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I segreti del mercato dell’arte svelati da Georgina Adam
C’è una lady di ferro che fa tremare il mercato dell’arte. L’inglese Georgina Adam da più di trent’anni, sulle colonne del Financial Times o The Art Newspaper, svela i segreti delle grandi aste, illumina le ombre del luccicante mondo del contemporaneo, ne racconta i misteri come se si trattasse di un noir. Lo fa anche nel nuovo saggio, Dark Side of the Boom, pubblicato ora in Italia da Johan & Levi. Dove si occupa di record gonfiati ad arte — appunto, porti franchi in cui i capolavori spariscono, falsi e vendite realizzate per riciclare il denaro sporco. È il lato oscuro di un giro di affari che, nel 2018, è stato di 67,4 miliardi di dollari. Altro che crisi. Damien Hirst e soci hanno poco da temere.
Mrs Adam, periodicamente si dice che la bolla del mercato dell’arte stia per scoppiare. Ma poi non accade. Come lo spiega?
«È vero. Adesso credo proprio che il mercato non collasserà. È una questione di domanda e di offerta. Nel mondo sono in crescita i milionari che scelgono un numero limitato di artisti considerati investimenti sicuri. E cresce la domanda di opere d’arte per riempire alberghi di lusso, proprietà, spazi pubblici e privati, nuovi super musei. Tutto questo spingerà ulteriormente il mercato, almeno quello gestito dai mediatori principali: pochi mega attori che concentreranno sempre di più il loro potere. La vera crisi è quella delle gallerie medie e piccole».
Nel suo saggio, parla di un lato oscuro del boom. Perché il mercato dell’arte sembra ancora così privo di regole?
«In realtà, molto dipende dai singoli paesi, un po’ di regole ci sono: da quelle sulle vendite e i diritti degli acquirenti, le normative sull’importazione e l’esportazione e l’antiriciclaggio. Ma è vero che tutt’ora il mercato dell’arte non è sottoposto al controllo di istituzioni terze come la Sec, l’ente statunitense che vigila sulla borsa valori, o la Fsa, che supervisionava i mercati finanziari inglesi. Ci sono stati tentativi per potenziare le regole, ma questo tipo di mercato è molto disomogeneo, difficile da seguire bene. In più, i governi nazionali non sono così motivati da impiegare le loro risorse per questo tipo di settore. Per non parlare del fatto che le parti in causa collaborano poco».
Intende le case d’asta? Christie’s e Sotheby’s non contribuiscono alla trasparenza?
«Sono concorrenti in un mercato molto competitivo e l’una cerca continuamente di battere l’altra. Il problema è che si tratta di un duopolio che combatte all’ultimo sangue, ricorrendo a incentivi finanziari sempre più sofisticati per raggiungere il record. Come le garanzie che fanno sì che l’opera all’asta sia stata già comunque prevenduta a una somma pattuita in precedenza. Il risultato è che così i prezzi finali vengono gonfiati. Il tutto non certo a beneficio della trasparenza».
In che percentuale, nel mondo, la vendita delle opere viene utilizzata per il riciclaggio del denaro sporco?
«È difficile valutare. Ci sono pochi casi emersi, come quello del mercante inglese Matthew Green, sorpreso lo scorso anno a vendere un Picasso acquistato con denaro sporco. Ma credo che ce ne siano molti di più rimasti nell’ombra. Per il suo valore e per la facilità di trasporto, l’arte si presta molto a questo tipo di crimine. Un po’ come i diamanti».
L’arte, a un livello economico molto alto, viene sempre più nascosta nei freeport, che in pochi conoscono. Sono porti franchi esentasse in cui le opere, di fatto, spariscono.
«Ci sono stati recenti richiami internazionali per chiedere maggiore trasparenza sull’operato dei freeport. Anche Ginevra, dove ce n’è uno molto importante, si è mossa in questo senso. Gli operatori del settore si giustificano, sostenendo che i freeport sono gli ultimi posti dove nascondere beni rubati o commettere crimini, perché sono tenuti sotto stretta sorveglianza. Una cosa è certa: i valori in questi luoghi non sono soggetti a tassazione. In realtà, è impossibile controllare cosa accada davvero a un’opera d’arte, una volta arrivata in un freeport».
Parlando di opere sparite nel nulla e della Svizzera, non si può non pensare al Salvator Mundi attribuito a Leonardo, il quadro più costoso del mondo venduto da Christie’s per 450,3 milioni di dollari. Doveva essere esposto al Louvre di Abu Dhabi, ma che fine ha fatto secondo lei?
«Credo si trovi proprio in Svizzera e la mia teoria, non supportata da alcun riscontro certo, è che ci sia un problema legale che ne impedisce l’esposizione pubblica. Penso sia una questione che riguarda strettamente l’acquirente saudita (sarebbe il principe Mohammed bin Salman, ndr) e gli Emirati e forse è legata ai dubbi sulla provenienza del quadro o sul suo stato di conservazione».
Secondo Nicholas Eastaugh, che analizza le opere d’arte dubbie sul mercato internazionale, i falsi rappresentano tra il 20 e il 50 per cento dei dipinti in vendita...
«Non ho alcun motivo per dubitare delle sue parole. È tra le persone sul pianeta più abituate a vedere falsi».
Quali sono gli artisti più falsificati?
«Dalí, Modigliani e Pollock sono i più falsificati in assoluto. Lo storico dell’arte Martin Kemp dice che ogni mese gli capita di vedere due pseudo-Leonardo».
Il mercato non rischia di influenzare il futuro della storia dell’arte?
«Certo, il pericolo è che con il tempo il valore economico di un’opera si sostituisca a quello estetico. La storia dell’arte rischia di diventare una storia finanziaria. Il record diventa un capolavoro».
Lei che smonta i meccanismi del mercato che tipo di arte apprezza?
«Non amo l’arte contemporanea che ha bisogno di troppe spiegazioni. Mi piace avere un impatto visivo immediato. Niente arte concettuale. Un foglio di carta immerso nel mare a mezzanotte in Estonia, poi ripescato, fatto a pezzi e messo in mostra non fa per me!».