La Stampa, 12 maggio 2019
Intervista alla gallerista Lia Rumma
La Galleria Lia Rumma è stata fondata a Napoli nel 1971 e ha avuto un ruolo importante nella scoperta di nuove tendenze artistiche come Arte Povera, Minimalismo, Land Art e arte concettual,e ospitando artisti emergenti e di spicco come Joseph Kosuth, Haim Steinbach, Gino De Dominicis, Reinhard Mucha, Alberto Burri, Thomas Ruff, Anselm Kiefer, William Kentridge e Marina Abramovic. A Milano in occasione della mostra d’arte internazionale MiArt, è stata inaugurata la collettiva Grado Zero alla Galleria Lia Rumma in via Stilicone, mentre la mostra Quaestio de Aqua et Terra, basata sulla discussione tenuta da Dante nel 1320 nella chiesa di Sant’Elena a Verona, si tiene a Rocca d’Angera sul Lago Maggiore.
Come mai una mostra a Rocca d’Angera, proprietà della famiglia Borromeo?
«Me lo ha chiesto Marina Borromeo. Voleva che pensassi a un evento artistico da organizzare al castello, curato da Andrea Viliani, direttore del Museo Madre di Napoli. ».
Di che cosa si tratta?
«E’ una serie di opere che rimandano al tema dell’acqua. Un viaggio interiore e nel tempo, che collega l’uomo alla vita, alla morte, alla gioia e al dolore. Si apre con un’immagine fotografica che Kiefer ha voluto dedicarmi: con il Palazzo Donn’Anna sullo sfondo come una vecchia rovina di fronte al mare di Napoli, il fantasma della mia immagine combatte le onde, riportando alla mente la drammatica storia d’amore di Ero e Leandro. C’è un video emozionante di Marina Abramovic, in cui sentiamo le onde che si infrangono sul suo corpo mentre giace su una spiaggia a Stromboli. Le opere di De Dominicis e Kiefer andrebbero meditate in silenzio. Il primo tenta di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno a un sasso che cade nell’acqua; il secondo è un dipinto che racconta la storia di Aino, morto nelle acque del lago Ladoga cercando la libertà. Ci sono poi artisti con opere che rappresentano l’aria di Capri e il mare, mostri marini o coloro che sono annegati o dispersi cercando una vita migliore».
Che cosa ha portato a MiArt?
«Una selezione di opere di artisti con cui lavoro: Spalletti, Kentridge, Kosuth, Jaar, Ruff, Zielony, Steinbach, Abramovic, Beecroft, Monterastelli, Dal Molin, Shawky, Mulas, Tosatti, Zorio, Mucha, per citarne alcuni».
Che cosa espone adesso nella sua galleria di Milano?
«La mostra s’intitola Grado Zero, in riferimento al famoso libro di Roland Barthes Il grado zero della scrittura, pubblicato in Francia nel 1953. Una terza dimensione della forma da cui partiamo per osservare la forma delle opere di Castellani, Dadamaino, Spalletti, Zorio, Lamelas, Ruff, Laib, Monterastelli, Kosuth, Hill, Anselmo e Jaar».
Come valuta il mercato dell’arte contemporanea in Italia?
«In generale, un buon mercato si fonda e rimane stabile quando sono garantite strutture adeguate, come in tutti i Paesi culturalmente ed economicamente evoluti. In Italia mancano i musei contemporanei, che sono utili non solo per supportare la conoscenza dell’arte, ma anche necessari e complementari al lavoro svolto da un gallerista. È assurdo che Milano, la capitale economica d’Italia, non abbia un museo di arte contemporanea».
Perché ha scelto Napoli e Milano?
»Sono entrambe parti della mia vita. Sono nata in Lombardia, ma mi sono sposata a Napoli dove ho trovato il mio destino: Marcello Rumma».
Chi sono i suoi artisti?
«Oggi ne ho molti, e sono quasi tutti gli stessi di quando ho aperto la galleria».
E i nuovi talenti?
«Sono ancora molto curiosa, e continuo a fare ricerche. Ho un gruppo di giovani che seguo con interesse: Migliora, Mancini, Tosatti, Guido, Monterastelli».
Organizza molte mostre?
«Per me il problema non è la quantità, ma la qualità».
Gli italiani capiscono l’arte contemporanea?
«Ovviamente! Ma il vero problema non è se gli italiani capiscono o meno, ma quanto siano informati su ciò che sta accadendo nel mondo dell’arte contemporanea».
Che rapporto ha con le case d’asta?
«Possono renderci felici o infelici. Ovviamente seguo quello che fanno».
E con i musei?
«Sono sempre molto interessata a collaborare con i musei. È importante che i grandi artisti che abbiamo la fortuna di rappresentare possano lasciare il segno nelle città in cui lavoriamo. Prendiamo, ad esempio, I Sette Palazzi Celesti di Kiefer, che ha reso famoso come museo il Pirelli Hangar Bicocca di Milano; o la mostra di De Dominicis al Museo di Capodimonte; il mosaico di Kentridge che rappresenta la storia di Napoli nella stazione della metropolitana di Toledo; o l’installazione di Kosuth in piazza Dante dedicata a mio padre, un importante studioso latino e di Dante. Il grande murales di Kentridge lungo le sponde del Tevere è senza tempo. Rappresenta i trionfi e la caduta della grande Roma».
(traduzione di Carla Reschia)