Il Messaggero, 13 maggio 2019
Contro il Vaticano che aiuta gli abusivi
Quando, alcuni mesi fa, scrivemmo su queste pagine che l’iniziativa di alcuni sindaci di violare le leggi in materia di immigrazione costituiva un pericoloso precedente per la certezza del diritto e per la stessa credibilità dello Stato, mai avremmo immaginato di ricevere una così stupefacente e dolorosa conferma in termini assai più gravi e con conseguenze ben più laceranti. Perché il gesto del Cardinale Krajewski è così nuovo e inatteso da lasciare quasi senza parole.
Tuttavia, superati i primi attimi di sgomento, possiamo provare a delinearne le caratteristiche e immaginarne gli effetti. Naturalmente spetterà alla magistratura ricostruire la vicenda, definendo l’eventuale reato e la connessa procedibilità. Ma, indipendentemente dall’aspetto penale, il comportamento del porporato costituisce una flagrante violazione di legge. E fin qui potremmo inserirlo in quel pericoloso indirizzo, di anteporre alle norme vigenti i propri convincimenti morali, che ha ispirato il sindaco di Riace e i suoi – per fortuna pochi – colleghi.
Ma Krajewski non è un sindaco, e nemmeno un parroco di campagna. In quanto cardinale residente a Roma, nonché elemosiniere del Papa, è a tutti gli effetti cittadino dello Stato Vaticano. Uno Stato eretto con il Trattato tra la Santa Sede e Mussolini nel 1929, a seguito del quale è stato riconosciuta a questo nuovo soggetto non solo la sovranità, ma una serie di privilegi di cui non godono le altre Nazioni. È noto che, a fronte del plauso rivolto dalla Chiesa all’uomo della Provvidenza ( ma non si era detto che il Duce non aveva mai fatto niente di buono?) molti laici, a cominciare da Benedetto Croce, si opposero a questa sorta di compromesso confessionale che, tra polemiche anche più accese, fu confermato dagli articoli 7 e 8 della nostra Costituzione. Ma quale che sia il giudizio su questa scelta adottata per garantire – come si disse – la pace religiosa, è certo che il Vaticano continua a godere di prerogative del tutto originali cui corrisponde, o dovrebbe corrispondere, una particolare sensibilità verso le nostre istituzioni. Sensibilità che ora è stata grossolanamente smentita.
Non vi è, ovviamente, alcuna scusante etica per questa deplorevole violazione. Pare infatti che l’agile elemosiniere si sia addirittura calato nella buca per togliere i sigilli. Ora, se avesse voluto soccorrere gli occupanti abusivi che avevano accumulato trecentomila euro di bollette, avrebbe avuto varie opzioni non solo più corrette, ma anche più durature e meno pericolose per la sua incolumità: da quella più ovvia di offrirsi personalmente di saldare il conto, a quella ancora più encomiabile di fornire evangelico riparo nei vari immobili di cui il Vaticano dispone. Questa banale osservazione non ha nulla di anticlericale. Al contrario, esprime l’amara preoccupazione che possa riemergere quel conflitto, che periodicamente spinge i laici più intransigenti ad allargare il Tevere sino a renderlo un invalicabile oceano.
Ed è questo il punto più grave della questione. Se il Vaticano smentirà senza riserve l’operato del suo funambolico cittadino, la questione potrà dirsi politicamente chiusa, anche se resterà il disastroso precedente, ben più serio di quello dei nostri soccorrevoli sindaci. Se invece dovesse solo sorgere sospetto che il gesto del presule non è stato un ispirato momento di esaltazione coribantica, ma un iniziativa concordata o approvata altrove, il nostro Stato dovrà prenderne atto, perché una sua inerzia supina suonerebbe come un’ intollerabile ammissione di codarda subalternità. E allora quegli argini di legalità che erano stati già minati dal buonismo dei sindaci crollerebbero del tutto, facendo dilagare le più bizzarre e funeste iniziative giustificate, si fa per dire, dalle più singolari e opinabili invocazioni solidaristiche. E il principio evangelico del Date a Cesare quel che è di Cesare, finora felicemente coniugato con quello altrettanto saggio della Libera Chiesa in libero Stato sarebbero travolti da un logorante conflitto di cui proprio non si sente il bisogno.