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 2019  maggio 12 Domenica calendario

Angelina e le lettere tra Croce e Gentile

Le lettere che Benedetto Croce e Giovanni Gentile si scambiarono nel corso della loro trentennale amicizia sono state sempre pubblicate separatamente: prima le missive di Gentile, edite con Sansoni e poi con Le Lettere, quindi le epistole di Croce in un volume Mondadori. Il lettore non ha mai avuto il carteggio completo dei due filosofi, prima amici e poi nemici, secondo la sua cronologia. Come se il «dissidio politico» che si consumò tra i due con il fascismo e l’ascesa di Mussolini avesse continuato a pesare sulla loro opera non solo dopo la fine della dittatura, ma anche dopo la loro morte.
Un’anomalia alla quale l’editore Aragno sta ponendo fine pubblicando il Carteggio completo in cinque volumi che costituiscono un capitolo importante sia di storia della filosofia sia di storia d’Italia. Dei cinque tomi curati da Cinzia Cassani e Cecilia Castellani è apparso ora il quarto, che ricopre il periodo dal 1910 al 1914. Il testo presenta delle novità: lettere inedite, soprattutto di Croce, che nella prima pubblicazione furono omesse o «tagliate» per motivi di carattere privato.
Il volume è significativo proprio per il tempo che si racconta e per i fatti che accadono, fra loro intrecciati: la scelta di Croce di rendere pubblico il «dissenso filosofico» tra il suo storicismo e l’attualismo di Gentile, la morte di Angela Zampanelli, la vigilia della Grande guerra. Furono proprio l’amore e la morte della «bella Angelina» – «donna di imperiale bellezza, rassomigliante alla Teodora dei mosaici di San Vitale a Ravenna», secondo la descrizione che ne fece Giuseppe Prezzolini – a dettare i tempi della filosofia e indurre Croce a prendere le distanze dall’idealismo attualistico di Gentile: infatti, la Zampanelli morì a Raiano in Abruzzo il 25 settembre 1913 e il celebre articolo di Croce Intorno all’idealismo attuale, con cui si rendeva pubblico il dissenso che c’era tra Croce e Gentile a riguardo della loro stessa cultura filosofica, che aveva negli ultimi dieci anni sbaragliato il campo avverso del positivismo, uscì su «La Voce» nel mese di novembre.
Naturalmente, tra i due fatti non c’è un semplice nesso causale; tuttavia, con altrettanta semplicità si può dire che non ci sia nemmeno casualità. Erano la vita e la morte che facevano irruzione nella filosofia, scombussolandone idee e piani.
Nel testo della Mondadori (1981), non ci sono le lettere del settembre 1913 che riguardano la malattia e la fine di Angela Zampanelli. Nel Carteggio, invece, le lettere ci sono e il dolore che si portano dentro – «la più angosciosa lotta interiore», dirà il 16 ottobre 1914 Croce a Gentile nella lettera parzialmente inedita di cui pubblichiamo un estratto – contribuisce a dare un senso più umano e più intellegibile alla vita di Croce e al rapporto tra i due filosofi dell’idealismo.
Il 25 settembre 1913 Gentile, che ancora non sapeva della morte della Zampanelli, scriveva al suo amico parlandogli di Spaventa e Spinoza, ma era solo uno schermo per parlare di lei e sapere: «Carissimo Benedetto, ho avuto confortanti notizie della salute di Donna Angelina dal nostro Ruta e spero che tu presto possa dirmi che è completamente guarita e che tu sei tornato tranquillo. Ti prego di scrivermi un rigo». E Croce il giorno dopo gli scrisse un rigo, uno solo: «Caro Giovanni, ieri ho perduto la mia diletta Angelina».
Ma perché il destino della donna dovrebbe influenzare la filosofia? Prima di tutto perché la relazione di Croce con Angelina non fu un capriccio, ma un’autentica storia d’amore. Croce visse con Angela Zampanelli vent’anni: dal 1893 al 1913 ossia gli anni in cui Croce divenne Croce. Non si sposarono, ma furono una «coppia di fatto»: la donna gli diede stabilità d’affetti e, come ebbe a dire Augusto Guzzo, il filosofo innamorato fu anche il più creativo. La filosofia dello spirito nacque quando Croce aveva al suo fianco la sua Angela e quando la donna morì Croce non poté fare altro che aggrapparsi al lavoro svolto e così fu spinto dalle lacrime a far emergere la differenza, che sentiva ormai nella stessa carne, tra la sua concezione del pensiero e della vita e quella di Gentile, che per lui sfociava facilmente nel misticismo, generando confusione tra pensiero e azione. Per Croce l’attualismo di Gentile è una «filosofia della storia» che non distingue giudizio e volontà: essa determina così un «tradimento degli intellettuali» che pone le premesse per portare la filosofia al potere, come sarebbe accaduto con il fascismo.
Il dibattito che ne seguì è, forse, tra le cose più alte della filosofia europea e Gentile – come si può leggere nella lettera inedita del 3 dicembre 1913, di cui riportiamo un brano – si preoccupò di mantenere il confronto sul piano ideale. Scriveva: «Intanto, sta pur sicuro che il mio animo è e sarà sempre quello d’una volta: perché non potrebbe essere mai altro. Tu mi parli di gratitudine tua verso di me; e che dovrei dire io? a quali espressioni ricorrere?». Ma la spaccatura tra le due filosofie era profonda perché riguardava il rapporto tra il pensiero e la vita e ciò che vi era in gioco era ciò che era stato «aperto» dalla morte della donna.
Croce lo scrisse ancora una volta in una lettera, il 6 ottobre 1913, ma questa volta a Renato Serra: «Ma mi permetta, caro Serra, di raccomandare a Lei, a Lei che ha il cuore buono, di raccomandarle in questa ora in cui il dolore mi strazia e sconvolge, la serietà della vita. Noi non possiamo vivere di affetti per cose o persone: dobbiamo amare e legarci, ma dobbiamo essere pronti a distaccarci senza cadere. E, per non cadere, non c’è altro modo che svolgere in sé il senso dei doveri verso la vita. Altrimenti che cosa resta? Il lurido suicidio o il lurido manicomio».
Ciò che vi era in ballo tra i due massimi filosofi italiani del Novecento era né più né meno che l’esistenza del male. La diversa filosofia che Croce e Gentile ebbero rispetto al problema del male determinò anche il loro diverso atteggiamento politico verso la guerra mondiale che era, ormai, alle porte (Gentile fu interventista e anti-giolittiano, Croce era sulle posizioni di Giolitti e per la neutralità attendista) e poi verso il fascismo: dal «dissenso filosofico» si passò al «dissidio politico».
Questa differenza di vedute nel concepire la filosofia e la politica, il pensiero e la vita è tutta leggibile nelle ultime parole dell’articolo di Croce ospitato dalla «Voce». Ma se si rileggono quelle parole si sentirà, ancora una volta, il dramma esistenziale del filosofo per la perdita della donna amata: «A me, insomma, la vita appare non come una commedia di equivoci, di gente che si crede malvagia ed è buona, di lagrime versate per isbaglio e che si possano asciugare presto con un sorriso e una carezza come si usa verso i ragazzi che si disperano credendosi grandemente colpevoli e non sono; ma come una tragedia, nella quale, attraverso l’onta e il dolore, si crea faticosamente il bene e il vero, e, attraverso la distruzione della felicità individuale, si crea una serenità dolorosa, che sarà anche felicità (anzi, la vera felicità), ma che quasi si sdegna di essere chiamata con questo nome, che le suona troppo idillico».