ItaliaOggi, 9 maggio 2019
Periscopio
Lessico e nuvole. L’intellettuale sbrindellato si chiama sbrindellò. Dino Basili. Uffa News.
Leggere solo libri di autori defunti, a cui non si dovrà scrivere o telefonare. Gesualdo Bufalino, Bluff di parole. Bompiani, 1994.
Il partito comunista è un partito solo formalmente. In realtà è una chiesa chiamata a fondare il regno del collettivismo e a questo compito possono servire uomini che hanno come primo movente il bisogno di emergere, di differenziarsi dagli altri. Guido Morselli, Il comunista. Adelphi, 1976.
Nella campagna elettorale del 2018 i sondaggi diedero Berlusconi in rimonta finché nessuno lo vide né lo sentì parlare; poi ne fece e ne disse tante che Forza Italia precipitò. Marco Travaglio. Il Fatto quotidiano.
La destra della fine Ottocento era rivoluzionaria, ma in senso liberale. Voleva lasciare la libertà agli individui, dando loro uno Stato; uno Stato libero, nel quale si potesse esercitare la libera concorrenza. La Destra storica fu cavouriana, cioè anti-protezionista. È con la Sinistra che torna il protezionismo e quindi il legame con i capitalisti. È buffo ma è così. Giuseppe Prezzolini, Intervista sulla destra – a cura di Claudio Quarantotto. Mondadori, 1994.
Con Carlo Freccero, direttore di Rai2 ho parlato del più e del meno. Subito hanno rivisto in Santoro lo spettro del passato. Carlo Freccero mi ricorda una definizione di Giancarlo Pajetta: «È contemporaneamente un opportunista di destra e di sinistra». Mi limito a gestire il mio sito, un laboratorio che sonda gli umori della Rete e produce contenuti. Finché potrò permettermelo. Michele Santoro, conduttore tv (Stefano Lorenzetto). Corsera.
Prima di finire l’intervista, il cardinal Ersilio Tonini domandò se poteva raccontarmi una storiella. «Per lasciarci in letizia», precisò. «Certo», dissi anche se ero già in perfetta serenità. Un pastore annuncia all’altro: «Insegno a parlare alla mia pecora». «Con che parola hai cominciato?». «Beethoven». «Ci riesce?». «È a buon punto. Dice già Bee». Mai incontrato uomo più candido di quel canuto cardinale. Giancarlo Perna, saggista politico. LaVerità.
Non ho mai voluto una patria costituita da una nazione o da una città. Non ci credo. Eppure ho bisogno di una patria. Per me è facile dire oggi: il teatro è la mia patria. Mi ricordo di una frase di Jean Amery: di quanta patria ha bisogno un uomo? Potrei aggiungere: di quanti stranieri abbiamo bisogno perché una patria abbia un senso? Ecco su cosa dovremmo oggi tornare a interrogarci. Eugenio Barba, regista teatrale (Antonio Gnoli) la Repubblica.
Molti anni fa mi capitò di accompagnare Federico Fellini e di stare con lui quasi tutto il giorno e anche la sera. Mi chiese di fargli conoscere Milano. Ciò che più lo impressionò fu il palazzo della Mondadori costruito da poco, opera di Niemeyer. Ci si arriva attraverso una stretta passerella di cemento che divide due laghetti abitati da delle carpe enormi che certamente hanno inghiottito parecchi giornalisti. Il palazzo, tenuto a dieci metri da terra da delle possenti colonne è un blocco unico di vetrocemento, senza una finestra e tantomeno un balcone. Gli uomini che vi passeggiano sotto appaiono minuscoli, ininfluenti. «Se fosse un tempio atzeco sarebbe splendido», disse Fellini, «ma pensare che ci vivano degli uomini...». «Non per nulla Brasilia, la capitale del Brasile, ideata da Niemeyer, ha il più alto tasso di suicidi al mondo». Federico mi chiese: «Tu hai lavorato qui?». «No, ma vi ho visto spegnersi belle intelligenze. È una company town, dentro c’è tutto, giornalaio, tabaccaio, boutiques, alimentari. Ma fuori è il deserto». Massimo Fini, Una vita. Marsilio, 2015.
A destra, dove si apriva lo scalone, un ascensore nero e monumentale attendeva. L’artigiano che l’aveva costruito doveva avere pensato che nessuna fantasia troppo alata bastava per qualcosa che sale, e, lavorando di ferro battuto, di mogani, di cristalli e di velluti, ne aveva fatto una specie di berlina reale. Guglielmo Zucconi, Una storia pulita. Fabbri editori, 1972.
«Ok buongiorno, signor Kramer», disse la bambinaia inglese nel suo appartamento di New York. Una voce molto fredda e britannica, la sua. Kramer era convinto d’infischiarsene assolutamente degli accenti britannici, o anche dei britannici come tali. In realtà lo intimidivano i britannici e i loro accenti. Tom Wolfe, Il falò delle vanità. Mondadori, 1987.
Mi veniva sempre in mentre il trucco ai cui il mio ultimo principale, l’architetto Domgreve, ricorreva spesso per ottenere le commissioni: quello da far cadere dalla tasca, al momento decisivo, la corna del rosario; per esempio quando andava in qualche posto e certi devoti contadini gli mostravano con orgoglio il terreno dove farebbe sorta la nuova chiesa che avrebbe dovuto progettare, allora, lui, insieme agli spiccioli, all’orologio o alle forchette per spuntare i sigari, faceva saltar fuori di tasca, e cadere per terra la corona del rosario, che si precipitava a raccogliere: su quel trucco non mi era mai riuscito di sorridere. Heinrich Böll, Biliardo alle nove e mezzo. Mondadori, 1959.
Vitaliano Brancati lo si vede ogni tanto da Aragno appena riesce a svicolare da Catania dove insegna lettere in un ginnasio-liceo: gracile, impacchettato in una eleganza un po’ pretenziosa, l’espressione del volto mansueta e ironica. Franco Monicelli, Il tempo dei buoni amici. Bompiani, 1975.
Jorge Amado è stato un lavoratore instancabile fino all’ultimo (è morto nel 2001): si alzava con il buio e batteva per ore con due dita sui tasti della Royal. Adorava i pappagalli, i carlini e le papere. Il suo mito era Charlie Chaplin. Tifava squadre minori, come il Bangú di Rio, ma solo perché era stato il primo team ad ammettere giocatori neri. Un singolare brasiliano: detestava il caldo e non sapeva nuotare. D’altra parte, soleva ripetere: «Non sono religioso, non ho alcuna fede, ma credo nei miracoli». Alberto Riva. il venerdì.
Estrae i soldi per pagare il giornale. Ora, lo vedo da vicino: è inebetito. Ridotto allo sguardo di chi articola fatica a pensieri che non ha più. A reggerlo non è un ragazzino come pareva da lontano. Ma una giovane minuta, forse filippina. Dedica al vecchio una sbrigativa solerzia. Così gli cammina vicino, e distaccata non pare voler bene a questo decrepito italiano, che qualcuno le ha affidato. Ma si guadagna lo stipendio. Geminello Alpi, Ai padri perdòno. Mondadori, 2003.
Non mi si toglierà mai l’idea che la stupidità è una forma di intelligenza. Coluche, Pensées et anecdotes. Le Livre de Poche. 1995.
La guerra è un’epidemia voluta da una élite criminale. Roberto Gervaso. Il Messaggero.