il Fatto Quotidiano, 11 maggio 2019
Dentro il tempio della Gran Loggia d’Italia
“Questa adesso è solo una stanza, quando ci siamo noi dentro diventa un tempio”: Vittore Morigi, gran segretario generale e memoria storica, uno che nel suo percorso ha partecipato anche a una funzione col grande Hugo Pratt, ha visto passare i confratelli più famosi, apre le porte del tempio della Gran Loggia d’Italia. Un luogo avvolto nel mistero eppure nel pieno centro di Roma, a due passi da Largo Argentina.
Al numero 3 di via san Nicola de’ Cesarini c’è persino la targhetta sul citofono. Pare quasi un portone come tanti. Non proprio come tutti: due piani, oltre cinquecento metri quadri in una palazzina antica nel cuore della Capitale. Sopra il battente, il sigillo dorato del leone. Dentro ci sono templi, uffici, biblioteche, una casa editrice, rituali, cimeli: i segreti della loggia del gran maestro Binni, che assicura di non avere nulla da nascondere.
Fondata nel 1910, la Gran Loggia d’Italia degli Alam (Antichi Liberi Accettati Muratori), con oltre 9mila affiliati, è una delle principali obbedienze massoniche del Paese, seconda per numero d’iscritti solo al Goi. Nei corridoi di Palazzo Vitelleschi si scoprono le facce dei confratelli che hanno fatto la storia della loggia. Nelle bacheche è tutto un susseguirsi di spille, stemmi, medaglioni e medagliette, piatti, diplomi, statue, targhe. Sembrano cianfrusaglie, è la loro memoria. La fascia di Antonio de Curtis, in arte Totò, forse il più famoso dei membri della Gran Loggia. I disegni di Hugo Pratt, il fumettista che oltre ad aver inventato il personaggio Corto Maltese fu anche confratello: nella tavola “Favola di Venezia” racconta la sua iniziazione massonica, qui c’è il volume che lui ha donato alla Loggia. Le targhe di Ernesto Nathan, sindaco di Roma a inizio Novecento, e Valerio Zanone, ex parlamentare e presidente del Partito Liberale, solo alcuni dei nomi di un’associazione che in passato ha dato quattro presidenti del Consiglio al Paese e ora invece si guarda bene dal venir associata anche lontanamente alla politica.
Chi siano oggi i confratelli non è chiaro, cosa facciano ancor meno. Di sicuro si riuniscono qui dentro: due volte al mese per le singole logge, poi i grandi raduni nazionali.
Oltre all’ufficio privato del gran maestro, Palazzo Vitelleschi ospita ben quattro templi. Il più antico, costruito all’inizio degli anni Sessanta, è un piccolo gioiello dai colori pastello e allusioni esoteriche: sopra lo scranno più alto, l’occhio della provvidenza, forse l’immagine più famosa dell’iconografia massonica, scruta il visitatore incerto. L’architetto dell’universo sono loro.
Il più grande, invece, arriva a ospitare fino a 280 persone. Qui si tengono i raduni nazionali. Qui lo scorso marzo sono state ricevute le più importanti logge dell’Europa mediterranea, compreso il gran maestro di Francia, che mancava in Italia da 100 anni. Tutto è simbolo: la Bibbia cristiana e la menorah ebraica, il pavimento egizio a quadri bianchi e neri, separati come il bene dal male, le colonne dei templi pagani. “Abbiamo preso dalle grandi religioni simboli e parole e li abbiamo riuniti, perché soltanto noi siamo universali”.
Le sedie con lo schienale a punta, le spade in ferro battuto per le cerimonie, il deserto della vita, il cielo stellato e “la città ideale”: la massoneria perpetua il suo rito. “Libertà, uguaglianza, fratellanza”: gli altri possono guardare ma non toccare, intuire ma non afferrarne il senso. All’uscita, ci si lascia alle spalle una scritta: Estote procul hinc profani. Quattro parole latine, un motto virgiliano dall’Eneide: “I profani stiano lontani da qui”.