La Stampa, 11 maggio 2019
Intervista a Roberto Herlitzka
La folgorazione per Tito Lucrezio Caro, per i latini, per le terzine dantesche fino a spingere il pensiero a un possibile incrocio in nome della lingua, l’attore Roberto Herlitzka l’ebbe al liceo, il D’Azeglio di Torino. Mai, dice con voce sinceramente stupita, si sarebbe aspettato che questa sua passione applicata in versi lo avrebbe portato a reading pubblici applauditissimi, a seguitissimi concerti in forma di musica e parole, alla sua traduzione in forma di poema dantesco del De Rerum Natura, fortemente voluta da Elisabetta Sgarbi per la sua raffinata Nave di Teseo e presentata oggi al Salone. Nessuno meglio di lui poteva rendere il De Rerum Natura appetibile all’orecchio oltre che alla lettura. Attore di rara intensità, assurto alla popolarità quando già i capelli ingrigivano grazie al cinema, ad autori come Bellocchio e al suo monsignore vanesio ne La grande bellezza. Interpretazione da Oscar in film da Oscar.
Herlitzka, quali sono i punti di fascinazione che l’hanno spinta verso Lucrezio?
«Sono quasi impossibili da definire, la fascinazione per la fascinazione è già abbastanza. Parliamo di un poema gigantesco sul cosmo, sui fenomeni scientifici e parliamo di una grande poesia lirica. Narrazione scientifica e forma poetica, fenomeni fisici e vita, amori, malattie, donne, uomini».
Dante come è entrato in partita?
«Io ho una grandissima nostalgia per la lingua italiana, oggi offesa da inutili inglesismi e storpiature. Ho puntato su questo amore rintracciando il momento più puro della sua espressione, il Trecento dei Cavalcanti, dei Boccaccio, dei Petrarca, quando ancora non era inquinata, sovraffollata. Lucrezio prediligeva il latino arcaico, Dante si presta con le sue rime incatenate, ognuna ne chiama un’altra. I loro poemi trattano temi universali, cosmici e celesti, argomenti assoluti. Lucrezio fu accusato di essere un seguace di Epicuro che Dante mette all’Inferno tra gli eretici. Li ho percepiti vicini».
Aveva letto in precedenza libri e traduzioni su Lucrezio?
«Mai. Mi sono rifiutato. Vado scoprendo parola per parola. É un’emozione che perdura».
Tema cardine del poema è il superamento della morte. Lei ha paura di morire?
«Sì, ho paura. Ma sono credente, dunque non escludo che ci sia una vita al di là. Confesso però che il maggior timore riguarda la sofferenza per la morte».
Perchè non pensava alla pubblicazione? Si scrive perché si sia pubblicati.
«La mia era una forma narcisistica svelata dallo studioso Raul Mordenti che infatti ringrazio nel libro, al pari di Elisabetta Sgarbi. Mi compiaccio nel creare versi per mio appagamento. D’altronde il lavoro dell’attore è puro narcisismo. L’artista vuole innanzitutto piacersi. Quando poi sono stato onorato da musicisti che hanno composto per i miei versi, ho provato l’ebbrezza assoluta di far corrispondere le note suonate con altre note scritte».
Un impegno totalizzante...
«Io dedico me stesso al mestiere d’attore che significa avere lunghi periodi di disoccupazione. In questo modo ordino il mio tempo».
Così ha imparato a tradurre?
«Con l’età tutto s’impara. Anche a recitare. Le conquiste tecniche ti danno una struttura per poterti abbandonare».
Più teatro che cinema?
«Mai rinuncerei al teatro che mi propone opere di valore letterario altissimo. Quello di consumo vado a vederlo ma non sarei adatto a farlo. Il cinema mi diverte per cambiare tiro, si fa al momento e rimane quell’attimo fissato che altrimenti sarebbe impossibile ritrovare»
Il teatro è il contrario.
«Devi studiare, improvvisare è un’aberrazione, la naturalezza la riscopri nell’approfondimento, mai recitando a memoria. Nessuno vive recitando a memoria».
Si dice che lei disistimi la tecnologia anche la più elementare
«Non la conosco e non la pratico. Sto bene così».
L’ha divertita girare la serieIl nome della rosa?
«Molto. Con Rupert Everett avevo già lavorato, Turturro è stato una sorpresa. Purtroppo, io posso recitare in perfetto inglese ma non capisco una parola. Era un tormento quando gli americani volevano instaurare un dialogo per me impossibile. Fuggivo da tutte le parti».
Pronto per una nuova tournée?
«Le dirò che le detesto, alla mia età sono una fatica improba. Ma con Franco Branciaroli e la regia di Antonio Calenda, prepariamo un rifacimento di Falstaff. Branciaroli interpreterà Falstaff e io farò il suo servo, già celebrato da Brecht».
Niente cinema?
«Sì, dovrei girare questa estate con Sophia Loren la storia di un’anziana prostituta che aiuta dei bambini ma che ha tanti nemici. Io interpreto un avvocato che sta dalla sua parte. Una partecipazione che faccio volentieri. Come si fa a dire di no alla Loren?».