il Giornale, 11 maggio 2019
Intervista a Giorgio Moroder
Settantanove anni messi sul piatto, per una mano di poker che vale la posta. Il piatto, ovviamente, è anche quello da deejay, perché Giorgio Moroder insieme a tante altre cose è anche questo. Monumento della disco music elettronica, compositore e innovatore, guru del sintetizzatore, vincitore di tre Oscar per aver marchiato a fuoco tre film di culto come Fuga di mezzanotte, Flashdance e Top Gun, senza contare la colonna sonora di Scarface di Brian De Palma, gangster movie icona degli anni Ottanta.
E proprio all’ultimo decennio ottimista della storia d’Occidente il produttore italiano (originario di Ortisei, Bolzano) dedica il suo primo show live in carriera, The Celebration of the 80’s, partito il primo aprile da Birmingham e atteso in Italia a Milano, Roma e Firenze a metà maggio. Prima tappa il Teatro Ciak di Milano, il 17 maggio.
Maestro Moroder, per lei un esordio nella musica dal vivo, con tanto di band. Perché ora?
«La verità è che cinque anni fa cominciai a uscire dallo studio di registrazione, il luogo dove ho sempre vissuto professionalmente. Ho cominciato a fare dj set e, con mio stupore, mi sono divertito un sacco. Non avevo mai provato il rapporto diretto col pubblico. Alla fine, mi sono deciso: su un palco, insieme a dei musicisti, qualche cantante. Anzi, anch’io canterò un paio di brani».
Non è mai troppo tardi per reinventarsi?
«Assolutamente. Era il mio sogno nascosto, questo del live. Difatti lo show avrà la forma di una festa».
La sua parabola stellare cominciò negli anni ’70: perché celebra gli ’80?
«Nel repertorio ci saranno anche brani dei ’70, naturalmente. Sono gli anni in cui cominciai la carriera di produttore e compositore, quando conobbi Donna Summer, a Monaco. Tutto partì, veramente, da I Feel Love. Ma per me gli anni ’80 sono gli Oscar con FlashdanceWhat a feeling e Take my breath away da Top Gun».
Che ci faceva a Monaco negli anni ’70?
«Io parlo tedesco fu una scelta naturale: dopo un po’ di tempo a Berlino, dove ero salito per cercare fortuna e perché lassù viveva una zia, ero sceso nel sud della Germania. Berlino? Una città fantastica, ricca di stimoli: lì scoprii l’elettronica. Dopo un po’, però, mi sentii soffocare: il Muro condizionava tutto, ammorbava le menti. A Monaco c’era un’altra atmosfera».Donna Summer, Barbra Streisand, Freddie Mercury, David Bowie, Britney Spears: lei ha collaborato con star di tutte le generazioni. Quale l’ha colpita di più? «Se devo citare due divine piene di talento, dico Donna Summer, con cui ho realizzato quasi ottanta canzoni e che fu per me una vera amica, e Barbra Streisand, incredibile nell’eccellere su ogni fronte: cantante, attrice, regista. Oggi come lei vedo solo Lady Gaga, una delle mie preferite: compone e canta, recentemente ha vinto un Oscar come attrice». L’hanno definita, tra le altre cose, il Padrino della disco music, per le sue origini italiane. Lei è del profondo nord, ma vallo a spiegare agli americani. Ha pesato, questa italianità, sulla sua carriera? «Nemmeno un po’. Negli States contano idee e talento. E gli italiani che hanno fatto successo sono moltissimi. Ma l’inglese resta la lingua perfetta per la dance». Dopo aver vissuto tanti anni a Los Angeles, è tornato nella sua Ortisei: non una scelta da pensionato, a giudicare da questo tour. «Mi alterno tra Stati Uniti e Italia, in verità» Qui in Italia la scena musicale al momento è dominata dal rap e dalla trap: che giudizio dà di queste tendenze? «Non mi dispiacciono. L’importante è che un brano abbia qualità, nei suoni e nell’arrangiamento. L’elettronica si deve maneggiare con cura». Quale deve essere, per Giorgio Moroder, la prima qualità di una hit dance? «Il ritmo. Deve farti muovere. Armonie e melodie vengono dopo, anche se contano. E poi serve l’ultimo tocco fondamentale». Quale? «La fortuna».