il Fatto Quotidiano, 12 maggio 2019
La lezione del caso Xylella
Riassunto. Un giudice di Lecce ha emesso una poco letta sentenza (di archiviazione, niente reati) sul caso Xylella, il batterio accusato di uccidere gli ulivi in Puglia o, meglio, di essere la causa del CoDiRo (complesso del disseccamento rapido dell’olivo). Una ricerca finanziata dall’Agenzia Ue per la sicurezza alimentare ha infatti individuato in Xylella l’unico colpevole e da allora i governi (compreso questo) hanno imposto per legge la soluzione: sotto coi fitofarmaci e/o l’eradicazione delle piante malate e di quelle vicine, più un pacco di milioni per l’acquisto di varietà (forse) resistenti al batterio. E che dice la sentenza? Che quella ricerca fu condotta con “incredibile sciatteria”, tale “da mettere in seri dubbi gli accertamenti in campo su cui si sono basate le conclusioni”; cita strane email fra i ricercatori tipo “fra 15 anni … pubblicherai che [Xylella, ndr] non è patogenica (ma questo lo sappiamo già): embè?”. Nel frattempo, primarie istituzioni scientifiche adottavano la verità unica, la politica pure e i media manganellavano le pulsioni “antiscientifiche” della plebe pugliese, riottosa alla cura dolorosa ma necessaria. Ancora il 2 maggio l’Accademia dei Lincei lamentava che, nonostante “la certezza” su Xylella, non tutti stessero obbedendo alla “scienza”. Qui c’è un problema non da poco: una scienza che si costituisca in dogma, oltre a negare se stessa, diventa un problema per la società. A Roma ne abbiamo già visti di roghi elevati dai governi alla dottrina ufficiale col plauso dei media: certe volte, poi, è venuto fuori che eppur si muoveva.