Il Sole 24 Ore, 12 maggio 2019
Trump prepara nuovi dazi
La guerra dei dazi continua. L’undicesimo round di negoziati a Washington si è concluso senza un accordo. Sotto il fuoco di fila dell’aumento delle sanzioni, voluto da Trump, entrato in vigore venerdì su 200 miliardi di dollari e 5.700 categorie di prodotti cinesi.
La Cina è pronta a introdurre i suoi contro-dazi, ma per ora non lo ha fatto. I negoziati non si sono interrotti. Entrambe le parti confermano che le consultazioni sono state “costruttive” e continueranno” nel prossimo futuro. Si continuerà a negoziare a Pechino, ma la data non è stata resa nota. Gli americani spingono per chiudere entro tre quattro settimane. Prima dell’incontro tra Xi e Trump al G-20 in Giappone il 28-29 giugno.
Il quadro di fondo non è cambiato. Gli Stati Uniti tirano la corda: chiedono alla Cina di eliminare gli aiuti pubblici alle aziende e di rivedere il loro piano Made in China 2025, oltre a una maggiore tutela della proprietà intellettuale e degli investimenti stranieri. La Cina come precondizione di un eventuale accordo vuole che vengano cancellati tutti i dazi.
Il capo delegazione cinese Liu He alla fine dei negoziati ha concesso un’ampia intervista ai media cinesi. Ha spiegato che «la Cina non farà nessuna concessione in materia di princìpi». Per la prima volta, rompendo la sua tradizionale moderazione, ha fatto sapere quali sono le sue condizioni. Liu ha detto che ci sono tre punti imprescindibili da parte cinese per poter sottoscrivere la pax commerciale. Primo, come detto, la rimozione delle tariffe. Secondo: che i maggiori acquisti di prodotti americani per riequilibrare il saldo commerciale siano in linea «con la domanda reale» dei consumatori cinesi. Non un regalo, quindi. Terzo – punto non irrilevante per i cinesi – che il testo dell’accordo sia “bilanciato” e volto ad assicurare la “dignità” a entrambe le nazioni. Tradotto: che non ci sia un solo vincitore nella trade war, la più grave disputa commerciale dagli anni Trenta.
Le tre condizioni del capo negoziatore cinese mettono in luce le difficoltà ancora sul tavolo per trovare una sintesi positiva in un’intesa sempre più complessa tra le due prime potenze mondiali mosse da interessi diversi e contrastanti.
Gli Stati Uniti hanno concesso tre-quattro settimane di tempo alla Cina per tentare di chiudere l’accordo. Il segretario al Tesoro Steven Mnuchin ha quasi dato un ultimatum a Pechino. Ma è evidente che le concessioni non possono essere solo da una parte. La risposta di Pechino è arrivata chiara, subito dopo. D’altronde Liu He aveva già precisato giorni fa che la Cina non intende negoziare con la pistola puntata alla tempia. Ma Washington va avanti per la sua strada: lunedì il Responsabile speciale al commercio Robert Lighthizer annuncerà i nuovi ulteriori dazi che gli Stati Uniti sono pronti a introdurre, Trump gli ha già dato il via libera: una tassa del 25% sugli ultimi 325 miliardi di dollari di export cinese rimasti per ora fuori dall’offensiva protezionistica americana.
Con questa decisione tutto l’export cinese negli States verrebbe tassato. In questa ultima “tranche” di prodotti rientrano categorie sensibili per le aziende americane, come le scarpe e l’abbigliamento sportivo, i giocattoli e soprattutto l’elettronica di consumo. I prodotti che la Corporate America con la globalizzazione selvaggia realizza in Asia. Le Nike e gli iPhone rivenduti in Occidente dieci volte tanto. Il danno di questo ulteriore rafforzamento dei dazi verrebbe sentito non solo in Cina.