la Repubblica, 13 maggio 2019
Biografia di monsignor Konrad Krajewski
Si schermisce se gli si chiede un’intervista. Non ama la ribalta. Ma al telefono con Repubblica concede una battuta per spiegare il motivo della scelta di scendere in un tombino per staccare i sigilli ai contatori di un palazzo occupato di Roma: «Oggi è la domenica del buon pastore e il Papa, il vescovo di Roma, poteva non fare nulla?», chiede. E continua: «Nel cuore di Roma nessuno ha pensato a chi da sei giorni è senza corrente: siete mai stati senza? Non si può vivere. Eppure, ci sarebbe gente pagata per risolvere questi problemi. Nell’edificio ci sono bambini che stanno male, vivono anche grazie all’ausilio di macchinari. Come fanno ad andare avanti in queste condizioni? Bisognava fare qualcosa e io ho deciso di farlo, e non l’ho fatto di certo perché sono ubriaco».
Konrad Krajewski, 55enne polacco, originario di Lódz, elemosiniere di Sua Santità per volere di Francesco dall’agosto del 2013 dopo un lungo servizio nel cerimoniale, il secondo più giovane cardinale del sacro collegio, ha preso sul serio l’incarico affidatogli. «La scrivania non fa per te, puoi venderla; non aspettare la gente che bussa, devi cercare i poveri», gli disse il Papa al momento della nomina. E lui, fin da subito, ha fatto come richiestogli. «Don Corrado», come lo chiamano tutti Oltretevere, gira di notte per le strade di Roma con un furgoncino carico di viveri, coperte, sacchi a pelo, ombrelli, insomma ogni genere di prima necessità, e li distribuisce ai senzatetto. Praticamente il suo compito è quello di vivere fuori dalle mura leonine, in soccorso di chi non nulla.
In tanti, di mattina, bussano al suo ufficio. Chiedono aiuto e, insieme, gli portano richieste da parte di altre persone impossibilitate a muoversi. Quando lascia il suo ufficio, al cui esterno fa c’è una statua di Gesù a grandezza naturale rappresentato come un homeless disteso su una panchina, Krajewski lo fa con una Fiat Qubo. Molti senzatetto li incontra intorno a piazza San Pietro. Da quando Bergoglio è al soglio di Pietro, infatti, hanno diritto di dormire all’aperto anche sul territorio della Santa Sede, seppure l’elemosiniere abbia aperto loro un nuovo dormitorio. Per loro, Krajewski, ha predisposto anche una barberia e un servizio docce sotto il colonnato del Bernini.
Qui, la sera, a molti è concesso aprire delle piccole tende, alloggi di fortuna con dei cartoni, a patto che di mattina ogni cosa sia smontata. «Anche per tutta l’estate – ha raccontato due anni fa Krajewski a Repubblica – i nostri servizi rimangono aperti. Così il presidio medico creato da volontari e i bagni pubblici. La gente ha bisogno ogni giorno dell’anno e in tutte le ore del giorno. Per questo non chiudiamo mai. Abbiamo già iniziato di domenica a portare i disabili e i poveri nello stabilimento balneare vicino a Polidoro. Di ritorno dal mare la giornata si chiude con una pizza tutti insieme. Sono cose semplici, ma concrete».
Nel giugno del 2017, quando seppe dell’arrivo tramite i corridoi umanitari promossi da Sant’Egidio di una coppia siriana, Krajewski cedette l’appartamento che il Vaticano gli aveva concesso in quanto dipendente oltre le mura leonine. E si trasferì in ufficio, all’ultimo piano della piccola palazzina in dotazione all’elemosineria non distante da quella che ormai è la vecchia sede dell’Osservatore Romano.
«È una cosa normale, nulla di eccezionale», raccontò allora. E incalzò: «Sono tanti i sacerdoti nel mondo che, non da oggi, si comportano così. La carità e la condivisione sono nel dna della Chiesa. A ognuno è chiesto qualcosa secondo il suo compito. Io non ho famiglia, sono un semplice sacerdote, offrire il mio appartamento non mi costa nulla».
Krajewski, un passato da elettricista, divenne sacerdote a 25 anni dopo una laurea in teologia presso l’università di Lublino. Incrociò giovanissimo Giovanni Paolo II quando, non ancora sacerdote, organizzò la liturgia in occasione della visita del Papa a ?ód?. Poco dopo, ordinato prete, venne chiamato a Roma nell’Ufficio per le celebrazioni liturgiche. Fu uno dei pochi ammessi nella camera di Wojtyla, che lui considerava già santo, al momento della morte. Poté vestirlo insieme a tre infermieri. Francesco lo trovò nel servizio liturgico una volta eletto Papa. E da lì lo dirottò a quello che è uno degli uffici più importanti della Curia romana.