Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  maggio 11 Sabato calendario

Biografia di Claudio Lotito

Claudio Lotito, nato a Roma il 9 maggio 1957 (62 anni). Imprenditore, principalmente nel settore dei servizi di pulizia e della vigilanza privata. Dirigente sportivo. Presidente della Lazio (dal 19 luglio 2004). Comproprietario – con il cognato Marco Mezzaroma – della Salernitana (dal 26 luglio 2011). Membro del consiglio federale (dal 2009) e del comitato di presidenza (dal 2018) della Figc. «Io ho una visione noumenica dell’esistenza, mica fenomenica» • Ascendenze umbre per parte paterna, laziali (San Lorenzo, frazione di Amatrice) per parte materna • «La sua famiglia? “Una famiglia dell’Arma. Mio padre, mio zio e mio nonno: tutti carabinieri”. Sua madre? “Insegnante”. Lei che scuole ha frequentato? “Il liceo classico dai carmelitani di Sassone, dalle parti di Ciampino, sulla via dei Laghi”. È vero che era un po’ secchione? “Presi un premio per una delle migliori cento pagelle d’Italia. Un giorno i miei compagni protestarono col professore perché stavo piegato sui libri anche la domenica. Devo ancora ringraziare mio padre per avermi mandato in quella scuola”. Perché? “Erano gli anni Settanta. La politica era infuocata. Chissà che avrei fatto se fossi stato per strada?”. Non ha mai fatto politica? “No. Zero”. […] Il suo primo ricordo da tifoso? “Io sono diventato della Lazio grazie alla mia tata. A cinque anni, mentre passeggiavamo, incontrammo il suo fidanzato. Lui mi chiese per chi tifavo. Risposi: ‘Boh’. E allora mi disse: ‘Devi tifa’ Lazio’”. Lei giocava a calcio? “In porta. Il mio mito era il sovietico Lev Yashin”» (Vittorio Zincone). «Da ragazzino […] facevo il giornalista. Ero collaboratore del Tempo, facevo il corrispondente da un paese della provincia di Roma». «Di che cosa si occupava? “Di tutto. Per le cronache locali del Tempo, anche di arte. Mi piace il Settecento. Dopo l’esperienza giornalistica e la laurea in Pedagogia, mi misi a fare l’imprenditore”. Pulizie e security. Come mai? “Era un settore in espansione. Sono un vero self-made man”» (Zincone). «Prima del 2004 nessuno sapeva chi fosse. Il suo nome uscì a un certo punto come quello giusto per la salvezza della Lazio che stava fallendo. Buio, più o meno. Chi è ’sto Lotito? “Il genero di Mezzaroma”. Claudio faceva l’imprenditore di successo da anni: nel 1987 aveva fondato la prima impresa di pulizia, la Snam. Poi, altre tre: la Linda, l’Aurora e la Bona Dea. Più una società di vigilanza. Appalti e milioni. Regione, provincia, comune, banche, ospedali, Asl. Però zero fotografie, nessun segno di riconoscimento né alcuna segnalazione mondana, nessuna voce, se non qualche piccolo incidente di percorso durante l’epoca di Mani pulite» (Beppe Di Corrado). «Nel novembre del 1992 un giovane Claudio Lotito finiva in manette nel bel mezzo della bufera di Tangentopoli. “Arrestato un imprenditore, appalti miliardari” era il titolo del Messaggero, che lo descriveva così a un pubblico che ancora non lo conosceva: “Bella presenza, pistola in tasca, telefonino, è fidanzato con una delle figlie del costruttore Gianni Mezzaroma; l’ordine di cattura parla di turbativa d’asta e violazione di segreti d’ufficio”. Una pistola rigorosamente registrata. […] Da quella vicenda, Lotito è uscito indenne, completamente innocente, per tornare a conquistare commesse da Comune, Provincia e Regione. Qualcuno ha indicato nella sua amicizia con l’ex governatore Francesco Storace il segreto del successo, ma lui ha fatto spesso notare come il periodo migliore per le sue aziende sia stato quello fra il 1995 e il 2000, quando alla Regione c’era il centrosinistra, con Piero Badaloni» (Gabriele Lippi). «Altro veleno. Quello del presunto tifo per la Roma: pareva l’avessero visto più volte in tribuna Monte Mario, e non quando giocava la Lazio. Cattiverie, respinte con perdite da altre indiscrezioni: sulle divise delle guardie giurate della Global Security, la sua società di vigilanza che alla Regione Lazio andava per la maggiore, c’era un’aquila biancazzurra. Altro che romanista: laziale da sempre» (Di Corrado). Nel 2004 «diventa padrone della Lazio, all’ultimo giorno utile per salvare la società dalla mannaia della Covisoc, con ventuno milioni cash versati alle 15.09 del 19 luglio: […] quasi nove milioni per superare la strettoia dei controlli prima dell’iscrizione al campionato, il resto per avere un po’ di liquidità e ripartire, dopo il crac di Cragnotti e l’interregno di Capitalia come guida di un pool di creditori. Già qui, Lotito è furbo: vince un braccio di ferro politico, perché lui era sostenuto da Storace (all’epoca governatore del Lazio) e Piero Tulli, l’altro contendente, […] era sponsorizzato da Veltroni (allora sindaco di Roma). C’è la politica e l’emergenza, è dunque l’ambiente ideale di Claudio Lotito, che comincia dal 32 per cento delle quote, ma è l’eroe che tiene in vita la Lazio e dunque ecco tremila tifosi sotto la Curva Nord […] che festeggiano. Quello che per Lotito è “il giorno più bello della mia vita da imprenditore” per i laziali rimane comunque il giorno della resurrezione senza nemmeno essere morti del tutto. La politica non è solo nella sponsorizzazione per diventare il salvatore nella Lazio, ma anche nel versamento, visto che parte dei ventuno milioni sono anche di Mario Masini, allora parlamentare di Forza Italia. Un milione, non molto. Ma quanto basta per darsi una collocazione. Che non sarà casuale quando compie il suo capolavoro di destrezza: spalmare un debito di 150 milioni, già rateizzato per cinque anni, in ventitré anni. Alla Lotito, trovando una legge mai applicata (l’astuzia), sfruttando le pressioni dei tifosi che manifestavano dinanzi all’Agenzia delle Entrate quando ancora credevano in lui come uomo della provvidenza (la capacità di scegliere l’attimo giusto) e facendo leva sulle sue amicizie di area politica ai tempi del governo Berlusconi (dunque, la politica)» (Fulvio Paglialunga). «C’era una legge del 2002 su quella rateizzazione, e io la Lazio l’ho presa nel 2004. Non era una legge ad hoc per me, ma una legge esistente che consentiva la transazione non solo su more e interessi, ma anche per la parte capitale. Ma non mi hanno dato alcun abbattimento del dovuto. Solo una dilazione dei pagamenti in 23 anni. Del debito che trovai, 150 milioni e più erano con il fisco. Ogni anno pago regolarmente 6 milioni, e forse sono uno dei pochi che paga pure in anticipo la rata dovuta. […] Sono un contribuente modello» (a Franco Bechis). Appena insediatosi alla presidenza della Lazio, Lotito varò una serie di misure draconiane. «Alla prima riunione del consiglio di amministrazione, ha accusato i consiglieri di guadagnare troppo, a spese della buona salute della squadra. […] “Se volete stare in questo consiglio avete da paga’ voi”, ha detto ai consiglieri. Poi per la prima partita di campionato ha annullato tutte le tessere omaggio. Niente privilegi: chi vuole vede’ ’a Lazio, ha da paga’. […] Poi Lotito ha deciso che poteva fare a meno di tutti gli addetti della società allo stadio. 300 persone sostituite con solo 120 persone senza esperienza, che provenivano dalle sue aziende, e “a gratis”. […] Poi è andato da Volfango Patarca, storico selezionatore della giovanile della Lazio, l’uomo che ha scoperto Di Vaio e Nesta, e lo ha liquidato su due piedi. Ha messo al suo posto un ex generale amico suo. E ancora: lo staff medico della Lazio è stato licenziato e sostituito con un nuovo staff medico. A costo zero. Gratis. Come sia possibile, lo sa soltanto lui. […] Tutto questo in nome della lazialità. In campo Lotito non vuole giocatori, ma gladiatori. A basso prezzo, possibilmente. Quando ha potuto, ha ritoccato i contratti» (Roberto Cotroneo). «Duro, durissimo quando si tratta di perseguire i propri interessi, Claudio Lotito ha spesso condotto con la stessa linea i rapporti con i suoi giocatori. In tanti hanno accusato il presidente di mobbing, dopo essere stati messi ai margini della rosa a causa di contratti non rinnovati o ingaggi che non accettavano di farsi decurtare. […] Dino Baggio, Pasquale Foggia, Modibo Diakité, Mauro Zarate, Christian Manfredini, Massimo Mutarelli, Riccardo Bonetto, Lorenzo De Silvestri, Guglielmo Stendardo. Persino un allenatore, Vladimir Petkovic. La lista dei tesserati con cui Lotito ha avuto scontri verbali o legali è piuttosto lunga» (Lippi). Col tempo, però, la sua terapia d’urto s’è rivelata efficace. «Quando Claudio Lotito l’ha acquisita, nel 2004, la Lazio era tecnicamente fallita, “86,5 milioni di perdite e 550 milioni di debiti”, dice lui, il presidente. L’esposizione finanziaria, dopo il crac di Sergio Cragnotti e della Cirio, era da far tremare le vene e i polsi, la squadra era in balìa d’una curva violenta che s’immischiava degli affari societari. […] Lotito […] ha scardinato gli interessi semi-illegali della tifoseria, ha annichilito il potere contrattuale dei procuratori, e, sfidando una permanente impopolarità, compreso il nomignolo di Lotirchio, ha riportato in utile la squadra: “Avere il consenso è facile”, dice, “basta assecondare i desideri della gente. Ma così non cambi nulla. Contrastare certe consuetudini, sfidare le disfunzioni fa bene…”» (Salvatore Merlo). «Quando 15 anni fa lei prese la Lazio, […] disse che voleva moralizzare quel che evidentemente non aveva morale. Ci è riuscito? E come? “Alcuni cambiamenti fondamentali ci sono stati. Non totali, e infatti ci stiamo ancora lavorando. Immaginate che quando sono entrato nel sistema la Lazio aveva un fatturato di 84 milioni, ne perdeva 86,5 e aveva 550 milioni di debiti. Oggi è una società in equilibrio con un buon rating, ed è riuscita a coniugare questo con qualche buon risultato sportivo. […] È anche altamente patrimonializzata, perché ha 200 milioni di patrimonio immobiliare e 600 milioni di patrimonio dei giocatori. È autosufficiente, cosa che le consente di guardare al futuro in modo diverso, senza temere di esistere oggi e non più domani”. Quindi le è riuscita l’opera di “moralizzazione” che si proponeva? “Non solo per noi, perché ho contribuito a fare introdurre nel sistema alcune regole. Ad esempio, oggi anche chi compra più del 10% di una squadra di calcio deve portare il certificato antimafia, deve avere una dichiarazione di un istituto bancario di rilevanza nazionale che ne attesti la solidità economica e la legittimità della provenienza dei capitali e non deve essere stato condannato in via definitiva per nessun reato con pena edittale superiore ai 5 anni, né per 4 reati con pena minore: frode, appropriazione indebita, truffa e doping. Queste sono le regole. Poi, come in ogni sistema, ci sono persone che si adeguano e altre no. Ma stiamo mettendo paletti sempre più stretti…”» (Bechis). «"Da quando ci sono io, tolte Juve, Inter e Milan, la Lazio ha vinto più di chiunque in Italia". Una frecciatina alla Roma? "È una constatazione, basta contare i trofei: due Coppe Italia, due Supercoppe. Poi magari qualcuno ha la Coppa delle Fiere…". Vede che ce l’ha con la Roma. Che è più avanti per il nuovo stadio: che fine ha fatto il vostro progetto sulla Tiberina? "Mi sono stufato di fare da apripista. Mando avanti gli altri. Un principio deve valere per tutti. Che facciamo, guelfi e ghibellini? Se il Comune consente a una delle due di fare lo stadio, deve farlo anche l’altra". […] Ma la vostra idea include costruzioni residenziali: la legge stadi nega questa possibilità. "Ed è un errore. La Juve lo ha capito: per aumentare i ricavi da stadio non bastano gli sky box, servono 20 mila residenti in zona. Per questo, di nuovi stadi, non ne fa nessuno: sarebbero nel deserto". Qual è il suo obiettivo ora? "Rompere l’assioma per cui più spendi, più vinci. Ci sono esempi recenti all’estero di outsider capaci di battere i colossi". […] I tifosi la criticano lo stesso. "Ma in estate ho comprato, e ho rifiutato per un calciatore un’offerta a cifre a cui nessuno al mondo avrebbe detto di no". Parla di Milinkovic, è chiaro. "Il nome, non lo dico. Mi ero impegnato con Inzaghi a non cederlo. E l’offerta arrivò al penultimo giorno di mercato: non avevo tempo per sostituirlo"» (Matteo Pinci). «È contento della stagione che sta facendo? Riconfermerà Inzaghi allenatore? Ha pronta la lista della spesa per la campagna acquisti? “Le considerazioni, si fanno a fine campionato. Oggi siamo ancora sospesi, con traguardi alla portata ma non ancora raggiunti. Ci sono partite non solo calcistiche aperte, e vedremo dove approderemo. Sulla base di quello penseremo al domani. Inzaghi oggi ha un contratto, e nessuno – io per primo – l’ha messo in discussione. Cerchiamo di ottenere prima il massimo, perché questa squadra ha grandissime possibilità e deve saperle rispettare. Può tornare nell’olimpo del calcio internazionale”. Mi sta dicendo: se entra in Champions apriremo borsellino, altrimenti no? “I piani si faranno un funzione dei campionati che dovremo disputare, e quindi anche delle entrate previste”» (Bechis) • «Fin da quando nel 2004 ha acquistato la Lazio, salvandola dal fallimento, Lotito ha mostrato un particolare interesse per il governo del pallone italiano. E si è inserito da subito piuttosto bene negli ingranaggi del Palazzo. Da tempo consigliere federale della Lega Serie A, nel 2014 è riuscito a compiere il suo personalissimo capolavoro, portando alla presidenza della Federcalcio Carlo Tavecchio, nonostante una gaffe razzista (il famoso “Optì Pobà è venuto qua che mangiava le banane”) rischiasse di minarne la credibilità e sottrargli l’appoggio degli elettori» (Lippi). «Lotito, controlla ancora lei il calcio italiano? "Il nostro è un mondo che va bonificato nell’interesse del sistema. Il consenso non te lo dà il fatturato, te lo danno gli altri. Io tutelo soprattutto i più deboli del calcio. E mi ascoltano perché dico cose sensate: vedo 5 anni avanti, gli altri vivono per il ‘carpe diem’". Ed è stato rieletto in consiglio federale. Ai tempi di Tavecchio lei era l’uomo più potente. "Con Tavecchio mi massacrarono perché indossai una felpa della Nazionale, ma me la fece dare lui dal magazziniere a Bari perché pioveva. Io e Carlo abbiamo fatto le riforme: la norma sulla proprietà che obbliga a produrre certificati bancari su solidità e provenienza dei fondi. Anche se mi pare che la applichino poco. La Var chi l’ha voluta? E la Goal line?". Ne trasse anche qualche beneficio: la deroga per tenere sia Lazio che Salernitana. "Non è così. La Salernitana la presi in Serie D: era permesso. Ho vinto la D, la C2, la C1. Se cresci per merito sportivo, mantieni la proprietà, ma se la Salernitana salisse in A dovrei scegliere di vendere una delle due: non esistono favori". E quale venderebbe? "Io non mi fascio la testa prima di rompermela"» (Pinci) • «Quando nel 2006 scoppiò lo scandalo Calciopoli, la Lazio si trovò tra le società maggiormente coinvolte. La volontà dell’allora presidente della Figc Franco Carraro era resa evidente da un’intercettazione in cui il numero 1 del calcio italiano diceva: “Bisogna aiutare la Lazio”. Il club biancoceleste, in un primo momento, fu retrocesso con Juventus e Fiorentina, ma la Serie B fu confermata definitivamente solo per i bianconeri. La Lazio se la cavò con 30 punti di penalizzazione sulla classifica del 2005/06 e altri 3 per il campionato successivo, il suo presidente con un’inibizione di quattro mesi. Il processo penale, per Lotito, si è concluso con la prescrizione in Cassazione, dopo una condanna a 18 mesi di reclusione e 40 mila euro di multa in Appello» (Lippi) • Un figlio dalla moglie, Cristina Mezzaroma, figlia di Gianni Mezzaroma, noto costruttore della capitale ed ex comproprietario della Roma, e sorella di Marco Mezzaroma, con cui nel 2011 Lotito rilevò la Salernitana • «Vengo da una famiglia molto religiosa: qui in tasca ho il Vangelo e il rosario. Li porto sempre con me. Quel che ho fatto, l’ho costruito con le mie mani, ma è stata la divina Provvidenza a mettermi sulla strada giusta». «Ho una visione escatologica della vita. Ognuno di noi è il prodotto di un disegno divino. Ho fede in questo. […] Poi i valori cristiani sono anche il riferimento per quello che cerco di fare passare nel sistema del calcio. Ai miei giocatori faccio officiare la Santa Messa, e li mando negli ospedali, nelle case di riposo, nelle scuole pensando proprio di fare portare loro quei valori» • «Per risollevare l’Italia ci vorrebbe gente come me al governo. Io potrei fare benissimo il ministro dell’Economia. Poi potrei andare all’Interno e ai Lavori pubblici. Piaccio anche al Vaticano. Diano a me l’Alitalia, e vedete come la risano». Dopo numerose ipotesi di candidatura (sempre nelle file del centrodestra) risultate infondate, in occasione delle elezioni politiche del 2018 Lotito fu effettivamente candidato per il Senato da Forza Italia, senza però riuscire a essere eletto • È sempre munito di almeno quattro telefoni cellulari. «Uno è dedicato alla squadra, uno alle mie altre attività professionali, un altro ancora alla famiglia e uno è riservatissimo, il numero lo ha soltanto la mia segretaria. Li spengo soltanto durante le tre ore e mezzo di sonno che mi concedo ogni notte e quando vado in chiesa, la domenica» • «Amante dei riflettori, determinato a fare tutto di testa sua, Lotito è colui che, nelle parole del presidente della Sampdoria Massimo Ferrero, “se c’è un matrimonio vuole fare la sposa, se c’è un funerale vuole fare il morto”» (Lippi). «Non ama molto il contraddittorio: gli piace discutere, ma deve parlare quasi sempre lui. Parte e comincia: primo, secondo, terzo; latino, greco. Quando era ospite al Processo del lunedì, si arrendeva persino Aldo Biscardi» (Di Corrado). «Instancabile lavoratore (quattro telefonini, sempre accesi), sempre in prima fila quando c’è da dialogare con le istituzioni pubbliche per ottenere appalti, presente a ogni assemblea di club: “Ho uno spiccato senso della sinestesia, ovvero faccio più cose contemporaneamente”. Insomma, tesse rapporti con tutti: da parvenu del calcio, ne è diventato uno dei burattinai» (Aldo Grasso) • Alquanto verboso, è noto per l’uso insistito di latinismi e citazioni letterarie. «Apre e chiude parentesi immaginarie che durano minuti interi, s’attorciglia nella citazione, fa l’inciso dell’inciso. Poi piazza la sua parola preferita: “Avulso”. “Io sono avulso da questo mondo”, ma anche “questa è una situazione avulsa dal resto”, oppure “una volta lo sport era quasi avulso dal carattere economico, oggi è un mercimonio”. Allora il pubblico è avulso, le televisioni sono avulse, i calciatori sono avulsi, il mercato è avulso. […] “Bisognerebbe procedere a una rivoluzione poetica nel mondo del pallone. Il calcio dovrebbe interpretare Manzoni. Il romanzo, per Manzoni, doveva essere utile, come scopo, cioè deve insegnare qualcosa. E vero, come soggetto. E infine interessante, come mezzo: non deve annoiare. Il calcio dovrebbe attenersi agli stessi indirizzi”. Poi pure il fanciullino di Giovanni Pascoli: “Dobbiamo valorizzare il bambino che è in noi: dobbiamo essere spontanei, trasparenti, nell’amministrare il calcio. Io sono un volitivo e combattivo. E vorrei citarle Dante… quei versi immortali: ‘Fatti non foste a viver come bruti, / ma a seguir virtute e conoscenza [in realtà ‘ma per seguir virtute e canoscenza’ – ndr]’. Canto ventiseiesimo dell’Inferno”» (Di Corrado). «Non nego che il latino e il greco possano essere utilizzati per stordire l’interlocutore. Ma lo sport non può essere disgiunto dalla cultura. Nel calcio ce so’ troppi analfabeti» • «Gli ultrà […] lo chiamano Lotirchio. Lui non apprezza: “Falso. Non accetto posizioni distruttive, combatto i tifosi di professione. Amo gli empatici, sospinti dalla passione. E poi non mi riconosco, per la vita privata. Non lascio avanzi nel piatto. Nel lavoro applico dettami morali ed etici. Ma non sono tirchio, è una bufala giornalistica”» (Di Corrado). «Lotito […] mi spiega a modo suo la crisi del calcio italiano: “Non escono più buoni giocatori perché è più facile andare a comprare un prodotto finito all’estero anziché coltivare il seme, innaffiare e raddrizzare la piantina. E poi non escono più talenti perché gli italiani so’ viziati. Pieni di sovrastrutture: qua nessuno vuole più faticare. Pretendono”. […] “Non se sanno regolà. Gente che non vale nulla e che prende un sacco di soldi”. E Lotito ce l’ha soprattutto con i procuratori, gli agenti dei calciatori. “So’ bestie assatanate”, mi dice. “Nel calcio la gente pensa di aver trovato sempre qualche fesso da mungere. E spesso i fessi sono i presidenti delle squadre di calcio. Ma io non sono fesso. Non mi faccio mungere”. […] “Adesso ti faccio un paragone silvano-agreste”, dice. “Con me pensavano d’aver preso la vacca per le zinne, e invece hanno preso un toro per le palle”. La metafora non sarà elegante, ma rende» (Merlo) • «“’Sto mondo va cambiato. Nel pallone ho trovato più prenditori che imprenditori, più magnager che manager”. […] Quando ha comprato il club, il re delle pulizie ha ritrovato la ramazza e ha cancellato un po’ di personaggi. Le deleghe, le ha prese lui. […] Non gli piacciono altri protagonisti. È per questo che deve aver maturato l’idiosincrasia per i capitani. […] Il presidente non è uno che dà spazio. Anche nella vita privata. Dicono che la villa da 1.600 metri quadrati a Cortina non abbia visto entrare architetti e arredatori, ma solo operai. Riparazioni, decorazioni, gestione dei lavori, li avrebbe fatti di persona mastro Claudio. “È vero. Ho scelto le piastrelle dei bagni, sono andato dal tappezziere e ho scelto anche le stoffe. A mia moglie l’ho consegnata chiavi in mano. Io sono fatto così. Sono stato sempre fatto così”. Per la Lazio vale come per la villa, allora anche gli allenatori devono adeguarsi alla filosofia dell’uomo solo al comando» (Di Corrado). «Se i tifosi hanno mal di pancia, prendessero l’Alka-Seltzer…» • Ma Lotito non è solo folklore, e questa immagine gli brucia. Nessuno sa che ha pagato di tasca sua la tensostruttura che ha ospitato i funerali delle vittime di Amatrice, di cui è originario. “Non ne voglio parlare”. Abbassa la voce: “Io facevo, gli altri tagliavano i nastri”» (Goffredo De Marchis). «“Non ho alcun emolumento, né rimborsi spese dalle aziende calcistiche”. Vuole dirmi che non è manco un affare occuparsi di calcio? “Non è un affare. È una passione. Ed è anche una missione. Perché io ritengo che si possano conciliare i risultati sportivi con quelli economici. La missione del calcio è trasmettere i valori fondanti della società civile: superare gli steccati di carattere culturale, sociale, economico e razziale. Pensate che al tempo delle Olimpiadi in Grecia venivano sospese le guerre. […] Il calcio sa insegnare tanto, se vuole. Dallo spirito di sacrificio allo spirito di gruppo, fino al merito. Ecco, vincere è importante: ma alla fine si vince quando lo meriti”» (Bechis). «La cosa migliore che Lotito ha fatto alla Lazio […] è anche la ragione per la quale gira con la scorta. […] Lotito ha smantellato i sussidi agli ultras, ha rotto i legami con le curve violente del tifo organizzato, ha ritirato le centinaia di abbonamenti gratuiti che venivano regalati alla teppa e ha pure stracciato gli accordi commerciali (e un po’ corruttivi) che affidavano agli ambienti della tifoseria organizzata la commercializzazione dei gadget della Lazio, ha anche denunciato infiltrazioni camorristiche. È per questo che gira con un’auto di scorta della polizia. […] “Quando arrivai nella Lega calcio, da Cenerentolo, c’era Diego Della Valle che mi zittiva: ‘Tu stai zitto e paga le tasse’, mi diceva. Ora invece mi stanno a sentire tutti. Sono diventato autorevole”» (Merlo) • «Vincere le scommesse è una mia dote. Vincerò anche quella sulla Lazio».