Corriere della Sera, 13 maggio 2019
Battisti chiede di ridurre la pena a 20 anni
Ai giudici che devono decidere il suo destino Cesare Battisti chiede non solo di far valere l’accordo di estradizione tra Italia e Brasile, sebbene l’ex militante dei Proletari armati per il comunismo sia arrivato dalla Bolivia, ma anche di ricalcolare la pena che deve scontare, sulla base di quello stesso patto. Con una nuova memoria alla Corte d’assise d’appello di Milano che si riunirà il 17 maggio, l’avvocato Davide Steccanella che assiste l’ex terrorista condannato a due ergastoli per quattro omicidi commessi tra il 1978 e il 1979, ha depositato la lettera originale con cui l’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando, il 6 ottobre 2017, ha dichiarato «di accettare le condizioni indicate dalle Autorità brasiliane, garantendo che il tempo massimo di esecuzione della pena inflitta non supererà nella sua effettività 30 anni di reclusione, e che il periodo di detenzione sofferto dall’estradato in Brasile ai fini della procedura di estradizione sarà computato nella pena da eseguire in Italia».
Nelle premesse il ministro spiega che «la commutazione dell’ergastolo in 30 anni di reclusione non si pone in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento giuridico italiano», visto che l’uscita dal carcere è contemplata dalle nostre leggi anche per i condannati a vita. E la firma digitale del Guardasigilli in calce a quel documento – apposta in quanto competente «a decidere in ordine all’accettazione delle condizioni eventualmente poste da uno Stato estero per concedere l’estradizione» – rappresenta, per la difesa, il sigillo su un’intesa diplomatico-giudiziaria che dev’essere rispettata.
Su questo presupposto l’avvocato Steccanella calcola che ai trent’anni di galera vanno sottratti un anno, 9 mesi e 15 giorni scontati da Battisti in Italia tra il 1979 e il 1981, prima dell’evasione; 3 mesi e 28 giorni trascorsi in una prigione francese in due diversi periodi, nel ’91 e nel 2004; 4 anni, 2 mesi e 23 giorni di «detenzione sofferta in Brasile per fini estradizionali»; 3 anni di indulto accordati dall’Italia nel 2006. Totale: 9 anni, 4 mesi e 6 giorni; pena residua: 20 anni, 7 mesi e 24 giorni. Un conto aritmetico che, pur applicato a un recluso di 64 anni entrato in cella da appena quattro mesi che solo dopo l’arresto ha ammesso le proprie responsabilità per gli omicidi commessi e le condanne subite, può cambiare le prospettive del detenuto.
Il problema, però, è che Battisti non è stato rispedito in Italia dal Brasile bensì dalla Bolivia, dove è stato arrestato il 12 gennaio scorso. Con un provvedimento di espulsione che però, contesta il difensore, non ha rispettato nessuna delle regole previste in quello Stato (avviso con interprete, tre giorni per il ricorso, cinque per la risposta, restituzione da parte dell’ufficio immigrazione al «Paese di provenienza», cioè il Brasile).
Il latitante fu invece consegnato «brevi manu» ai poliziotti italiani, dopo essere stato bloccato mentre saliva la scaletta di un aereo della polizia federale brasiliana. Una manovra che, secondo il suo legale, non si può qualificare né come espulsione né come estradizione. Di qui, insiste Steccanella, la necessità di «reperire l’atto giuridicamente valido che possa legittimare» la consegna boliviana. Che secondo lui non può che essere l’estradizione concessa dal Brasile, completa di impegno ministeriale sulla commutazione della pena. Con il quale ora l’avvocato tenta di contrastare la posizione contraria già manifestata dalla Procura generale.