Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2019  maggio 10 Venerdì calendario

Lunga intervista a Novak Djokovic

Caja Magica, torneo di Madrid. Mentre Fabio Fognini risponde ai giornalisti passa Novak Djokovic che, ad alta voce, gli fa: «Parla, parla, parla sempre…». E Fognini: «Sì, sì e sempre forza Inter». Ecco, Novak Djokovic è così. Può essere il n. 1 del mondo, l’uomo Slam, ma alla fine non ama prendersi troppo sul serio, tanto da voler parlare in italiano.

Novak, dopo Madrid ci sarà Roma. Pronto?
«Sono contento di venire in Italia. Roma è una seconda casa. Perché ho come la sensazione di essere italiano. Lo vedo: la gente mi guarda con energia positiva, con simpatia, con molto calore. E lo sento sul campo, e nella città con tutta la sua storia. Poi ho molti amici, conosciuti nei miei quindici anni».
D’altronde c’è tanta Italia nella sua squadra.
«Esatto, a cominciare da Elena ed Edoardo, i miei professori della vostra bella lingua».
E cosa le raccontano del nostro Paese?
«Oh, non fanno che ripetermi che il mondo è nato grazie all’Italia, che le cose più importanti sono italiane, dall’arte al cibo, il romanticismo, la natura. Ma i miei sentimenti per l’Italia nascono prima di tutto questo».
Risalgono a quando si allenava con Riccardo Piatti...
«Ed è grazie a lui se sono a Montecarlo, dove sono nati i miei bimbi. Ma io mi sono sempre sentito attratto dalla vostra tradizione e cultura. A 17 anni ho cominciato a imparare, da autodidatta. Quando parlo italiano è come se parlassi serbo».
Però lei è orgoglioso delle sue radici.
«Tutti noi del Sud Europa lo siamo: Grecia, Spagna, i Balcani. Abbiamo una storia, e quando ne hai avuta molta, con incontri, guerre e politica, sei internazionale. Noi serbi siamo molto aperti. E siamo bravi nello sport perché siamo gente che ha sempre dovuto faticare, oltre ad avere la predisposizione genetica».
Anche grazie al tennis ha visto il mondo.
«Ecco, ci tengo a dirlo: io oggi sono cosmopolita e pacifista. Guardo al mondo come fratelli e sorelle. Ma sono grato e orgoglioso delle mie origini serbe, che ho abbracciato, accettato e amato. Ma non nazionalista, nel senso di non accettare altre culture. E sulla Serbia voglio aggiungere quello che raccontava mio nonno, che camminava chilometri e chilometri, per giorni e giorni. Per acqua e cibo. Ci si aiutava, e forse anche per questo siamo bravi negli sport di squadra. Ma, negli ultimi venti anni, anche in quelli individuali».
Però lei è dovuto andar via.
«In Germania. Era il ’99, da Niki Pilic. il mio papà del tennis, e ci sono andato solo grazie a Jelena Gencic, la mia mamma del tennis, che mi raccomandò citando perfino Monica Seles. Mi hanno fatto da genitori, mi hanno accettato da bambino. Non avevo 14 anni. Ma sono sempre rimasto collegato alla Serbia. E oggi penso a come aiutare il mio Paese, cosa poter fare».
E il mondo?
«Aggiustare il mondo? O mamma mia... ho molte idee ma non abbiamo tempo. Intanto mi informo, ma devo anche difendermi dall’eccesso di notizie: il flusso di informazioni è intenso, non riesci a difenderti. Ti distrai, vieni sopraffatto: le news devono essere prese nelle dosi giuste. Altrimenti non riesci a filtrare».
Torniamo a lei: c’è il rischio di sentirsi onnipotenti?
«Il pericolo è il tuo ego: le tue vittorie ti fanno sentire forte, pensi che il mondo giri intorno a te, che il mondo sei tu, che sei il più grande. Beh, non è una cosa bella. Dopo tanti anni è ancora dura: io sono umano, certe volte non mi sento bene di fronte al troppo affetto. Non è questione di privacy, è che ho bisogno di pace, di spazio. Sono fatto così».
Resta il fatto che lei sorride a tutti, o almeno ci prova.
«Leggerezza. Nella vita è necessaria, questa è la mia filosofia. Bisogna conservarla».
Ricordiamo ancora le sue imitazioni, che mostrano la sua attenzione per i dettagli.
«Le imitazioni? Un gioco, perché siamo imperfettamente perfetti. Le imitazioni mi servono per i dettagli, mi piace osservare con attenzione. Ma non le faccio più, ho capito che a qualcuno non stava bene e non voglio insultare nessuno».
Ora è tornato al top. Ma è dovuto cadere dalla montagna.
«La mia vita è un sali e scendi, come un ascensore. E quando cadi impari di più, perché l’intensità del dolore è più forte dell’emozione del trionfo. Anzi, le vittorie nascondono insidie, nel senso che ti impediscono di cambiare perché pensi di aver fatto tutto bene. Invece la vita è altro».
A cosa si riferisce?
«Devi essere in equilibrio. Quando ho investito tutto nel tennis, non è andata bene. Così è stata la prima parte della carriera. Quand’ero numero tre ero quasi depresso».
E ha pensato: “Ma perché dovevo giocare ai tempi di Nadal e Federer?”
«Sì, ho pensato anche a quello. Ma la verità è che tutti siamo stati arrabbiati e tristi nelle nostre vite, non è vero? Ed è dal buio che arrivano le emozioni più incredibili. Nella caduta ho scoperto cose di me che non immaginavo, le scopro ancora adesso. È il ciclo della mia vita, una vita mai in stagnazione».
Un ruolo importante ha giocato anche sua moglie, Jelena Ristic. E l’essere diventato papà, una cosa che pare abbia aiutato anche Federer e Fognini.
«E allora quando Nadal diventa papà chissà che succede, vince tutti i tornei! Scherzo, dico che solo diventando genitore ho scoperto emozioni che non immaginavo. Ho visto nei bimbi una nuova parte di me. È stata una grande spinta, eppure sono stato ancora troppo fagocitato dal tennis».
Autocritica sincera.
«Mia moglie mi ha seguito, ma questo lo dico ripetendolo a me stesso: l’essere coinvolto nelle cose familiari, essere di più a casa - anche se i pannolini li ho sempre cambiati - è il mio vero grande lavoro».
Poi c’è la sua dieta, con tanto di libri che lo attestano. Magari punta a Masterchef.
«Ma no: la mia dieta in cucina prevede soprattutto frutta e legumi. La vedo male. E pensare che mio padre ha un ristorante da trent’anni e che la tradizione gastronomica serba si basa sulla carne... meno male che ora il mio papà ha anche la parte vegetariana. Ma da quattro anni ho cambiato regime, e ne sono felice per la mia salute e per quella del pianeta. Psicologicamente mi sento meglio, in armonia col mondo».
Scherzando, ma non troppo, come si vede a 60 anni?
«Molto attivo, nella natura, coinvolto nello sport. E con più bambini… noooo, non diciamolo che poi litigo con Jelena. Scherzi a parte, io sono un tipo calmo, ma che vuole essere sempre in azione, creare qualcosa».
Ma creare qualcosa di che tipo? Quali sono i suoi interessi extra tennistici?
«Tutto quello che riguarda il mondo e il benessere. Questo mi interessa, tutte le cose che possono migliorare e influenzare la nostra vita. E devo dire che mi sembra che il mondo stia andando in questa direzione adesso, da quello che mangi a come lavori».
Beh, sulle cose da mangiare possiamo tornare all’Italia. Potrebbe davvero essere il suo futuro, il nostro Paese.
«Oh, ma io ne sono convinto: l’Italia è molto avanzata, moderna. Ma certe volte siete voi che non credete alle vostre stesse cose».
Beh, grazie da parte degli italiani. Un’ultima cosa: a Roma farà un’altra esibizione con Fiorello? Ma lo sa che è interista, essendo lei milanista?
«Ecco perché non mi ha invitato a nessun programma questa volta. E ora che ci penso, Fognini è interista, adesso ho capito tutto... Ma Fiore, ti voglio bene lo stesso: sei sempre mio amico».