La Stampa, 10 maggio 2019
I guai delle aziende italiani di zucchero
«L’Europa? Ci ha massacrato». Non usa mezzi termini Claudio Gallerani, presidente della Cooperativa produttori bieticoli (CoproB) di Minerbio, unico gruppo industriale italiano che ha retto allo tsumani che negli ultimi anni ha travolto il settore saccarifero. Quello che dall’Ottocento in poi era stato ribattezzato l’«oro bianco» non luccica più e così a partire dal 2006 con la fine delle quote le fabbriche hanno iniziato chiudere. In Europa su 180 zuccherifici ne sono stati dismessi ben 80. In Italia di 19 impianti (dai 78 in esercizio negli anni Sessanta) ne sono rimasti in attività invece appena 2, quelli di «CoproB» appunto. Uno a Minerbio in provincia di Bologna e l’altro a Pontelongo in provincia di Padova. In poco più di un decennio, complice l’inerzia di tanti governi, l’Italia ha regalato l’80% del suo mercato ai gruppi stranieri e perso 10mila posti di lavoro tra occupati diretti e indotto e 200mila ettari di colture.
La guerra dei prezzi
A far precipitare la situazione da due anni a questa parte è stato il liberi tutti, coi grandi produttori francesi e tedeschi (Cristal Union, Saint Louis Sucre, Sud Zucker e Tereos), veri colossi del settore, che hanno aumentato a dismisura la loro produzione (3,5 milioni di tonnellate in più su una produzione totale di 21 milioni)nonostante i consumi fossero fermi, innescando la reazione dei produttori i indiani, thailandesi e brasiliani e determinando un crollo verticale dei prezzi che ha messo ancor più in difficoltà i produttori del Sud Europa. Le quotazioni dello zucchero sono scese così del 40% passando da 550 a 300 euro a tonnellata ben sotto i costi medi di produzione. «In questo modo, solo nel 2018, c’è stato un trasferimento di risorse pari a 2,7 miliardi dai produttori di barbabietole e zucchero all’industria di seconda trasformazione – denuncia Gallerani -. Vantaggi per i consumatori finali? Zero e in più gravi danni ambientali, visto che per produrre di più si sono forzate le colture, impiegando ad esempio molta più acqua, e c’è stato bisogno di aumentare i trasporti per trasferire bietole e zucchero». Il presidente di «CoproB» punta così il dito contro questo che chiama «delirio della competizione globale» e critica l’idea di «produrre zucchero per il mercato mondiale, competere con lo zucchero dell’emisfero Sud del mondo che sfrutta i lavoratori e distrugge l’ambiente». «L’Europa ci ha messo davvero in braghe di tela - sostiene Ivano Gualerzi della Flai Cgil nazionale -. L’Italia ha pagato il prezzo più alto perché ha ridotto del 70% la propria produzione e non è riuscita a riconvertire gli impianti come previsto dalla legge del 2006 finendo per perdere migliaia di posti».
Agricoltori allo stremo
Nonostante la bufera dalla Ue nessuna contromisura. Col risultato che il calo di prezzi l’hanno pagato innanzitutto gli agricoltori. «Noi quest’anno abbiamo rimesso le bietole, ma il nostro è stato un atto di fede perché l’anno scorso ci abbiamo rimesso» » racconta Uber Pedrazzi, un agricoltore di Ravarino che lunedì scorso a Bologna ha partecipato ad una affollata assemblea indetta da «CoproB» con alcuni candidati al Parlamento europeo. Massimo Bonetti, uno dei promotori dei «Club della bietola» con cui «CoproB» cerca di incentivare innovazione e ricerca scientifica, a sua volta critica l’Europa: «Noi ce la stiamo mettendo tutta, ma con una sola riforma la Ue, che pure spende tanto per il comparto agricolo, ha favorito le multinazionali e schiacciato i produttori». Per Gallerani i bieticoltori italiani «sono degli eroi. Anche noi dovevamo chiudere ed invece abbiamo rilanciato investendo in questi anni 160 milioni di euro, puntando tutto sul prodotto 100% made in Italy, a marchio “Italia Zuccheri”, che oggi copre il 23% del mercato nazionale (280mila tonnellate su 1,8 milioni). Oggi sono 7mila aziende agricole che conferiscono bietole a «CoproB» con oltre 30mila ettari di terreni seminati tra Emilia Romagna e Veneto, 270 i dipendenti fissi e 300 stagionali più 1500 imprese che operano nell’indotto.
Appello alla politica
Alla vigilia della tornata per le europee la filiera saccarifera lancia un nuovo appello alla politica. «Serve un piano di settore, il Paese deve decidere se se il nostro è ancora un comparto da difendere. A livello europeo serve una autoregolamentazione della produzione ed occorre difendere i prezzi. L’Europa deve cambiare rotta e l’Italia deve fare sistema» esorta Gallerani. Stesse richieste arrivano dalle associazioni degli agricoltori e dai sindacati dell’agroindustria, non solo italiani ma anche europei. Per la Flai Cgil «devono intervenire i governi, compreso quello italiano, e la Commissione che sarà istituita dopo le elezioni. Come sindacato - conclude Gualerzi - faremo di tutto per evitare che siano ancora i lavoratori a pagare il prezzo di scelte politiche sbagliate e confuse».