La Stampa, 12 maggio 2019
Cancellati i siamesi di Lilli e il Vagabondo
Un nuovo mondo «asiaticamente corretto» è in arrivo. E così anche la Disney è corsa ai ripari, come racconta Variety. Nel remake di Lilli e il vagabondo, che uscirà a novembre per lanciare la nuova piattaforma streaming, sparirà la scena dei gatti siamesi, accusata di discriminazione razziale verso gli asiatici e simbolo del colonialismo culturale dell’occidente, che si faceva beffa degli orientali rappresentandoli come infidi, cattivi e bugiardi. La scena del film del 1955 è un cult: i due gatti, con gli occhi marcatamente a mandorla devastano il salotto, rovesciano la boccia di vetro del pesce rosso e si apprestano ad attaccare la camera del bambino, ma quando la gattofila zia Sara torna a casa fingono di essere stati aggrediti dall’ingenua cagnolina Lilli, che si prenderà la colpa.
Con i due felini sparirà anche la celebre canzone interpretata da Peggy Lee (The Siamese Cat Song): nelle versione inglese i due siamesi cantavano con un forte accento orientale, in quella italiana era addirittura parodiata con il più classico degli stereotipi, dove la «erre» diventa «elle». («...C’è un pupo là/Chissà quanto latte in gilo ci salà/Nella culla celto un po’ ne tlovelem/ E un bel planzettin insieme ci falem»).
La questione era già stata sollevata qualche anno fa in America quando i due siamesi erano stati definiti «tra i personaggi più razzisti mai rappresentati in un cartoon». Niente accade mai per caso. E infatti sul sito culturale newyorkese Flaworwire un lungo saggio di Marcus Hunter ne spiega l’origine storica, risalendo alla II guerra mondiale, quando gli americani si sono trovati a combattere nel pacifico contro i giapponesi dell’Asse e la Thailandia era allora sostenitrice del Giappone. I campi di internamento giapponesi dei primi Anni 40 - in cui oltre 100.000 asiatici-americani, il 62 % dei quali erano cittadini statunitensi – sono stati un’altra fonte di aumento del sentimento anti-asiatico. Alla fine, nell’iconografia e nell’immaginario popolare, siamese, giapponese, cinese sono diventati tutti uguali, in un gran pastone, dove l’occhio a mandarla e la «elle» erano comunque negativi. I due gatti Si e Am di Lilli e il vagabondo, uscito un decennio dopo la fine della guerra, ne sono l’esempio perfetto.
Un’altra questione di revisionismo è in corso in questi giorni alla London School of Economics (Lse), dove un gruppo di studenti cinesi sta vivamente protestando per una questione di confini geografici: nel cortile dell’università è stata installata una scultura a forma di mappamondo rovesciato, come simbolo sia della vocazione internazionale della scuola (il 68 % degli studenti è straniero), sia dei tempi difficili che viviamo. Nel globo Taiwan è rappresentato come stato indipendente e Lhasa è indicata come capitale del Tibet, il che ha fatto infuriare i cinesi, i quali rivendicano i due territori. Come finirà non si sa, certo è più facile cancellare due gatti da un film, che mettere a rischio i lauti proventi delle rette degli studenti cinesi, che sono l’11 % del totale e pagano tre volte tanto gli inglesi.