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 2019  maggio 09 Giovedì calendario

Le lettere del giovane Craxi

Sono indirizzate all’«avv. Vittorio Craxi, via Besana 10, Milano». Lettere prive di date (desumibili però dai timbri postali) che il figlio Bettino, ventiquattrenne vicepresidente dell’Unione nazionale universitaria rappresentativa italiana, scrisse nel 1958 al padre, da Roma. Le ha ritrovate il cognato Paolo Pillitteri fra le carte di sua moglie Rosilde, sorella di Bettino, morta nel 2017. Offrono squarci inediti sulla personalità del futuro leader socialista.
«L’aria di Roma mi fa ingrassare», si cruccia Craxi, attribuendo al ponentino i probabili effetti delle amatriciane. Vive alla pensione Padova, «ma ho in animo di cambiare in meglio», anche se le comodità dell’hotel Raphaël sono di là da venire. «Sto naturalmente bene», rassicura spavaldo. «Sono però pieno di grane politiche come non mai. Dovrò quindi riflettere e lavorare non poco per superarle. (Senza considerare i miei casi personali che ho sempre messo in sottordine ma che cominciano a premere con una certa urgenza. In particolare debbo dire che non sono affatto disposto ad attendere i crismi della “assoluta tranquillità” economica ecc. ecc. per risolvere il problema mio e di Anna, giunto a sufficiente maturazione)». Sposerà Anna Maria Moncini l’anno seguente, usando il tram per recarsi in municipio.
Un passo esortativo denota l’inclinazione alla prodigalità: «Che la madre non si preoccupi perché se ho bisogno di biancheria di ricambio me la compro». Lo stipendio di «90.000 lire mensili più le spese extra» glielo consente. Subentra tuttavia uno scrupolo morale: «Dovrei percepire comunque, sia che firmi presenza a Roma sia che non la firmi (ma ovviamente non ne posso approfittare)». Nella lettera c’è un post scriptum: «Tempo fa promisi al Festa un favore. Dovreste pregarlo di inviarmi i dati necessari (nome, cognome, qualifica dell’ente “fantasma” che rappresenta). Forse forse ho trovato una via», con l’avverbio ripetuto due volte. In uno scritto successivo diventerà «la “ditta” del Festa».
Un ricordo è per «la mamma che mi ha messo un sant’Antonio nella giacca, e mi ha commosso molto». Quando lo intervistai ad Hammamet, un anno prima che morisse, Craxi mi rivelò che da bambino avrebbe voluto farsi prete: «Nella sacrestia della chiesa di San Giovanni in Laterano, a Milano, stavo per ore sull’inginocchiatoio a fissare un dipinto con il volto della Sindone. E Gesù a un certo punto apriva le palpebre e mi guardava».
Ci sono poi le missive di respiro internazionale. Una arriva da Pechino: «Sono all’hotel dove Malaparte alloggiò nel suo soggiorno in Cina (facciamo le corna ai ricorsi e alle analogie)». Interessanti le osservazioni antropologiche: «I cinesi sono di una generosità senza pari. Se starnutisci, ti portano dal dottore. Raffinati e gentili, vogliono che l’ospite non abbia desideri inappagati». Craxi non ne ha: «Ho tutto ciò che desidero. Dico tutto». La storia dimostrerà che ancora non gli bastava.