Il Messaggero, 10 maggio 2019
L’holding vicina a CasaPound
La maglietta con la tartaruga di CasaPound on line costa 15 euro, ma il problema, secondo il leader nazionale Simone Di Stefano, sono le toppe: si tratta del marchio in tessuto che chiunque può acquistare, «poi lo applica sul giubbotto e se combina qualche guaio i giornali dicono che è uno di CasaPound». Nella descrizione della galassia CasaPound e delle sue attività economiche in fondo c’è sempre lo stesso problema: se ad aprire una casa editrice o un’azienda di abbigliamento fashion (nessun gioco di parole) è un imprenditore dirigente e militante di CasaPound non significa, spiega Di Stefano, che quelle siano imprese con cui il gruppo macina profitti. Dunque: non è di CasaPound l’editore Altaforte di Francesco Polacchi, dirigente lombardo di CasaPound, appensa espulso dal Salone del Libro. «Ma secondo lei – dice Di Stefano – a me può fare piacere che proprio in questi giorni Altaforte pubblichi un libro-intervista a Salvini alla vigilia delle elezioni europee e con il sottoscritto candidato? Avessi potuto decidere io avrei fatto pubblicare il libro-intervista a Simone Di Stefano. Ma quella di Polacchi è stata una legittima iniziativa editoriale e imprenditoriale». Resta però un dato di fatto: dal libro di fumetti Benito Mussolini-La mia guerra alla collana D’Annunzio, Fiume e futurismo il bacino di lettori-acquirenti è molto vicino a CasaPound. «Diciamo che è un punto di riferimento per tutta l’area sovranista, ma anche Lega e Fratelli d’Italia in fondo fanno parte di quel mondo lì».
PRIMA PAGINA
Polacchi pubblica anche il mensile Primato nazionale e pure in questo caso si viaggia sul doppio binario: è la rivista che ha un editore dirigente di CasaPound, ha tra i suoi acquirenti quelli di CasaPound («ma non solo»), ma non è di CasaPound. La copertina dell’ultimo numero mette in prima pagina le foto di alcuni leader europei – Bonino, Le Pen, May – ma quelli che si vedono meglio, uno al fianco dell’altro, sono proprio Salvini e Di Stefano. I fratelli Francesco e Michele Polacchi hanno anche fondato il marchio di abbigliamento Pivert, presente a Roma w in molte città d’Italia con degli store. In linea di massima nei loro prodotti non hanno una impronta stilistica di ultradestra. Sul sito presentano polo e giubbotti vari («rigorosamente made in Italy») spiegando che fanno «sentire ogni uomo parte di una community più estesa in cui vengono condivisi valori e pensieri». Nella galassia dell’economia di CasaPound vengono sempre elencati ristoranti, come la catena Angelino dal 1889 (Roma, Milano, Malaga) che ha tra i soci la moglie di Iannone, e pub. «Ma nei ristoranti ci va chiunque, mica solo noi di CasaPound», ribatte Di Stefano. Va bene, ma tutta la grande macchina di CasaPound davvero si finanzia solo con la vendita delle magliette a 15 euro che si trovano on line ma anche nella libreria La Testa di Ferro? Ecco, per questa libreria c’è il via libera definirla «di CasaPound», «ma quanti soldi volete che faccia, di questi tempi, una libreria?». Ma torna la domanda allora: detto che il grande stabile occupato all’Esquilino, in via Napoleone III, protetto da un sofisticato e costoso sistema di videosorveglianza, è occupato abusivamente dal 2003 e dunque non viene pagato l’affitto, però come si manda avanti l’intera baracca? Come si fa ad essere sempre pronti a organizzare manifestazioni e proteste come quella di Casal Bruciato, con striscioni e mobilitazioni? Secondo Di Stefano le 18 famiglie che abitano negli appartamenti occupati pagano, ogni mese, una quota per le spese di manutenzione, «ma parliamo di non più di 20 euro al mese». In tutta Italia CasaPound ha 20.000 iscritti che pagano 15 euro di quota annuale, il resto è da decifrare. «Certo ci piacerebbe godere di finanziamenti pubblici come i partiti» chiude Di Stefano che però dimentica il valore dello stabile pubblico occupato all’Esquilino. «E poi a volte incassiamo belle cifre grazie alle querele ai giornali che scrivono bugie su di noi» aggiunge.