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 2019  maggio 10 Venerdì calendario

La minaccia nucleare da India e Pakistan

Chi temeva le atomiche del dittatore nordcoreano Kim Jong-un si ricreda. Il vero epicentro di un possibile inverno nucleare è il confine tra India e Pakistan. I due paesi, dotati di centinaia di testate nucleari (140/150 il Pakistan e qualche decina in meno l’India), sono in guerra da settant’anni e affrontano ricorrentemente il rischio di un escalation fuori controllo. Tutto risale all’agosto 1947 quando gli inglesi abbandonano la colonia indiana lasciando che indù e musulmani pakistani si contendano, a colpi di massacri, il controllo dei territori. La provincia del Kashmir, a maggioranza musulmana, ma governata da un maraja indù, resta così con Nuova Delhi. Da quel momento non c’è più pace. Per il Kashmir India e Pakistan combattono, nel 1949 e nel 1965, due sanguinosi conflitti. Nel 1999 arrivano a un passo dallo scontro nucleare. Oggi la questione non cambia. Per l’India il Kashmir è parte integrante dei propri territori. Per Islamabad solo un referendum fra gli abitanti a maggioranza musulmana può deciderne il destino. 
L’ultimo brivido arriva lo scorso febbraio quando un kamikaze islamista del Jaish-e-Mohammed (Jem – Esercito di Maometto) fa strage di poliziotti indiani nel Kashmir. Per tutta risposta il premier nazionalista Narendra Modi, impegnato in una difficile campagna elettorale, ordina la prima rappresaglia aerea sui territori pakistani dalla guerra del 1971. Il raid su una presunta base del Jaish-e-Mohammed e le contrapposte rappresaglie aeree si concludono con l’abbattimento di due jet indiani e la cattura di un pilota. A quel punto solo il gesto distensivo del premier pachistano Imran Khan che libera l’aviatore mette fine al brivido. Ma la spada di Damocle di un escalation fuori controllo permane. Una nuova vittoria dell’ultranazionalista Modi alle elezioni che si concluderanno il 23 maggio potrebbe innescare la modifica della dottrina nucleare indiana. Fin qui l’India si è impegnata a usare l’arma atomica solo come rappresaglia in caso di attacco nucleare nemico. Ma dal 2014 il partito di Modi promette di «studiare nel dettaglio la dottrina nucleare indiana, rivederla e ammodernarla per adattarla al momento attuale». Una nuova vittoria di Modi potrebbe spingere l’India ad avviarne la pericolosa modifica. 
La crisi dello scorso febbraio ha evidenziato anche l’assenza di una grande potenza in grado di far dialogare i due nemici. In passato questo ruolo era sempre stato svolto dagli Stati Uniti. Il sostanziale disinteresse dell’amministrazione Trump per la regione contribuisce a lasciar spazio agli esponenti più estremisti dei servizi segreti (Isi) e dell’esercito pakistano. Gruppi come il Jaish-e-Mohammed continuano così a godere dell’appoggio degli apparati di Islamabad decisi ad armarli e finanziarli per tener viva la fiamma dell’indipendentismo del Kashmir. La Cina, alleata di Islamabad, protagonista nel 1962 di una breve guerra con l’India e dotata di un sistema missilistico DF 25 che gli consente di tenere sotto tiro tutto il territorio indiano, rappresenta un altro fattore destabilizzante. A tutto ciò s’aggiunge il rischio del possibile passaggio di una testata nucleare nelle mani di una formazione terrorista. Un rischio aggravato dalla dispersione delle testate nucleari pakistane in vari arsenali molti dei quali considerati non sicuri. Arsenali che hanno già subito, in passato, gli attacchi del terrorismo islamista. Nel novembre 2007 un attentatore suicida si fece saltare su un bus che trasportava i dipendenti della base aerea di Sargodha conosciuta come un sito nucleare. Un mese dopo un nuovo attacco colpisce un altro sito strategico come la base aerea di Kamra. Nell’agosto 2008 un attentatore suicida si fa esplodere, invece, nei pressi di quello che è considerato il principale arsenale nucleare pakistano nella regione di Wah. E nel 2011 un gruppo di militanti occupa per 15 ore un’importante base navale vicino a Karachi, distruggendo tre aerei da sorveglianza P-3C Orion e uccidendo dieci militari. 
Un altro grosso rischio deriva dalle possibili connivenze con i terroristi di qualcuno dei 9mila fra funzionari, tecnici e scienziati pakistani coinvolti nella fabbricazione e nel mantenimento degli ordigni atomici. Nell’agosto 2001, mentre erano in preparazione gli attentati dell’11 settembre, Sultan Bashiruddin Mahmood e Chaudiri Abdul Majeed, due scienziati nucleari pakistani già coinvolti nel sostegno ai talebani, incontrarono in Afghanistan il capo di Al Qaida Osama Bin Laden offrendogli la loro collaborazione. La dimostrazione più evidente delle pericolose connivenze tra terroristi e servizi di sicurezza è arrivata, del resto, con la scoperta dell’ultimo rifugio di Osama Bin Laden nel cuore della cittadella militare di Abbottabad a meno di quattro chilometri dalla più prestigiosa accademia del paese. Fino a oggi, insomma, è andata sempre bene, ma le incontrollabili incognite legate all’inaffidabilità di India e Pakistan unite alla presenza di gruppi terroristici intimamente legati agli apparati statali rischia veramente di trasformare il sub-continente indiano nello scenario di un olocausto nucleare. Sotto gli occhi distratti e indifferenti del resto del mondo.