la Repubblica, 11 maggio 2019
Roberto Saviano Ece Temelkuran: «Sfidiamo insieme tutti i populismi»
Roberto Saviano, scrittore, è nato a Napoli.
Lo scrittore italiano e l’attivista turca autrice del saggio “Come sfasciare un paese in sette mosse” si confrontano sull’Europa sovranista: “La strategia dei leader? Infantilizzare il linguaggio politico per farci credere qualsiasi cosa” Il libro di Ece Temelkuran Come sfasciare un paese in sette mosse (Bollati Boringhieri, traduzione di Giuliana Olivero) è uno sguardo non su quello che potrebbe accadere ma su quello che accadrà a molti paesi, in Europa e nel resto del mondo, in mano a governi populisti. Temelkuran, scrittrice turca che ha vissuto l’ascesa del regime di Erdogan, parte dalla sua esperienza per svelare come in sette mosse il populismo possa trasformarsi in dittatura. Nell’autunno del 2002, quando l’Akp, un partito appena formato, «con una ridicola lampadina come simbolo» (come lo descrive Ece interpretando il pensiero di molti allora) – e che si autodefiniva con toni goffi «il movimento dei virtuosi» decisi a cambiare «tutto in questo sistema corrotto», si presentò alle elezioni legislative, in pochi si aspettavano che avrebbe ottenuto il nuovo governo della Turchia. Da allora il partito di Erdogan ha cambiato davvero tutto, ma non in meglio. Il meccanismo che i governi populisti usano per guadagnare consenso e potere è identico in tutti i Paesi – Turchia, Ungheria, Italia, Polonia, Stati Uniti – con dinamiche, però, diverse. Potrebbe sembrare azzardato dire che l’Italia sta percorrendo una strada autoritaria se la si pone a confronto con la Turchia di Erdogan, che è chiaramente un governante autoritario e perseguita i suoi nemici. Eppure, leggendo il libro di Ece Temelkuran, ci accorgiamo che i passaggi per demolire la democrazia sono gli stessi (e possiamo facilmente valutare anche a che punto siamo di questa disgregazione), così come i modi per contrastare gli oppositori: non appena i governi populisti si rendono conto che non sei al servizio della loro propaganda, diventi oggetto ossessivo delle campagne orchestrate dai media a loro vicini. Da oltre dieci anni, Ece viene accusata di essere (nell’ordine): l’amante di uno sceicco saudita, una spia iraniana, al soldo dei tedeschi, al soldo degli inglesi, l’organizzatrice numero uno dell’occupazione del parco Gezi (uno dei momenti più accesi della protesta contro Erdogan, repressa con la violenza dalla polizia). Sono arrivati a postare online il numero del volo su cui viaggiava e del suo posto a sedere in aereo: un modo semplice per farla sentire assediata, seguita, per spaventarla. Eppure, nell’illuminato mondo occidentale c’è chi sminuisce la persecuzione a cui è sottoposta: «In quasi tutte le interviste mi viene posta questa domanda: ma lei non è stata incarcerata, vero? Come se fossi dovuta andare in prigione per dimostrare che avevo sofferto davvero. Questa è una tragedia per l’Europa, che ha sempre sostenuto di avere i migliori standard di democrazia, di libertà di stampa e di espressione e in cui ora è normale che un uomo o una donna in Turchia o un giornalista in Ungheria possa essere processato o perseguitato o incarcerato. E poi si arriva a questo: “Ma non ti hanno ammazzato, eh?”». Le parole di Ece, crude e disarmanti, mi fanno in realtà sentire meno solo, dato che da dodici anni mi trovo a giustificare il fatto di essere ancora vivo, di non essere ancora stato ucciso dalla mafia che mi ha minacciato e mi ha costretto a vivere sotto scorta. Non siamo credibili perché non siamo morti e allo stesso tempo siamo vittimisti se ci lamentiamo di essere attaccati. Ma come si resiste a questo fango perenne? «È più facile per me, perché sono una donna. Una donna è abituata alla delegittimazione continua. È terribile dirlo ma è così. Continuo infatti a dire che il populismo non riguarda solo la politica. Si tratta di psicologia, di emozioni e alla fine spezza i cuori di tutti». Nel libro, scritto con una lingua veloce e colma di elegante ironia, Ece affronta domande a cui anch’io cerco risposta da un po’ di tempo a questa parte: perché le masse hanno iniziato a rivoltarsi contro quelli che sono ovviamente bersagli sbagliati – i poveri messicani, i pescatori francesi, i mezzi di informazione – e non contro le multinazionali che sfruttano i lavoratori, la spietatezza del libero mercato, le cause della povertà? Perché se la prendono con gli effetti e non con le cause? E ancora, perché esigono rispetto dalle élite istruite, ma non dagli azionisti delle multinazionali? E perché fanno tutto questo con una fede cieca in un uomo soltanto che si mostra come “uno di loro”? La risposta della Temelkuran è diretta: «I leader devono innanzitutto infantilizzare la gente attraverso l’infantilizzazione del linguaggio politico: una volta che si è infantilizzata la narrativa politica condivisa, diventa più facile mobilitare le masse, e da lì in avanti si può promettere loro qualunque cosa». E far credere qualunque cosa. Quindi Trump potrà raccontare che le cose vanno male perché i messicani rubano il lavoro agli americani; i populisti polacchi potranno sostenere che, siccome i nazisti hanno commesso crimini in Polonia, anche se i polacchi non vi hanno partecipato l’opinione pubblica mondiale da allora odia i polacchi; i populisti tedeschi, invece, potranno dare la colpa della crisi economica europea ai greci pigri; e Salvini pretende di convincerci che il problema del Sud Italia siano gli immigrati nelle baraccopoli. Temelkuran sviscera la piaga del populismo portando anche aneddoti molto personali, vissuti sulla sua pelle e quella dei suoi cari: racconta ad esempio di sua nonna, una professoressa che ha passato la vita ad alfabetizzare i bambini nelle campagne turche. D’improvviso il partito populista di Erdogan cominciò ad ascriverla a una «élite oppressiva» e la nonna, allibita, commentava: «Proprio io che ho patito la fame quando andavo nei villaggi…». Com’è possibile che persone come la nonna di Ece, impegnate nel sociale per anni, diventino all’improvviso élite? «L’idea è che se ubbidisci al partito o al leader, sei vero, altrimenti sei élite. Non si tratta di differenza politica, né ideologica, è questione di ubbidienza o disubbidienza». L’Italia e la Turchia sono state tra le prime a testimoniare questa follia morale e politica. Ece cerca di spiegare che non si dovrebbe finire vittime di questo gioco di polarizzazione, perché di riflesso le persone vorranno dimostrare di non essere élite: «Le persone in Turchia ci hanno provato molto, ma non funziona. I molti paesi dove il mio libro è stato pubblicato, mi dicevano che stanno ancora soffrendo tutti per il senso di colpa di essere stati parte delle élite, ed è per questo che stanno cercando di mettersi al livello delle altre persone “vere” e instaurare un dialogo interessante con i populisti dell’ala destra. Penso che capiranno presto che questo è impossibile, che va contro la razionalità. E io gli faccio la stessa domanda: perché cercate di trovare un terreno d’intesa con questi strateghi populisti di destra?». Secondo Ece non c’è alcuna possibilità di dialogo con i populisti. Per spiegarlo usa una metafora molto efficace, secondo la quale confrontarsi con i populisti è come giocare a scacchi contro un piccione: «Il piccione non farà altro che buttare giù tutti i pezzi e defecare sulla scacchiera, per poi volarsene via, cantando fieramente vittoria e lasciando dietro di sé tutto il disordine e la sporcizia che agli altri toccherà pulire». È esattamente la sensazione che si ha quando si prova a smontare le balle della propaganda con dati e fatti concreti: alla fine, a scacchiera rovesciata, ad avere ragione risulterà la pancia e non la razionalità, la fake news e non la verità. Eppure, come una sorta di Davide contro Golia, Ece non si è arresa. Questo libro ne è la dimostrazione: un monito all’Europa e al mondo sui rischi che stanno correndo, su ciò che stanno perdendo e su ciò che rischiano di perdere ancora lasciando avanzare i populismi. La nostra fede nella democrazia deve essere più forte del loro autoritarismo. Confesso che in questa lotta di resistenza, sotto i continui attacchi e il costante fango, capita di essere assaliti da momenti di sconforto. Chiedo a Ece se lei abbia mai pensato di mollare, e la sua risposta è di una sincerità e un’umanità disarmanti: «Certo che ci ho pensato. Non voglio essere un’eroina. Ma penso anche che non siamo noi a scegliere. Siamo come siamo perché non possiamo essere altro. Non mi rende propriamente felice parlare dei mali del nostro tempo che stanno diffondendosi in Europa. Non mi piace fare la Cassandra della situazione. Vorrei soltanto starmene spaparanzata sul divano e guardare la serie tv Peaky Blinders».