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 2019  maggio 10 Venerdì calendario

Periscopio

Mai mettere il dito nelle polemiche di rito. Uffa News. Dino Basili.Leonardo era pittore, artista, ingegnere, architetto, un costruttore, è il simbolo dell’umanesimo che unifica arte e scienza, ma alla fine come riassumere la sua opera? È la ricerca della bellezza, nelle sue molteplici espressioni. Per noi europei la bellezza è una spina nel cuore, un desiderio profondo, che può rendere le persone migliori. E quindi, poco alla volta, può davvero salvare il mondo. Riprendiamoci la bellezza. Renzo Piano, architetto. (Anai Ginori). la Repubblica.
Le attrici di questi film francesi parsimoniosi erano sempre in balia di castellani perfidi, a bagno nelle sabbie mobili, sfruttate da usurai e legionari, picchiate da Elvire Papesco, vittime di Michel Simon e Fernand Ledoux, o megere esse stesse. Alberto Arbasino, Parigi o cara. Adelphi, 1995.
L’allora settantaduenne Luciano Colletti sedette, le gambe cavalcioni sul bracciolo della poltrona. «Onorevole…», cominciai. «Professore. Nessuno a Montecitorio è onorevole, siamo tutti una massa di canaglie», corresse. «Da marxista a Forza Italia. Non è troppo?», andai al sodo. Le pupille di Colletti diventarono pallini da caccia e sbottò: «Paese di porci conformisti. Se un comunista diventa liberale, si dice che abiura. Ma nessuno rimprovera a un liberale di essersi fatto comunista, com’è successo a Giorgio Amendola o Antonio Giolitti». «Non si arrabbi», pregai. «Lei è succube della più volgare propaganda comunista. E io insorgo e la scaravento dalla finestra. Sono incazzoso». Una telefonata mi sottrasse alla sua ira. Giancarlo Perna, saggista politico.
La miglior dote di mio padre era la coerenza. Per quella, gli perdonavi l’eccesso di permalosità. Avrebbe querelato persino chi scriveva che portava gli occhiali. Mi toccava rimproverarlo. Allora mi sbatteva giù il telefono. Dopo tre ore richiamava. Non chiedeva scusa, ma ti faceva capire che era costernato. Bice Biagi, giornalista, figlia di Enzo. (Stefano Lorenzetto). Corsera.
La rivoluzione francese fu una rivoluzione sociale (cioè voleva il passaggio delle terre dall’aristocrazia ai contadini), mentre quella italiana fu nazionale, cioè diretta principalmente contro il dominio straniero. Il punto di convergenza fra repubblicani e monarchici, in Italia, era l’idea dell’indipendenza e unità nazionali. Soltanto pochi sognatori pensavano alla questione della proprietà: Pisacane, ad esempio. Giuseppe Prezzolini, Intervista sulla destra – a cura di Claudio Quarantotto. Mondadori, 1994.
Ero vicecaporedattore della cronaca di Milano del Corriere della Sera. Un giorno, alla riunione di redazione nella celeberrima sala Albertini, Mieli interruppe un collega che stava raccontando ciò che aveva in mente di pubblicare per fissarmi e, a freddo, inchiodarmi con un’accusa terrificante: «Voi della cronaca siete stupidi, avete fatto una cosa assurda». Atterrito (Mieli è un uomo che incute soggezione) attesi di conoscere il capo di imputazione: «Avete pubblicato un articolo di Carlo Tognoli (l’ex sindaco di Milano nda) senza dirmelo. Ora, Tognoli è una persona rispettabilissima, ma, per la gente, vuol dire Psi, e Psi a Milano vuol dire ancora Tangentopoli. Un articolo di Tognoli sul Corriere è un segnale politico, vuol dire che sdoganiamo gli ex socialisti, non potete prendere iniziative del genere senza avvertirmi». Incassai, naturalmente. Ma, alla fine della riunione, Mieli mi inseguì nel corridoio per dirmi: «Sai quanto ti stimo, so perfettamente che tu non c’entri nulla e che una fesseria del genere tu non l’avresti mai fatta. So che è colpa di Sallusti (che era il capocronista): mandamelo su che gliene dico quattro». Raccontai tutto a Sallusti il quale, preoccupatissimo, salì subito da Mieli, trovandolo però per nulla arrabbiato. «Ma come?», disse Sallusti, «Brambilla mi ha detto...». «Sta’ tranquillo», rispose Mieli, «avete fatto benissimo a pubblicare quel pezzo. Ma siccome in riunione c’era Fiengo (Raffaele Fiengo era leader storico del sindacato dei giornalisti del Corsera, di area Pci, ndr) per prevenire una sua contestazione ho fatto finta di arrabbiarmi». Michele Brambilla, Sempre meglio che lavorare – Il mestiere del giornalista. Piemme, 2008.
Anche se ambivo ad avere una ragazza avevo paura di avvicinarla. Cosa potevo offrirle? Non sapevo ballare, non ero spiritoso, per giunta complessato dalla magrezza, se mi azzardavo a fare il saccente (i libri erano il mio solo argomento spendibile) finivo puntualmente sbertucciato. Angelo Guglielmi, critico letterario. (Antonio Gnoli). la Repubblica.
La più simpatica delle mie vittime è stata Gina Lollobrigida. Gentilissima. Poi Giovanna Ralli che era il mio idolo. Virna Lisi: la vedevi e ti incantava come bellezza. Più invecchiava e più era bella. Per non parlare di Anna Magnani. Ce l’ho ancora nel cuore. Le porto sempre una rosa al cimitero di San Felice Circeo dove riposa. Le devo molto: quando agli inizi mi incrociava con la macchina fotografica faceva tutto lei perché sapeva che ero una ragazzino che non capiva niente. Mi regalava la posa che mi serviva: andava al mercato prendeva una mela, faceva finta di mangiarla. Rino Barillari, paparazzo (Massimo M. Veronese). il Giornale.
Avrei voluto fare filosofia ma lì c’erano gli esami di greco e latino, Ostacoli per me insormontabili. Scelsi giurisprudenza, un po’ per prendere tempo e capire qual era la mia vocazione, se mai ne avevano una, perché era una facoltà apparentemente facile, mnemonica. Però, oltre ai rudimenti del diritto che, visto come siamo conciati oggi, io comincerei a ficcare in testa ai bambini fin dalla prima elementare, mi ha insegnato qualcosa di più importante, la «logica formale» che mi sarebbe tornata molto utile nell’arte della polemica. Massimo Fini, Una vita. Marsilio, 2015.
La mantella che l’ufficiale si tolse dalle spalle scosse il corridoio di una ventata militaresca. Le donne apparse sugli usci videro balenare una sciabola, splendere due spalline d’oro e verzicare sul petto dell’ospite un’aiuola di nastrini e decorazioni. Si diffuse intorno, quell’aura mista di rispetto e d’ineffabile ironia che le uniformi e le talari sprigionan subito in un ambiente non avvezzo a riceverne. Luigi Santucci, Il velocifero. Mondadori, 1963.
Lanfranco era ancora incerto tra il farsi poeta o pittore. Entrambe le arti lo affascinavano ma sapeva che, per emergere, avrebbe dovuto affezionarsi a una, tralasciando l’altra. Andrea Vitali, La Figlia del Podestà. Garzanti, 2005.
Il buon senso è sempre noioso. Roberto Gervaso. il Messaggero.