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 2019  maggio 12 Domenica calendario

Intervista al dj Albertino

Il suffisso “ino” nel nome d’arte di Albertino è inversamente proporzionale alla sua fama e alla sua altezza (artistica). Dalla fine degli anni Ottanta cresce generazioni a colpi di musica trasmessa per radio e poi suonata nelle discoteche; con lui una generazione di fenomeni, Fiorello e Jerry Scotti, Jovanotti e suo fratello Linus, con Cecchetto come Grande Puffo; nei Novanta diventa osannato, anzi venerato da migliaia e migliaia di ragazzi (“sono arrivato a riempire il Forum di Milano”). Quindi più di diecimila persone, paganti. L’Alberto Di Molfetta nato a Paderno Dugnano “non bello, non alto, che non sa giocare a pallone, né ballare, né cantare” è improvvisamente Re. Se il suo “piatto” proponeva un disco, quel disco diventava un successo, l’autore improvvisamente famoso, e con un conto in banca importante “anche perché come noi di Radio Deejay, c’eravamo solo noi di Radio Deejay”. Il suo “bollino” non si discuteva e per questo “in molti mi hanno accusato di lucrarci sopra”.
Per lui l’alba era la buonanotte, il buon pomeriggio il buongiorno, il pranzo la cena, la cena chissà, “magari la saltavo e chiudevo con un aperitivo. Mi sfamavo con l’adrenalina”; tutto senza soluzione di continuità, così le stagioni non erano divise secondo la comune logica, ma come apertura e chiusura delle discoteche d’Europa. Ibiza la seconda casa. Donne, amici, alcol (“per gli altri”), e qualche canna (“niente di più, giuro”).
Oggi a 56 anni, quasi 57, veste sempre con il giubbino di pelle e le scarpe da ginnastica, si è tagliato i capelli lunghi fino alle spalle (“ero terrorizzato, le mie figlie mi hanno preso per il culo, ma a un certo punto sembravo Pocahontas”), da poco tempo è diventato il direttore artistico di Radio m2o, è quasi astemio, e ha definitivamente acquisito una suprema consapevolezza: “Sono un uomo fortunato”.
In cosa?
Ho capito in tempi molto brevi la mia attitudine, ho individuato il mio piccolo talento nel mixare la musica e sono andato diritto.
A che età?
A 16 anni ascoltavo Alto Gradimento e sognavo, poi ho scoperto le radio private, quelle semi clandestine, quando il segnale arrivava distorto, l’immaginazione compensava, e ho deciso di tentare.
Come?
Con strumenti da Neanderthal: registravo brani e li mischiavo, interrompevo e riprendevo, creavo; poi un giorno una delle mie cassette l’ho consegnata in una piccola radio privata dove già lavorava mio fratello (Linus, attuale direttore di Radio Deejay”).
E…
Il direttore l’ascolta, resta zitto, io sudato, quasi intimorito, poi alza gli occhi e incredulo lui, peggio io, mi domanda: “Ma come ci sei riuscito?”.
Ha ancora quelle cassette?
Qualcosa, molto è andato perso, e non sono male, c’era un senso, un percorso mentale, comunque un’idea compiuta.
Lei a 16 anni.
Mi è andata bene.
In che senso?
La formula “non sono bello, né alto” e tutto il resto, non è autocompiacimento, è realtà. Poi aggiungo una famiglia decisamente proletaria, immigrata dal sud (Canosa di Puglia), pochi soldi a casa, poca possibilità di sognare, la concretezza come legge di sopravvivenza, e gli anni Settanta dove era obbligatorio scegliere.
Cosa?
Da che parte stare, quindi come vestire: Eskimo o giacchetto, kefiah o sciarpa, jeans o pantaloni.
Lei?
Non capivo molto, da proletario figlio di immigrati, e senza grandi strumenti culturali, scimmiottavo i modelli sociali che mi offrivano maggiori speranze evolutive, quindi meglio il giacchetto.
Politica?
No, davvero, non ero preparato, non studiavo, certe corde delle vita non riuscivo a sentirle dentro il mio orecchio.
Un esempio.
Ricordo quanto detestavo mia madre quando il sabato sera mi obbligava a vedere in televisione Mina o Alberto Lupo: era come mangiare un piatto indigesto. Oggi quei sapori li capisco e apprezzo.
Cos’altro?
Non aprivo mai un libro, non me ne fregava un cazzo di alcuna materia, e certe basi poi non le recuperi più, e me ne rendo conto quando adesso mi entusiasmo per la storia, soprattutto il Rinascimento, e vorrei leggere e capire più di quello che riesco.
I suoi genitori cosa pensavano di lei e di suo fratello?
All’inizio non capivano se eravamo due geni o due disgraziati. Ma loro erano due semplici, due veri meridionali.
Fino a quando…
Sono entrati i primi soldini a casa, poi dopo il debutto in televisione mio padre ha iniziato ad andare in giro con le nostre foto raccolte con l’elastico: le distribuiva ai vicini.
Il primo acquisto.
Una Vespa usata.
Le sue figlie.
Poco tempo fa hanno ritrovato il mio diario delle superiori, ancora ridono: non c’era scritto nulla se non titoli di canzoni.
Neanche numeri di ragazze?
Ero di una timidezza assurda, e la radio il posto perfetto per uno come me; tu e il microfono; tu e il silenzio mentre il disco suona; tu e la possibilità di apparire all’esterno quello che in realtà non sei.
Poi però sono arrivate le discoteche.
E lì è scattata la violenza su me stesso: nella mia testa non avevo previsto di diventare famoso. Forse anche per questo mi sono lasciato crescere i capelli, servivano a filtrare lo sguardo del mondo.
È sempre timido?
Ora non me ne frega niente, invecchiare a qualcosa serve.
Fa parte di una generazione di fenomeni: lei, Fiorello, Linus, Jovanotti, Baldini, Jerry Scotti, Amadeus e altri, tutti insieme nella stessa radio.
Un gruppo pazzesco, senza competitor, il migliore dopo quello “assemblato” da Arbore, e tutto nato con Claudio Cecchetto. Una situazione del genere non accadrà mai più.
Ieri è quasi sempre meglio dell’oggi.
No, qui la riflessione è oggettiva: con quello stile c’eravamo solo noi, praterie incontaminate della sperimentazione, nessuna concorrenza, i social non esistevano, e non è poco. Oramai è impossibile ricreare l’interesse di allora.
La sua forza?
La totale incoscienza, si accendeva la lucina dell’on air e andavo diritto, poi con gli anni prendi atto della realtà, arrivano le bollette, magari qualche multa, i figli e realizzi che non puoi più sbagliare.
Quanti ragazzi la vogliono imitare?
Anche in questo caso i tempi sono cambiati, oggi il deejay è associato alle discoteche o ai festival, meno alla radio; puntano ai soldi facili e al successo, per questo la professione di speaker non attira molto. E mancano le nuove generazioni di voci.
Come ha capito di essere famoso?
Quando Cecchetto mi ha spedito in tv a Deejay television, un programma seguito da cinque milioni di ragazzi, ma sono durato poco, forse un anno.
Solo…
Avevo 21 anni e non era la mia dimensione, sempre per via della timidezza.
Il successo sbalestra.
Gestire la notorietà è complicatissimo, ti cambia troppo la vita, ti vesti di una realtà distorta, dove tutti ti guardano, ti imitano, ti cercano, ti incensano indipendentemente dalle tue qualità.
Va bene sempre.
Grazie alla radio sono arrivato a riempire il Forum di Milano, io solo davanti ai miei piatti, i dischi, e migliaia di persone pronte a reagire a ogni mio input.
Da uscire di testa.
Eccome! Vivevo in una condizione da principino, il consentito non aveva limiti, improvvisamente ero pure diventato bello.
Droga?
Ora non mi crederete.
Proviamo.
Giusto le canne, non oltre.
Alcol.
Il bicchiere in mano aiuta il personaggio, ma non mi piace molto, più forma che sostanza. Oggi sono quasi astemio, ogni tanto accetto un po’ di champagne.
Come si è salvato?
La chiave è dividere la persona dal personaggio, per fortuna mi sono fidanzato e sono nate le mie due figlie, in questo modo non sono scappato dalla realtà.
Senza di loro?
Sarei stato un disgraziato.
E suo fratello Linus?
Anche, è servito: è da sempre il più placido dei due, il classico fratello maggiore bravo a proteggere e responsabilizzare, se serve.
Torniamo alle figlie.
Due iene e complici di 24 e 16 anni.
Studiano?
Per fortuna sì. Poi mi sfruttano per i benefit, quindi entrare in discoteca, il privè e tutti gli ammennicoli. La grande veniva a vedermi pure da piccola, a tre anni stava sulle gambe di J-Ax.
Ha scoperto molti artisti, tra questi gli Articolo 31.
Con loro a un certo punto abbiamo scazzato, ma succede quando sei travolto dai riflettori; poi però ci siamo ritrovati e J-Ax ha una qualità rara in questo mondo: sa cos’è la riconoscenza, dà valore alla memoria.
Quando ha sentito per la prima volta gli Articolo 31?
Mi sono innamorato immediatamente del loro pezzo, e quando lo mettevo in radio scoppiava il bordello.
Decideva la vita o la morte degli artisti.
Per questo ero molto amato o odiato, e in tantissimi mi leccavano il culo e, come dicevo all’inizio, tante persone dell’ambiente iniziarono a dire in giro che prendevo le stecche sui musicisti.
E invece?
Avrei dovuto, tanto le cattiverie esistono comunque, almeno avrei incassato bei soldoni.
Lorenzo Jovanotti agli esordi.
Personalità straordinaria, e una capacità incredibile di capire, apprendere e sintetizzare. Quando arrivò a Milano non era un deejay, eppure capì subito quali sono i tempi giusti (ci pensa). È uno che conosce i propri limiti e sa colmarli.
Jerry Scotti.
È stato il primo che ho incontrato quando a 16 anni sono arrivato in quella radio milanese e due anni dopo l’ho ritrovato a Radio Deejay; per me è un fratellone maggiore, ancora oggi ogni tanto ci vediamo, Linus presente, per la cena dei cretini.
Fiorello.
Eh. Lui è incredibile.
Quanto?
È sempre come lo vedete, non solo quando è in trasmissione; non finge, non si atteggia, è dotato di un’umanità che sorprende. Gli voglio bene manco a un fratello.
Pure a lui!
Quando mi hanno nominato direttore di Radio m2o mi ha chiamato subito: “Albe, qualunque cosa ci sono, chiamami, e mi collego”.
Il suo target.
Ecco, in questo caso ci ho messo un po’ ad accettare che molti dei miei fan sono oramai degli adulti: magari li incontro e sono in giacca e cravatta, io mi ostino con i miei soliti panni.
Cosa le dicono?
Amo la frase “sei colonna sonora dei miei anni più belli”. Io sono la loro adolescenza, per questo mi guardano e sorridono, sono l’eco della spensieratezza. Uno è arrivato a baciarmi in aereo.
Quanti come lei si sono persi?
Tanti. Anzi tantissimi. Ragazzi che ho visto entrare, gasarsi, e sparire. Se le dico dei nomi manco li ricorda, non li ricorda nessuno. Eppure per un attimo sono stati famosi.
Oltre alla musica, oggi di cosa ama parlare?
Di piante e fiori, quando non sarò più nel delirio voglio tornare alla terra.
Ha bisogno di radici.
La mia vita è come volata via, ho corso, ho ribaltato il fuso orario dell’esistenza, magari avrò voglia di rallentare. (Arriva un amico, sorride e interviene: “È vero, è fissato”).
La prendono in giro.
I miei amici ridono, ma un giorno ci arriveranno anche loro.