il Giornale, 10 maggio 2019
La nuova rotta della cocaina
Si dice che nascondere la polvere sotto al tappeto non serva a nulla. In effetti quello che in molti fanno finta di non vedere è inquietante, anche perché la polvere in questione è la cocaina. Il 60% della polvere bianca venduta in Europa e in Italia arriva dall’Africa pur essendo di produzione colombiana. Stiamo parlando di quasi 20 tonnellate di cocaina ogni anno, per un giro d’affari che supera il miliardo di euro. La notizia, confermata nelle scorse settimane dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (Unodc), non solo ha dell’incredibile, ma lascia emergere una fitta serie di contatti tra i narcos sudamericani e i jihadisti, e il conseguente passaggio della droga dall’Africa al Mediterraneo attraverso scafisti e migranti. L’Unodc ha chiesto di recente all’Interpol di rafforzare i controlli, ma al momento nulla di concreto è stato fatto e il traffico continua senza sosta. Le regioni africane a ridosso del Sahara si stanno trasformando in una nuova Colombia.
Negli ultimi mesi oltre undici tonnellate di cocaina sono state intercettate a Capo Verde e in Guinea Bissau. Si tratta di cifre record che sollevano le paure di connessione tra il traffico di droga in Africa occidentale e i gruppi islamisti che vedono in questo business un importante strumento di finanziamento. All’inizio di febbraio le autorità capoverdiane hanno sequestrato una nave battente bandiera panamense nella quale sono state trovate 9,5 tonnellate di cocaina. Gli undici marinai (di nazionalità russa) che formavano l’equipaggio sono finiti in manette. La medesima cosa è accaduta lo scorso 13 marzo in Guinea Bissau, dove la polizia ha intercettato un camion di pesce nel quale sono stati trovati 800 chili della stessa sostanza. Tra i detenuti figura persino un consigliere del presidente del Parlamento del Niger. Secondo il World drug report 2018, i narcotrafficanti diretti in Europa pagano membri dei gruppi islamisti legati ad Al Qaida e allo stato islamico per proteggere le spedizioni che attraversano il Sahara. La droga quindi approda sulle coste libiche assieme ai migranti diretti verso Italia, Malta e Spagna.
Tutto è iniziato nel 2009, quando nel bel mezzo del deserto del Mali, vicino alla città di Tarkint, dove non ci sono strade e i controlli radar scarseggiano, è apparsa la fusoliera carbonizzata di un Boeing 272 che trasportava dieci tonnellate di cocaina purissima proveniente da un volo partito da Bogotà. Con l’aiuto dei camion, le merci risalirono verso nord e da lì in Europa. A capo dell’operazione c’era Miguel Angel Davesa, un ex poliziotto galiziano che si era stabilito in Mali dopo essere stato espulso dal corpo. Davesa era diventato uno dei leader del traffico di droga dell’Africa occidentale. Paesi come il Mali, il Niger e la Mauritania sono tessere fondamentali nel puzzle del contrabbando. Nazioni dove cellule della sterminata galassia qaidista sono profondamente radicate. Per fermare il traffico l’Onu e la polizia di diverse nazioni sono intervenuti per assistere le forze di sicurezza dei Paesi coinvolti dalle rotte per l’Europa. Si riteneva che il traffico potesse diminuire sensibilmente, in realtà, spesso con la complicità di poliziotti e militari corrotti, il fiume di droga continua a transitare come nulla fosse. Secondo uno studio dell’ong sudafricana Institute for security studies, il Mali è uno dei principali punti di transito della regione per la cocaina proveniente dal Sud America. Il fatto che il numero di sequestri all’aeroporto di Bamako sia diminuito dal 2008 a oggi mostra da una parte l’impegno delle autorità nel fare fronte al fenomeno, ma dall’altra che i trafficanti si siano adattati e trasportino sempre più stupefacenti su strada. Il carico intercettato in Guinea Bissau è collegato al finanziamento dell’Aqmi, i jihadisti di Al Qaida del Maghreb islamico. Si tratta di un dato preoccupante che lascia emergere il fallimento dell’intervento militare nel Sahara guidato dalla Francia e benedetto dalle Nazioni Unite. A partire dai primi anni del duemila, quell’immensa area desertica compresa tra il Mali settentrionale, la Mauritania, l’Algeria e il Niger è divenuta uno snodo cruciale dove fare passare ingenti quantità di cocaina provenienti da paesi come Bolivia, Colombia e Perù. Secondo stime dell’Unodc, ogni anno verrebbero trasportate nella regione sahelo-sahariana circa diciotto tonnellate di cocaina per un valore superiore al miliardo di euro.
Un forte aumento della produzione globale di cocaina potrebbe aiutare a spiegare la nascita della rotta nell’Africa occidentale. I cartelli di Bogotà, Medellin, Norte del Valle e Cali stanno cercando di diversificare le destinazioni in modo da bypassare i controlli sempre più rigidi in Europa, servendosi dell’Africa e del bisogno dei gruppi jihadisti di monetizzare. La via terrestre resta la più utilizzata, con la tratta trans-sahariana che, dopo avere raggiunto paesi come il Marocco, l’Algeria o la Libia, si serve degli scafisti per traghettare la merce sulle coste europee. Anche le vie marittime ricoprono un’importanza strategica. I carichi partono dai porti di Nouakchott, Bissau e Dakar e, attraverso piccole imbarcazioni di pescatori, arrivano fino alle coste europee del Mediterraneo. Secondo quanto dichiarato dalla Dea, il dipartimento americano dell’antidroga, nel 2010 si sarebbe tenuta una serie di incontri tra alcuni rappresentanti delle Farc, l’organizzazione guerrigliera colombiana, e i miliziani di Aqmi. Da queste riunioni sarebbe nato un accordo commerciale che ha affidato ai terroristi il compito di trasportare la «merce» nel territorio africano fino alle coste del Mediterraneo. Grazie a una stretta collaborazione con le differenti tribù locali, gli uomini di Al Qaida garantiscono il transito della cocaina guadagnando duemila euro su ogni chilo. L’Unodc ha stimato che il gruppo jihadista otterrebbe il 15% su ogni grammo venduto in Europa al prezzo di 50 euro.