la Repubblica, 12 maggio 2019
Gli addii di Pellissier e Velasco
Partiamo dagli errori. Nella mia intervista a Sandro Portelli, pubblicata ieri, l’avverbio “militarmente” è definito aggettivo. È un lapsus. Faccio pubblica ammenda.
Errori più pesanti nella contabilità quelli del presidente Zamparini a Palermo, se la Procura federale ne ha chiesto la radiazione. Più che errori, “fatti di estrema gravità” li ha definiti il procuratore capo Pecoraro. In sostanza, negli ultimi tre anni il Palermo avrebbe taroccato i bilanci per essere in regola ai nastri di partenza, pur non essendolo. Premesso che non vado d’accordo né con bilanci né bilance, mi chiedo com’è possibile che per tre anni siano stati considerati regolari dei bilanci taroccati. C’è qualcuno che controlla? E se c’è, oltre a dormire e non capire, cos’ha fatto?
A proposito di non capire, tra le novità della Gazzetta c’è il tempo di lettura, in coda ai singoli pezzi di una certa lunghezza. Per la vicenda Palermo-Procura, 2’38”, Per l’ennesima intervista a Urbano Cairo, stavolta sul Giro, si calcolano 2’51”. Di più (3’30") il servizio sul Masters 1000 di Madrid. Cui prodest? È vero che da anni sento dire che gli italiani hanno sempre meno tempo per leggere i giornali, ma scandirgli i tempi come a Moser nel record dell’ora li aiuta? È un’informazione in più, ma non richiesta. Anzi, la considero un’intrusione nella mia attività di lettore, e una turbativa. Ammetto che si può reagire in svariati modi. Il primo, competitivo: ah, voi mi dite 2’09’’? E io leggo in 1’58”, voglio essere il primo a scendere sotto i 2’. Il secondo, polemico: sono slow e ci metto il tempo che voglio, tanto ne ho, non essendo connesso con nulla. Voi mi dite 2’09”? E io ci metto più di 3’, tiè. Il terzo, intrigante: scusate, ma 50 righe di Fabio Volo e 50 righe di Claudio Magris hanno lo stesso tempo di lettura? Il quarto, sbrigativo: fare come se il tempo non fosse indicato. Il quinto: il tempo è indicato, non si può ignorarlo ma si può votarlo: 2.
Sui giornali di ieri, due addii. Quello di Sergio Pellissier al calcio giocato, quello di Julio Velasco alle panchine della pallavolo. Pellissier, 40 anni, uno dei rarissimi valdostani a sfondare nel calcio, ne ha passati 17 con la maglia del Chievo. Che ha annunciato il ritiro della sua maglia numero 31. Giusto, per il Chievo Pellissier è stato l’equivalente di Baresi al Milan, di Bergomi all’Inter, di Totti alla Roma, di Antognoni alla Fiorentina. Capitano, anima e bandiera. Forse avrebbe fatto comodo la sua esperienza anche nella prossima stagione, in B, ma son cose che si dicono da fuori. Le scelte vanno rispettate: 7,5. Quanto a Velasco, la pallavolo andrebbe divisa in ante e post Velasco. In 44 anni di lavoro in tre continenti non ha solo vinto tantissimo, ma ha imposto una cultura dello sport che prima non c’era. L’ha imposta nella pallavolo, sport bellissimo ma in Italia, prima del suo arrivo, relegato in secondo o terzo piano. Avrebbe potuto seminarla anche nel calcio, se il nostro calcio ignorante e frettoloso, diffidente verso chi arrivava “da fuori” non avesse deciso di rispedirlo fuori. Alludo alla Lazio e, più ancora, all’Inter. Un addio pieno di dignità, Velasco chiude senza aspettare il declino, senza inseguire ingaggi che avrebbe trovato facilmente. Dalla sua lettera aperta: “E voglio ringraziare specialmente i giocatori che ho avuto e che mi hanno permesso di essere quello che sono diventato. Perché un allenatore non è altro che la propria squadra”. Molti dei suoi giocatori sono diventati buoni allenatori. Normale, se c’è un bravo maestro. Voto 9. E spero, non per una panchina ma per una scrivania, che lo sport italiano, in generale, non sia così ottuso da considerare un ex Julio Velasco: uno che ha la vela nel nome conosce le rotte migliori.
La frase, di Matteo Salvini: “Sono antifascista, anticomunista, antirazzista, tutti gli anti che volete”. Antipatico, anche.
La poesia, di Raffaello Baldini, romagnolo: “Vinicio u i éva fat una pasioùn/ e lì gnent. Sa chi occ véird e e’ maioùn zal/U i era ènca andé dri Lele Guarnieri/ e la dmenga l’avnéva da Ceséina/a balè un biònd s’una Giulietta sprint/. Mè, la era tròpa bèla, a n m’arisghéva. / Dop a la ò cumpagnèda fin a chèsa/ la à vért, ò dett: “Cs’èll ch’avrébb paghé ‘lòura/ par no purté l’ucell"/ la à ridéu: “A s’avdémm fr’agli élt vint’an”,/ pu da ‘e purtòun custèd, préima da céud/ la m’à guèrs: “T’am piésevi”,/senza réid, “Quanti nòti a t’ò insugné !”.
Traduzione dell’autore: “Vinicio ci aveva fatto una passione/E lei niente. Con quelli occhi verdi e il maglione giallo"/Le aveva fatto la corte anche Lele Guarnieri/ e la domenica veniva da Cesena/ a ballare un biondo con una Giulietta sprint./Io, era troppo bella, non m’arrischiavo/. Dopo l’ho accompagnata fino a casa,/ ha aperto, ho detto: Cos’avrei pagato allora/ per non portare gli occhiali”, / ha riso: “Ci vediamo tra altri vent’anni”,/poi dal portone accostato, prima di chiudere,/ m’ha guardato: “Mi piacevi”,/senza ridere, “Quante notti ti ho sognato!”.