel ciclismo britannico, patria di corridori essenzialmente solitari e non a caso specialisti delle prove individuali, uomini che preferivano di gran lunga le sfide a tempo di record che non mettersi dentro un plotone di gregari. Chris Boardman, David Millar o Bradley Wiggins sono in fondo gli eredi del Lawrence in bicicletta, prestigioso servitore della “petite reine” (la bici, come viene chiamata in Francia) e della “grande reine”, la Gran Bretagna.