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 2019  maggio 10 Venerdì calendario

Intramontabili Pokémon

Sono passati 23 anni dalla loro nascita, e anche se per qualcuno rimangono solo degli incomprensibili mostriciattoli colorati, è proprio il caso di dire che i Pokémon sono diventati grandi. Anzi, grandissimi. Il franchise inventato nel 1996 in Giappone dall’informatico Satoshi Tajiri troneggia al primo posto della classifica dei più redditizi di sempre. Stando alle stime, alla casa madre – The Pokémon Company, affiliata della Nintendo – ha fruttato almeno 90 miliardi di dollari, superando giganti come Star Wars (65 miliardi). Non male per un universo che si basa su una premessa tutto sommato semplice: un mondo immaginario popolato di creature magiche che si possono catturare, allenare e coinvolgere in sfide. Da lì si è sviluppato un impero su cui non sembra tramontare mai il sole, fatto di videogame, carte da gioco, merchandising, cartoni animati e film.
Proprio in questi giorni arriva nelle sale Pokémon: Detective Pikachu, che per dare vita ai mostri tascabili – questo è il significato letterale di «Pocket Monster», da cui deriva il nome Pokémon – mescola computer grafica e «live action». Un film leggero, punteggiato di strizzatine d’occhio ai fan storici e che, forte della presenza nel cast di una star come Ryan Reynolds – la voce del giallo Pikachu, nella versione in lingua originale, è la sua —, si candida a diventare la pellicola tratta da un videogioco più di successo di sempre.
Certo, è presto per fare pronostici, ma le premesse ci sono. Anche perché il film si rivolge a un pubblico duplice: è stato scritto per piacere a grandi e piccini. Da un lato, si rivolge ai bambini di oggi, che di fronte ai mostri tascabili restano immancabilmente ipnotizzati, dall’altro, ai bambini di ieri. Spesso chi andava alle elementari nei primi anni Duemila, quando i cartoni dei Pokémon spadroneggiavano in tv e le relative carte da gioco erano oggetti di culto, è rimasto affezionato alla saga. E così – un po’ per nostalgia, un po’ per auto-ironia, un po’ per divertimento – oggi non disdegna qualche incursione più o meno occasionale nell’universo narrativo che tanto li ha fatti esaltare nell’infanzia.
È stato anche grazie a loro se nel 2016 Pokémon Go è diventato il gioco più scaricato nel suo primo mese di vita (130 milioni di installazioni) e se oggi, a distanza di quasi tre anni, è ancora saldo nella top ten delle applicazioni ludiche più redditizie al mondo. All’epoca se ne era parlato così tanto che persino il Presidente della Repubblica vi ha fatto riferimento in un discorso («Certi dibattiti sul referendum sono talmente surreali da sembrare la caccia ai Pokémon»: Sergio Mattarella, luglio 2016) e chi riteneva che fosse un fuoco passeggero deve ricredersi. Non solo perché Pokémon Go è ancora usatissimo, ma anche e soprattutto perché è solo la punta visibile di un iceberg enorme. Basta scorrere la lista degli oltre settanta videogiochi a tema Pokémon, sviluppati per varie piattaforme, o pensare al cartone, che ha già superato quota 900 episodi.
Per non parlare di tutto quello che è cultura pop: i mostri compaiono sulle braccia delle star sotto forma di tattoo (Ariana Grande ha un Eevee sul braccio) e nel V&A di Londra, prestigioso tempio del design, è stata esposta una collezione di piatti proprio a tema Pokémon, realizzati da Olly Moss. La ricetta del loro successo? Mettiamola così: se la saga fosse un cocktail, sarebbe a base di mania per il collezionismo (il motto del franchise è: Gotta catch ‘em all!, ovvero Catturali tutti!), shakerata con il brivido della competizione e condita con un pizzico di spirito d’avventura. E poi, certo, c’è il marketing: con un colosso come Nintendo dietro le spalle, ai Pokémon non è mai mancata la forza propulsiva per sfondare sul mercato. Il resto lo ha fatto il fanciullino interiore di tutti coloro che da piccoli hanno sognato di girare il mondo e – come diceva la sigla del cartone – catturare «ogni Pokémon».