La Lettura, 12 maggio 2019
Vassalli e Dino Campana
La notte della cometa, uscito da Einaudi nel 1984, è il romanzo della svolta di Sebastiano Vassalli dalla fase neoavanguardista verso il «romanzo storico» e il personaggio di Dino Campana è quello che ha impegnato la sua energia intellettuale e creativa più di qualunque altro, prolungando la propria presenza in libri successivi. La prima testimonianza scritta di un interesse vassalliano per la biografia del poeta di Marradi risale all’agosto 1972: si tratta di una lunga lettera dello psichiatra milanese Enzo Brigida, in risposta a una richiesta di chiarimenti sulle «prime manifestazioni psichiatriche» di Campana. Dunque, sin dall’epoca sperimentale de Il millennio che muore, lo scrittore aveva cominciato a occuparsi attivamente del poeta dei Canti Orfici letto in gioventù. Vassalli sarebbe tornato su Campana ben oltre le numerose code polemiche conseguenti all’uscita del suo libro. Tant’è vero che ancora l’8 marzo 2015, più di 40 anni dopo le tracce epistolari del primitivo interesse, dedicò uno degli ultimi Improvvisi (la rubrica del «Corriere della Sera») al viaggio argentino del poeta. Si tratta di uno degli argomenti più forti del «romanzo-verità»: i genitori tentarono invano di sbarazzarsi di Dino in via definitiva almeno due volte. Rinchiusero il figlio, appena maggiorenne, nel manicomio di Imola, con la speranza che ci rimanesse a vita; nell’inverno 1909-10 il fratello e lo zio lo accompagnarono a Genova per imbarcarlo su un piroscafo, senza possibilità di ritorno grazie a un «passaporto trappola».
«L’Argentina – scrive Vassalli – doveva essere la soluzione finale del problema del “matto”». Un’altra convinzione di Vassalli è che Campana aveva contratto nei bordelli genovesi un tipo di sifilide, la Spirochaeta pallida, considerata «come una qualunque “demenza” da curarsi con l’elettricità, le percosse, i letti di contenzione, la segregazione coatta…».
Vassalli chiude il romanzo confessando: «Io cercavo un personaggio con certi particolari connotati. Il caso me l’ha fatto trovare nella realtà storica e da lì l’ho tirato fuori: con accanimento, con scrupolo, con spirito di verità». L’accanimento è tutto contenuto nell’archivio personale di Vassalli, i cui ricchi materiali, ordinati dall’autore in due faldoni, testimoniano il suo modo di lavorare prima della scrittura. Da una parte troviamo documenti raccolti nelle ricerche bibliografiche e archivistiche: studi di carattere psichiatrico; saggi critici e memorie biografiche parcamente annotati e raccolti, in fotocopia, soprattutto nella biblioteca civica di Novara e nelle biblioteche fiorentine; la riproduzione di documenti anagrafici campaniani e dei fogli di via reperiti a Marradi dopo l’uscita del romanzo; la trascrizione a mano di brani giudiziari, di disposizioni e regolamenti ministeriali sui manicomi, di provvedimenti di legge sugli «alienati», di schede di carattere scientifico sulla sifilide nervosa, sulla «malarioterapia», sui «bagni elettrostatici»; analoghe schede, sempre manoscritte, sui regolamenti delle scuole militari di fine Ottocento; altre sui viaggi transoceanici e sui mezzi di navigazione.
Un secondo livello dell’indagine è rappresentato dai documenti epistolari. Tra questi: lettere con richieste di informazioni inviate alle ambasciate italiane di Svizzera, Belgio, Argentina e Uruguay con le rispettive risposte (negative); la lettera di accompagnamento stilata il 22 novembre 1982 dall’amico Giulio Bollati per facilitare l’accesso ai centri di ricerca (il libro era previsto in origine per una collana del Saggiatore, di cui Bollati era amministratore delegato) eccetera. Terzo sostanziale contributo al lavoro preparatorio sono le annotazioni, su un piccolo bloc-notes, realizzate nel corso di un viaggio nei luoghi campaniani, a cominciare dal Passo della Futa proseguendo con Rifredo Mugello. Sono osservazioni e curiosità minute, accompagnate da ipotesi sul passato, del tipo: «È un agglomerato di 20-30 case, quasi tutte ristrutturate. Poche quelle nuove. Attorno, pascoli e boschi. All’inizio del secolo doveva essere un posto di pastori. C’era la posta, come adesso, e forse c’erano più abitanti, forse c’era una locanda. Le strade qui attorno erano tutte strade bianche».
Nel cammino, incontriamo Barco, Scarperia, dove «ci sono ulivi (pochi) vigne e cipressi», San Piero a Sieve, Borgo San Lorenzo. E naturalmente Marradi e dintorni: «Il paesaggio è subito molto suggestivo, di pini cipressi e alti pascoli. Tratti di viva roccia (…)». E procedendo: «Paesaggi splendidi, d’alta montagna (…). Il fiore azzurro del lino è dappertutto. All’epoca, dovevano essercene interi campi». Appunti che verranno utilizzati, spesso testualmente, nella narrazione.
Vanno segnalate, infine, le fittissime cronologie manoscritte, che mettono in parallelo le tappe biografiche certe di Campana con i grandi fatti storici. E, come ulteriore curiosità tra le tante, persino una dettagliata analisi psicoastrologica del poeta realizzata da un istituto specializzato, Astro Dienst, di Zurigo. Le carte dell’archivio mostrano bene il metodo Vassalli nella fase dell’avantesto: egli agisce da storico per un verso, frequentando archivi e biblioteche, e per l’altro verso si comporta da giornalista di reportage o d’inchiesta viaggiando, annotando, raccogliendo testimonianze scritte e orali. Ma nell’atto della scrittura Vassalli non teme di colmare con l’immaginazione vuoti e lacune di una biografia dalle ampie zone oscure: a questo proposito, basti constatare la ricorrenza del verbo «immaginare». Scrive Vassalli: «Se il nome di una persona non compare nelle rubriche di un carcere, la logica del “non romanzato” vuole che si dica che quella particolare persona in quel particolare carcere non c’è mai stata. È evidente. Ma siccome l’umana vicenda di Dino Campana può essere ricostruita soltanto tenendo conto dell’elemento romanzesco o addirittura “romanzato” che in essa è implicito, ecco, io cercherò di procedere oltre la stessa evidenza (…)». Più che una dichiarazione di metodo, si tratta di una dichiarazione di poetica valida anche per i «romanzi storici» di Vassalli che seguiranno.
Si direbbe quasi che Vassalli, nel condurre accanitamente le sue indagini storiche (su Antonia de La chimera, su Mattio fino ai Cimbri di Terre selvagge), ricerchi nei documenti quegli spazi vuoti che gli permetteranno di muoversi nelle sue storie con la libertà immaginativa del narratore. E se quei vuoti non ci sono, giustamente, se li prende da sé. L’accanimento e lo scrupolo appartengono alla fase del ricercatore di materiali, mentre lo «spirito di verità» è quello dello scrittore che va oltre l’«evidenza» forzando la dimensione documentaria.
Del resto, così si chiude il libro: «Ma se anche Dino non fosse esistito io ugualmente avrei scritto questa storia e avrei inventato quest’uomo meraviglioso e “mostruoso”, ne sono assolutamente certo. L’avrei inventato così». Perché l’avrebbe inventato proprio così? Perché in tutta «evidenza» il Babbo Matto è, con il Sebastiano de L’oro del mondo, il personaggio più autobiografico tra i tanti che Vassalli ha narrato, per questo non avrebbe potuto che raccontarlo così e per questo non se n’è mai liberato.