la Repubblica, 11 maggio 2019
Il tablet ci toglie il sonno
Cammino per strada e leggo una pubblicità affissa su un dehor. Riguarda una celebre bevanda: “Addio abbiocco post pranzo”. Come ha spiegato Jonathan Crary in 24/ 7 (Einaudi), lo sviluppo dell’economia capitalistica legata alle nuove tecnologie sta colonizzando l’unico spazio ancora sottratto al lavoro: il sonno. Si dorme sempre meno, dicono le statistiche, e sempre più persone, anche giovani, soffrono d’insonnia.
La responsabilità maggiore è da attribuirsi agli strumenti di comunicazione (tablet, computer, smartphone...) che hanno abolito la distinzione tra giorno e notte; inoltre, la globalizzazione ha creato un unico orologio mondiale che ha eliminato i fusi orari. Per migliaia di anni uomini e donne hanno dormito senza che nessuno indagasse in modo approfondito il sonno. Semmai, ben prima di Freud, era il sogno che interessava a indovini e sciamani.
Michel Jouvet, neurobiologo, lo ha sintetizzato in una frase poetica: “Ogni notte il sonno, vecchio quanto il tempo, ogni notte davanti a noi” (Il sonno e il sogno, Guanda). Questa vecchiezza del sonno sta per terminare, se si dà retta all’allarme lanciato dai ricercatori.
Gli adulti dormono una media di otto ore, con una diminuzione progressiva dopo i 60 anni. I medici ammoniscono che il sonno è fondamentale per vivere bene la parte di vita che trascorriamo da svegli. Il sonno è importante per fissare i ricordi nel cervello e rinnovare le nostre energie.
Gli studiosi del sonno spiegano che non è uno stato omogeneo quanto piuttosto una serie di stati variabili che corrispondo a tipi differenti di onde cerebrali (alfa, teta, complesso K). Si va dalla veglia al sonno passando per il sonno leggero fino a precipitare nel sonno profondo. Infine approdiamo al sonno Rem, acronimo di rapid eye movement, scoperto nel 1953 dagli scienziati americani.
Questo sarebbe il sonno dove sogniamo, o almeno quello di cui ricordiamo meglio i sogni che facciamo. Thomas Edison, inventore della lampadina, ha contribuito a trasformare il nostro rapporto con l’alternanza di luce e buio, rendendo la notte non più il luogo deputato al sonno. Potendo vegliare, uomini e donne hanno smesso di inoltrarsi nel regno delle tenebre. Forse è proprio da lì che comincia quella colonizzazione del sonno che Crary vede procedere in modo inarrestabile. Nel 1965 un diciassettenne di San Diego stabilì un primato: rimase sveglio per 260 ore di seguito.
Gli studiosi reputano che presto con strumenti artificiali potremo superare questo record, perché, dopo aver trasformato la naturale necessità di comunicazione in uno strumento economico, non resta che la conquista della bianca cattedrale del sonno.