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 2019  maggio 12 Domenica calendario

Allungare le scadenze del debito italiano

Iragazzi della School of law della Duke University della North Carolina hanno idee chiare sul nostro debito. «L’Italia deve unilateralmente allungare le scadenze dei propri titoli di Stato in modo da mettere in atto una ordinata ristrutturazione che alleggerisca il peso del debito», scrivono Emma Cervantes, Victoria Dodev, Shane Ellement, Isabelle Sawhney nella loro tesi di laurea, datata 12 aprile 2019. Con scaltrezza notano, come fanno Nick Buchta e Charles Plambeck, che il momento è buono e che, contrariamente a quanto avvenne in Grecia, oggi «due terzi del debito italiano è nelle mani di creditori nazionali», in altre parole le conseguenze ricadrebbero tutte in casa nostra. Rob Harrington e i suoi compagni di corso, ben aggiornati sugli ultimi sviluppi della lontana Penisola, tagliano corto: «Con la recessione alle porte e il debito che cresce l’unica soluzione è quella di ristrutturare il 25% del debito italiano, cioè circa 500 miliardi: non è la panacea, ma darebbe un ottimo segnale». Semplici esercizi accademici? Niente affatto a guidare il team di ricerca della Duke University ci sono i migliori specialisti che in giro per il mondo sono in grado di intervenire per ristrutturare un debito sovrano. Si chiamano Mark C. Weidemaier, tedesco, che ha collaborato a risolvere la bancarotta di Porto Rico; Mito Gulati, di origini indiane, con un curriculum che va dalla insolvenza della Grecia a quella del Venezuela. Collaborano con Jeronim Zettelmeyer, già consulente del governo tedesco, impegnato nella battaglia per rimuovere tutti gli ostacoli giuridici ad una eventuale operazione di ristrutturazione del debito italiano. Chi lo conosce ricorda il suo mantra: «Perché voi economisti italiani siete così scettici sull’idea franco-tedesca di rendere più facile la ristrutturazione del vostro debito?». Sulla stessa linea Lars Feld, uno degli esperti economici della Merkel: nelle ultime ore ha rilanciato la questione “ristrutturazione” con una dettagliata proposta apparsa sulla “Review of financial economics”. In attesa della partita finale il fronte “ristrutturazionista” affila le armi giuridiche. Il punto è che il Fiscal compact, oggetto di critiche costanti, ha introdotto quella che alla fine si è rivelata una forte barriera giuridica e garantista all’intervento sui debiti pubblici, sia esso un haircut, ovvero un taglio, oppure un semplice allungamento delle scadenze: si chiama Cac, collective action clause, e prevede che prima di procedere all’intervento almeno il 75% dei sottoscrittori di ogni singola serie di Btp dia il suo voto favorevole all’operazione. Un meccanismo farraginoso, ed esposto a ricorsi legali, che molti vorrebbero superare anche in Europa. Ma tra i paper della “Duke Law” si studiano anche soluzioni più radicali: come quella che sarebbe consentita dall’articolo 3 del “Testo unico sul debito pubblico” del 2003, pressoché sconosciuto in Italia, che autorizza il Tesoro ad effettuare operazioni di ristrutturazione del debito. Secondo i “maghi” della “Duke Law” la norma permetterebbe al Tesoro una ristrutturazione unilaterale, senza passare per il Parlamento, scavalcando le “Cacs” e il “referendum” tra i risparmiatori. Le autorità italiane tuttavia negano questa interpretazione “made in Usa” e ribadiscono che la parola “ristrutturazione” è da intendersi come “volontaria”. Per convincerli è dovuto scendere in campo nel blog, frequentato dai “ristrutturazionisti”, creditslip. org, Giampaolo Galli, già Bankitalia. «Volete farci fare la fine dell’Argentina?», ha scritto demolendo l’ipotesi con una valanga di argomenti. Per ora la partita è chiusa, ma si riaprirà.