Il Sole 24 Ore, 11 maggio 2019
Flop di Uber nell’Ipo in Borsa
Una partenza tutta in salita per Uber. Il debutto a Wall Street del colosso del ride sharing è avvenuto in una giornata negativa per le contrattazioni, dopo l’aumento dei dazi americani contro la Cina. Le azioni Uber sono entrate in contrattazione a 42 dollari, con un calo in apertura del 9% rispetto ai 45 dollari del prezzo di collocamento, situato già nella parte bassa della forchetta che era tra 44 e 50 dollari.
Uber ha venduto 180 milioni di azioni, raccogliendo dagli investitori 8,1 miliardi di dollari, per una valutazione della società di 82,2 miliardi, subito scesa dopo l’inizio degli scambi a 73,1 miliardi.
«Pensiamo che questo prezzo risenta delle condizioni di mercato di questi giorni, ha detto il ceo di Uber Dara Khosrowshahi, prima dell’apertura del mercato. «Noi puntiamo a mettere il nostro titolo in un gruppo di azioni da tenere non per la prossima settimana, ma per il prossimo anno o più», ha aggiunto riferendosi alle forti vendite sul titolo della rivale Lyft.
L’Ipo di Uber, attesa da tempo come una delle principali dell’anno per Wall Street, è comunque una delle dieci maggiori della storia per valore, la più importante una società della “gig economy”, che basano la loro attività sulle applicazioni digitali. L’Ipo di Uber è stata seguita come capofila da Morgan Stanley, con un gruppo di banche che comprende Goldman Sachs e Bank of America Merrill Lynch e Barclays, unica banca europea ad agire in qualità di active bookrunner.
L’ex start up lanciata nel 2009 è diventata un colosso della mobilità alternativa, principale player del mercato globale. Presente in 785 città e 70 nazioni, si è trasformata in un gruppo globale con una ragnatela di partecipazioni in altre società di ride-sharing in Asia, Russia e Medio Oriente.
Una straordinaria macchina da soldi che cresce, aumenta i ricavi ma perde circa un miliardo di dollari a trimestre. A febbraio, ultimi dati disponibili, Uber ha dichiarato ricavi per 11,3 miliardi nel 2018 (+45%) con perdite per 1,8 miliardi. I dati mostravano un rallentamento della crescita a fine anno. Oltre ai taxi via app, la società ha diversificato nella logistica con UberFreights, per camion e container, nel food delivery con UberEats, valutata 20 miliardi, nell’affitto di scooter e bici elettriche con Jump e ha una divisione che studia la guida autonoma che brucia 800 milioni l’anno.
Gli autisti di Uber in vista della quotazione tre giorni fa hanno scioperato per due ore a New York, Chicago, Los Angeles e San Francisco per chiedere maggiori remunerazioni e migliori condizioni di lavoro e di sicurezza. I “driver” lamentano il fatto, inoltre, che ai dipendenti di Uber siano state offerte azioni della società al momento dell’assunzione, cosa che non accade a loro, che sono il motore di Uber, ma vengono considerati lavoratori autonomi.
Uber nonostante il debutto non proprio fortunato di ieri a Wall Street con i suoi 73,1 miliardi di market cap vale già ora più della capitalizzazione di Borsa di due colossi industriali come General Motors e Ford messi assieme.
Tra gli investitori della prima ora che oggi si sveglieranno più ricchi ci sono Jeff Bezos, Rupert Murdoch, Arianna Huffinghton, che siede anche nel board, le star di Hollywood Gwyneth Paltrow e Ashton Kutcher, l’editore Axel Springer, la cantante Beyoncé.
L’ex campione di ciclismo Lance Armstrong è uno dei nuovi paperoni creati da Uber. Con la vicenda del doping e le sette vittorie del Tour de France annullate, Armstrong in questi anni è stato costretto a pagare sanzioni e restituire sponsorizzazioni per milioni di dollari. Ma ha evitato la bancarotta grazie a un investimento fortunato di 100mila dollari in Uber, quando la società era valutata appena 3,7 milioni.