11 maggio 2019
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Biografia di Valentino
Valentino (Valentino Clemente Ludovico Garavani), nato a Voghera (Pavia) l’11 maggio 1932 (87 anni). Stilista. Fondatore dell’omonima casa di moda. «“L’ultimo Imperatore”, “The Chic”, “The New Age Caesar”, “Re di Roma”: quale dei soprannomi che le hanno dato le piace di più? “Credo che il nome Valentino dica tutto”» (Elvira Serra) • «Torre Menapace è un sobborgo periferico dove Voghera si stempera a settentrione nella campagna piatta dei campi divisi da filari spettrali di gelsi, alberi mutilati per fascine, che solo in estate concedono qualche rara foglia. […] Di lì vengono i Garavani. Lì c’era la cascina del nonno. Anche lui con quel nome da bambino, Valentino. Il figlio, Mauro, sposa Teresa e si trasferisce in un caseggiato umbertino nel centro di Voghera. Due piani, facciata giallastra vagamente neoclassica, interno con appartamenti di ringhiera, di fronte il mercato coperto. Prima apre una bottega da barbiere, poi passa al commercio all’ingrosso di articoli elettrici. Con questa seconda attività procura alla famiglia una certa agiatezza, una quasi ricchezza, almeno nei parametri della provincia. Nel 1925 la moglie dà alla luce Wanda. Sette anni dopo arriva Valentino. Già alle elementari, istituto De Amicis, il secondogenito Garavani disegna distratto, sui libri di scuola, fiori e modelli di vestiti come fiori capovolti. Studente con profitto non brillante del liceo classico Grattoni, ruba ore ai compiti pomeridiani per frequentare un corso da figurinista a Milano. Al ritorno, percorre a piedi la breve distanza che separa la stazione da piazza Meardi. Si siede su una panchina e racconta agli amici. La moda è già una specie di religione. Vi si accosta con la devozione e la costanza di un seminarista. La vocazione era stata precoce, a sei anni. “L’ultima figlia di Vittorio Emanuele III sposa il principe Luigi di Borbone Parma”. La radio di casa, in radica, pesante e massiccia come un cassettone, annuncia il fidanzamento ufficiale. “Per la lieta circostanza”, aggiunge lo speaker, “Sua Altezza Reale indosserà un abito di lamé verde”. Lamé verde. Una formula, due parole, una scintilla che accende sogni infantili. Sogni che nel negozio di tessuti della zia, in via Torino, si moltiplicano per i nomi di stoffe francesi. Dentelle. Faille. Taffettà. Mousseline. Crêpe georgette. […] Conserva, crescendo, l’aria un po’ infantile del paggetto. I maglioni di cachemire sono gli unici lussi di una giovinezza senza vizi, strappati al padre con l’immancabile ed efficace intercessione materna. La stessa intercessione che gli procura a diciotto anni il permesso di andare a Parigi. E centomila lire al mese per viverci più che dignitosamente, comunque vada» (Antonio Armano). «Quando ho iniziato a lavorare, a Parigi, i miei concorrenti erano due ragazzini sconosciuti come me: Yves Saint-Laurent e Karl Lagerfeld. Anche loro, come me, uscivano dalla scuola della Chambre syndicale de la couture. Io venni mandato a fare pratica da Jean Dessès, Saint-Laurent da monsieur Dior e Lagerfeld da Balmain. Dopo l’apprendistato, tutti e tre ci siamo messi in proprio» (a Jacaranda Falck). «Viene messo a bottega da Dessès. Da lui impara la costruzione tecnica, l’interpretazione della stoffa, il valore dei rapporti cromatici. Prende casa a Saint-Germain-des-Prés. Di sera frequenta i foyer dei teatri: la danza è la sua seconda passione. Anche qui, zero improvvisazione. Studia i fondamenti al Palais de Chaillot e debutta con successo in un balletto di Béla Bartók. In Italia canta, in un’estemporanea performance radiofonica, La canzone di tutti, esordio senza seguito per una gola magari anche fine e intonata; ma già di poche parole. L’ambiente artistico della capitale francese lo attrae. Yvette Chauviré, celebre danzatrice, ammirata di sera, è la sua ispirazione diurna per i tagli leggiadri. Niente bohème. Detesta istintivamente tormenti e contrasti, tutto scorre liscio come seta. […] Jean Renoir lo nota e lo convoca sul set di un suo film. Domani si gira. Vuole dargli una parte, un ruolo impegnativo, anche se breve. “Domani non posso, grazie, maestro, ma è santa Caterina, patrona delle sarte”. Forse sente minacciata l’esclusività di un apprendistato preciso, pignolo, puntuale, una disciplina professionale che ha assunto carattere devozionale. Passa a Guy Laroche. È giovane, gli permette di abbandonarsi al suo estro. Frequenta la Viscontessa de Ribes. “Erano i tempi in cui le donne si cambiavano tre, quattro volte al giorno. Il parrucchiere era importante come il calzolaio. Mentre la De Ribes si preparava, io schizzavo le sue idee. Di solito indossava quei piccoli ‘nulla’ neri che erano tutto”. Gli rimane impresso il segno della semplicità cui un tocco, uno sbuffo, un fiocco, regala spettacolarità teatrale. Il lusso e la classe dei francesi. Resterà la sua cifra estetica. La donna che vuole vestire non deve passare inosservata. In uno scampolo di vita normale incontra Giancarlo Giammetti, studente di Architettura. Toscano, solare quanto lui è lunare, di sei anni più giovane. Nasce un legame che diverrà sodalizio anche d’affari. […] Quando, alla fine degli anni Cinquanta, sente di avere l’arte da parte, vende i suoi cinquanta maglioni di cachemire in un’ultima puntata sulla Costa Azzurra e, neanche trentenne, si trasferisce a Roma. Apre un atelier in via Condotti. Il padre ha messo ancora mano al portafoglio, ma dietro il gesto che intacca la montagna di risparmi c’è l’impulso della madre. Un socio vogherese partecipa all’impresa nella miope illusione di immediati ritorni, e presto si ritira. Bianco è il colore della collezione d’esordio. Prime difficoltà, e qualche servizio sui rotocalchi. Giammetti prende su di sé le mansioni organizzative e le pubbliche relazioni. In questo, il sognatore silenzioso non ci sa fare. Gli anni Sessanta segnano l’inizio di un’ascesa costante» (Armano). «Il ricordo di una Firenze che il 19 luglio del ’62 lo lanciò nel firmamento delle griffe internazionali è un pezzo di storia, un fil rouge che percorre le scelte estetiche di tutta la sua carriera. Come rammenta quei giorni? “Avevo 29 anni. Ero timidissimo, lavoravo da un paio di stagioni, ma non avevo ancora calcato la pedana. Il mio socio, Giancarlo Giammetti, e la sua assistente Orsetta Torlonia partirono da Roma per incontrare a Firenze il marchese Giorgini”. Giorgini, ovvero l’uomo che lanciò nel mondo il made in Italy alla grande con i défilé nella Sala Bianca, era alla ricerca di talenti. Il suo progetto? Rompere la sudditanza con la moda francese mostrando ai compratori stranieri prodotti italiani di altissima qualità a prezzi contenuti. Nell’immaginario collettivo nordamericano l’Italia si collegava ai Ladri di biciclette, agli Sciuscià. Il marchese decise che, attraverso la moda, la foto del Belpaese povero e svilito sarebbe cambiata. Un’operazione geniale che segnò il trionfo delle nostre sartorie. A Valentino, ancora poco noto, Giorgini offrì l’ultima ora dell’ultimo giorno. Fu un successo. Patricia Peterson del New York Times scrisse: “La collezione di Valentino è stata in assoluto la numero uno. La sfilata di ieri sera a Palazzo Pitti ha portato il giovane designer, che è bello come lo ‘sceicco’, al top della moda. Ha intuito il ritorno della manica (importante e ottocentesca, ndr) e ne ha fatto il punto focale della sua linea”. L’anno dopo Valentino scelse ora e giorno della sua sfilata, con grande rabbia dei colleghi più anziani (leggi Marucelli, Galitzine & company)» (Antonella Amapane). «Jacqueline Kennedy vede un Valentino indosso a un’amica, durante un gala newyorchese. Chiede chi l’ha disegnato, e il caso vuole che lui sia ancora in città. Tra l’omicidio di JFK e il secondo matrimonio, la stampa americana trova il tempo di interessarsi all’abbigliamento dell’ex first lady. Giudizi lusinghieri di penne acide use a malignare sul jet set. Arrivano ordinazioni su ordinazioni. L’abito per il matrimonio con Onassis verrà richiesto da altre trentotto clienti (ma c’è chi dice quattrocento). Valentino comincia a fare scuola, lo certificano le prime imitazioni» (Armano). «Lo stilista inizia la scalata nel bel mondo del jet-set. Veste donne importanti come Begum Aga Khan, Farah Diba, Jacqueline Kennedy Onassis, Liz Taylor, Marella Agnelli e la principessa Margaret. […] Sofia Loren si innamora dei suoi abiti e si fa vestire da lui per parecchi anni. Ma Roma gli va stretta, e per presentare le sue collezioni di prêt-à-porter sceglie, in pieno ’68, di sfilare a Parigi, città dove la moda gode di maggior prestigio» (Laura Asnaghi). «Temevamo che i manifestanti ci rompessero le vetrine del negozio di avenue Montaigne… […] Però era l´anno della mia collezione tutta bianca, che è rimasta famosa quanto il Maggio francese» (a Natalia Aspesi). «Valentino, […] rientrato da Parigi nella Roma delle Br e dei rapimenti, si limitò a mettere i vetri blindati alla sua Mercedes rossa, continuando ogni giorno a percorrere indomito, o per meglio dire sprezzante, lo stesso tragitto fino a Palazzo Mignanelli [la sua storica sede romana – ndr], mentre gli amici lo scongiuravano di farla verniciare almeno di nero. Un documento del 1968 conservato nelle Teche Rai lo mostra, le basette lunghissime e nere, la bocca piena di trentenne già atteggiata a quell’espressione di leggero, contenuto disgusto sulla quale Dario Ballantini ha costruito la propria fortuna di imitatore, mentre dichiara come le sue “donne non vivano i problemi della vita moderna” e che dunque possano “pensare solo alla propria bellezza” viaggiando con tutto il bagaglio necessario, cioè senza le limitazioni che, è sottinteso, son cosa da serve» (Fabiana Giacomotti). «A New York […] trascorse gli anni ’70, protagonista del fervore del periodo nonché della vita notturna della Grande Mela, dove lui e Giammetti frequentarono intensamente lo Studio 54, al fianco di Andy Warhol, Diana Ross, Mick Jagger, Elton John e Liza Minnelli. Valentino vestì negli anni le donne più glamour del mondo, dalle rappresentanti della nobiltà alle icone di Hollywood, come Elizabeth Taylor, incontrata a Roma mentre stava girando Cleopatra. “Rimasi attonito di fronte alla sua bellezza”, ha ricordato Valentino, “mi disse che voleva un mio abito da sera per la prima di Spartacus ma ne aveva già uno di Dior. Sottolineò che avrebbe scelto volentieri il mio se le fosse piaciuto di più. Così fece”» (Chiara Bottoni). «Valentino presenta i suoi abiti nella capitale francese (dove nell’89 porta anche le linee di haute couture) ma mantiene il suo quartier generale a Roma, a Palazzo Mignanelli, che non è solo un luogo di lavoro ma un punto di riferimento anche per le sue numerose e affezionate amiche-clienti, come Sharon Stone e Brooke Shields. Con Liz Taylor si impegna nella realizzazione di una fondazione (Life) destinata a raccogliere fondi per i bimbi colpiti dal virus dell’Aids. Il ’91 è l’anno dei grandi festeggiamenti. Valentino celebra "trent’anni di magia" con mostre ed eventi che attirano, a Roma, personaggi da tutto il mondo. […] Lo stilista macina successi, entra a far parte della leggenda della moda ma, nel ’98, vende il suo marchio alla Hdp. Davanti ai fotografi si commuove: Valentino è in lacrime, ma non abbandona il posto di comando, e resta alla guida della direzione artistica del suo marchio» (Asnaghi). «Valentino […] non dimentica quando, venduta l’azienda alla finanziaria tedesca Hdp nel 1998, passata all’inglese Permira nel 2002, il nuovo padrone per pochi mesi, il giovane Matteo Marzotto, insensibile agli abiti fatati e addirittura commoventi che Valentino disegnava per le grandi ricche del mondo, disse sprezzante: “Il mercato ci domanda di fare cose diverse, e lui è un leone con le unghie spuntate”. Lo racconta il bel documentario di Matt Tyrnauer, L’ultimo imperatore, presentato a Venezia nel 2008 e poi visto ovunque. A Valentino, incapace di vedere le donne se non nella luce trionfante di una femminilità lussuosa, quella gelida frase inappropriata apparve come un vero insulto. “Ti immagini se, dopo decenni di lavoro, posso accettare che mi dicano ‘questo sì’ e ‘questo no’. Io me li mangio in un boccone!”. Invece se lo mangiarono loro, e lui dovette lasciare la sua maison, nel settembre del 2007. Adesso la Valentino è stata acquistata dalla finanziaria del lusso di Sheikha Mozah, […] bellissima ed elegante (con velo quasi invisibile), seconda delle tre mogli di Hamad bin Khalifa al Thani, baffuto emiro, cioè padrone del Qatar, (patrimonio personale di 2 miliardi di dollari)» (Aspesi). «Per i quarantacinque anni dalla fondazione della sua casa di moda, le “Valentiniadi” sono state l’evento glam più atteso nella Capitale. Nel luglio 2007 il Tempio di Venere ai Fori Imperiali si è vestito di una nuova luce, con acrobati, giochi pirotecnici e un’incantevole scenografia firmata dal premio Oscar Dante Ferretti. E poi una mostra tributo all’Ara Pacis» (Gustavo Marco Cipolla). «Il grande evento che ha celebrato i miei 45 anni di lavoro è stato magico e irripetibile. Sarebbe impensabile eguagliare l’emozione per l’amicizia e la considerazione che il mondo intero ha voluto esprimermi. Come dicono gli inglesi, il momento perfetto per andarsene è quando la festa non è ancora finita». «Valentino dice addio al mondo della moda dopo la leggendaria sfilata Haute Couture a gennaio 2008 al Musée Rodin di Parigi. Gli succede per un brevissimo periodo Alessandra Facchinetti, fino a che a fine 2008 vengono nominati direttori creativi Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, già da dieci anni all’interno della maison, agli accessori. Il duo rimane solido fino al 2016 quando la Chiuri abbandona […] (per trasferirsi a casa Dior) e Piccioli prende a piene mani il ruolo prima diviso in due» (Elisa Rossi). «Nonostante la nuova direzione creativa, lo stilista Valentino ha comunque continuato a lavorare su commissione. Ha infatti disegnato l’abito da sposa di Anne Hathaway nel 2012 e, l’anno seguente, quello della principessa Madeleine di Svezia. Nel 2016, invece, Valentino ha disegnato i costumi per La Traviata diretta da Sofia Coppola, e continua a creare su richiesta, dividendosi tra Roma, Parigi, Londra e New York» (Francesca La Rana). «Me ne sono andato nel 2008, ma non mi sono mai fermato. Ho continuato a creare e a disegnare, con progetti sempre nuovi. Quello che faccio in questa mia nuova fase artistica mi diverte molto. […] Pierpaolo Piccioli, l’attuale direttore creativo della maison Valentino, ha dimostrato di essere un grande erede. Attinge alla mia stessa ispirazione di bellezza ed eleganza. La fedeltà al brand per cui lavora, senza distruggerlo come capita oggi, fa di lui un perfetto erede» (a Giampietro Baudo). «Le manca qualcosa della vita di prima? Collezioni, sfilate, feste? “Mi mancava l’atto del disegno, della matita in mano… Ora che mi occupo anche di balletti e opera, ho ricominciato a disegnare”» (Serra) • «Lo stilista passa oggi la sua dorata terza età destreggiandosi con l’aereo privato […] tra le dimore di Parigi (il castello di Wideville a Crespières), Roma (una villa sull’Appia Antica), Londra (un palazzo ottocentesco), Gstaad (in uno chalet sulle Alpi svizzere) e anche per mare (a spasso sul suo yatch personale)» (Simone Marchetti). «È un mio piacere […] dare feste speciali, in cui deve trionfare il mio culto per la bellezza, per uno stile di vita che forse è scomparso, perché chi oggi ha denaro non ha sempre classe e memoria. Mi piace vivere in un lusso d´altri tempi, pranzare su tavole riccamente imbandite, disporre ovunque fiori, leggere nel silenzio, soprattutto conversare con persone con cui sia possibile chiacchierare pacatamente di tutto». «Non si può veramente comprendere la visione della vita di Valentino se non si è stati ospiti al suo castello, se non lo si è guardato mentre ammira le diecimila rose del suo giardino, o le sue inestimabili opere d’arte. La sua vita è pura estetica» (Matt Tyrnauer) • «Io credo che non sia necessario informare e dare dettagli sulla propria vita privata. La gente ti accetta come sei: trovo che il resto non interessi. La gente ti deve immaginare come ti vede, e poi deduce quello che deve dedurre. Non mi passerebbe mai per il cervello di fare un comunicato sulla mia vita privata. Cosa mangi a colazione non interessa a tutto il mondo» (a Laura Laurenzi). «Chi sono oggi le persone più importanti della sua vita? “I miei nipoti, naturalmente, e tanti amici che sono diventati la mia famiglia… La famosa Valentino’s Tribe”. E Giancarlo Giammetti che ruolo occupa? Cosa è per lei? “Non saprei rispondere... Condividere con una persona l’intera esistenza, ogni momento, gioia, dolore, entusiasmo, delusione è qualcosa di indefinibile”. Della sua famiglia fanno parte i carlini. “Sono rimasti solo due di loro, Mary e Moon. Gli altri sono sepolti nel mio giardino. Vicino a me…”» (Serra) • «Mi dispiace non aver avuto dei figli. Anni fa ho desiderato adottare un bambino. In Marocco, passavo con la macchina sul monte dell’Atlante e ho visto un bimbo, un pastorello berbero di 4 anni. Avrei desiderato tanto poterlo adottare, ma non è stato possibile». «"Alle mie indossatrici più belle spesso dicevo: farei un figlio con te, anche con te, e con te! Beh, un grande amore l’ho avuto. L’attrice Marilù Tolo. Ero molto innamorato di lei: era veramente bellissima, bruna, con questi occhi incredibili. Lei aveva solo 17 anni, e io 27. Le ho anche regalato un anello, che ebbi indietro. Sono rimasto molto male"» • «Non amo il bigottismo, ma mi piace rivolgermi alla Madonna nelle mie preghiere» • «Amo il cibo, ma mangio da sempre in maniera sana. Ho smesso di fumare tanti anni fa, non bevo, non ho mai preso droghe. Eppure negli anni Settanta e Ottanta nelle feste c’era pieno di quella roba lì… A New York andavo allo Studio 54, ma ci stavo massimo mezz’ora. Proprio perché non avevo quel genere di vizi, mi annoiavo facilmente» • «Non sopporto di vedere un oggetto fuori posto, fosse anche un portacenere. Avrei voluto essere diverso, più easy going, avrei vissuto meglio. Invece sono noiosissimo». «Mi ricordo che i miei genitori erano sorpresi perché già da bambino mangiavo con la mia forchetta e il mio bicchiere personali, e guai a chi me li toccava. Mia madre diceva: “Ma questo qui da dove è uscito, non lo so”» • «Quello che è il sogno, come l’arte, il cinema la moda, deve […] fare il meglio per continuare a distrarre e ad astrarsi da quanto succede» (ad Alain Elkann) • «So che è superstizioso: che cosa non fa mai per paura? “Passare il sale… e poco altro”» (Serra) • «Un’età indecifrabile grazie a chissà quali alchimie» (Gian Luigi Paracchini) • «L’uomo a cui si deve l’invenzione delle lettere dell’alfabeto applicate all’abbigliamento» (Pia Soli). «Adorato dalle principesse e dalle giovani dame di sangue blu, coccolato dalle dive hollywoodiane di stampo yankee, idolatrato dalle signore, che “almeno una volta nella vita sognano di possedere un suo abito”» (Antonella Matarrese). «La grandezza di Valentino è di aver vestito Jackie Kennedy come anche Gwyneth Paltrow 40 anni dopo, Liz Taylor ai tempi di Cleopatra come Nicole Kidman e Charlize Theron. La sua forza è stata di avere uno stile senza tempo: se n’è fregato, di rivoluzionare la moda. Ha sempre creato abiti per donne che vogliono essere belle» (Giancarlo Giammetti). «Per istinto o per sapienza, questo singolare personaggio ha scelto uno stile di vita che in qualche modo lo accomuna alle case regnanti e si riassume in due regole fondamentali: mai mescolarsi con il popolo, pena la fine di ogni mistero; mai dimostrarsi remoto e inaccessibile, pena la caduta di ogni entusiasmo» (Giusi Ferré). «L’immagine di Valentino resta legata al suo irripetibile lifestyle, al suo snobismo un po’ madame Verdurin e al fasto ancien régime delle sue case» (Giacomotti). «Inappuntabile nei suoi spezzati, pettinatura inalterabile, sempre cortese, sempre molto formale, una parola per tutti ma mai due per nessuno» (Antonio Armano) • «Già dal debutto il sarto di Voghera mostrò la sua predilezione per il rosso. Una caratteristica che ancora adesso lo distingue. “È il mio colore talismano. Il primo abito che disegnai nel ’59 era di tulle carminio. L’amore per questa tinta nacque quando, da ragazzino a Barcellona, andai alla prima della Carmen. Oltre agli abiti di scena mi rimasero impressi i vestiti color passione delle signore che si sporgevano dai palchi: parevano bouquet di rose scarlatte”, racconta lo stilista» (Amapane) • «Non credo avrei potuto fare nient’altro nella vita. Quando da ragazzino andavo al cinema con mia sorella restavo incantato davanti al grande schermo. Lana Turner, Hedy Lamarr, Rita Hayworth mi affascinavano nelle loro mise ad alto tasso di charme. Sognavo di poter scrivere anch’io un piccolo capitolo di quella storia elegante». «Il mio primo ricordo legato alla moda è vivido e stampato nella mia testa, ancora oggi a tanti anni di distanza. Avevo 13 anni ed ero ammalato a letto. Ricordo che mia madre mi avvolse in una coperta per portarmi a vedere una mia cugina che si stava preparando per andare a un ballo. Avevo la febbre a 40, e mi ricordo di questa immagine di donna avvolta in un abito di tulle rosa con una cappa di cigno e una rosa fresca appuntata nei capelli». «Io ho […] un primato. Sono ben 8 le attrici che hanno ritirato un Oscar vestite da me, a cominciare da Sophia Loren, Elizabeth Taylor, Jane Fonda, Julia Roberts, e Cate Blanchett, che ci richiese tassativamente una toilette gialla». «Essere creativi vuol dire dare delle novità ma, arrivati al dunque, bisogna che i compratori alla sfilata dicano: ecco, questo lo metto in boutique perché riuscirò a venderne dieci, perché una giacca fatta così e così si può indossare sull’abito da sera, sulle mutande, su qualsiasi cosa. È questo che le donne comprano, non vestiti che hanno bisogno delle istruzioni per riuscire a infilarseli». «Ma per Valentino […] che cosa è l’eleganza? “Essere fedeli a uno stile e cambiarlo solo leggermente col passare degli anni e della moda”» (Baudo). «Sono sempre andato avanti per la mia strada. Mai seguito il minimalismo, il grunge: una vera offesa alle donne vedere come le conciano certi stilisti». «La moda deve far sognare le donne e deve saper esaltare la loro femminilità, senza mai scadere nella volgarità». «Che noia parlare di moda. Amo farla. ma non ditemi di intrattenermi sull’argomento dopo le sette di sera. Non lo sopporto».