il Fatto Quotidiano, 9 maggio 2019
Allo stadio con Galliani
Campo sportivo comunale di Viterbo o stadio del Littorio o stadio Rocchi, Viterbese contro Monza, finale di Coppa Italia di serie C o terza serie o Lega Pro, ingresso unico, una tribuna che dondola, una curva Nord, una curva Sud, un muretto a secco, due bandiere a metà campo, gente affannata, gente affamata, gente che corteggia le tartine in sala vip. Entrò Adriano: “Vieni qui, Paolo”. Adriano Galliani ha la solita cravatta gialla, gli occhiali in bilico sul naso, lo sguardo all’ingiù: “Guarda, Paolo”. Paolo Berlusconi, il fratello di Silvio, presidente del Monza, guarda e sospira: “Questo era cartellino rosso, diretto, senza appello. La palla è lontana dieci metri”. Adriano Galliani, a suo modo fratello di Silvio, amministratore delegato del Monza, fende i calici di prosecco, ignora il gelato al lampone, inarca la schiena per assumere una posizione solenne: “Mi scusi, è il dottore, chiama da Arcore per commentare la prima frazione di gioco”, uomini Fininvest, in uniforme col cappotto blu, annuiscono deferenti.
Il giorno dell’82esimo compleanno di Silvio, lo scorso 29 settembre, Galliani ha comprato il Monza per 3 milioni di euro, cioè la Fininvest ha comprato il Monza per Galliani e così ha interrotto la dolorosa, a tratti lancinante, astinenza dal pallone dopo la vendita del Milan: è il tempo fermo, è il passato che strattona il futuro, è il blasone che spintona la realtà, la passione di sé e del calcio. Patetica o poetica ossessione, chissà. “Io ci ho provato all’oratorio. Però ero una pippa di calciatore e subito ho deciso di cambiare sogno, l’ho detto pure a Beppe, il Baresi interista, a Paolo Maldini, il nostro Paolino. Gli amici di famiglia erano insistenti: Adriano, cosa vuoi fare da grande? E io, sicuro: il capo del Monza. Ci sono riuscito”. Galliani ingolla un po’ d’acqua, un signore grosso e baffuto abbraccia Berlusconi piccolo: “Paolo, quante Champions League abbiamo alzato assieme?”. Paolo è ancora stordito dal mancato rosso per la punta degli avversari: “Alti e bassi, ripartiamo dal basso”.
Siccome Galliani è sempre Galliani e la bacheca del Milan di Galliani è la bacheca di Galliani e di Silvio per carità e dell’intera dinastia dei Berlusconi, il senatore di Forza Italia, che fu per un attimo juventino, mai interista e tra Milan e Monza gradisce l’espatrio, presidia Viterbo da due giorni, cena con la squadra, indottrina il capitano Andrea D’Errico, tra i pochi superstiti del mercato di gennaio con sedici acquisti, adora il tecnico Cristian Brocchi perché schiera i due attaccanti e ha segato “gli alberi di Natale” con un centravanti di ancelottiana memoria, dunque per villa San Martino di Arcore è uno Jurgen Kloop che verrà.
Siccome Galliani è Galliani, il Milan che fu – degli olandesi, di Sheva, di Kakà, di Sacchi, di Capello, di Ancelotti – è qui per battere Santiago Bernabeu, l’emblema, la leggenda, lo spirito del Real Madrid: “Il conto è facile, 29 trofei noi dal 1986 al 2017 e 29 trofei Bernabeu dal 1943 al 1978”. E poi s’avvicina l’anniversario con Silvio, va onorato. Era il 31 ottobre 1979, racconta spesso Galliani. Arcore chiamò: il monzese Adriano riceve un invito a cena per l’indomani, l’1 novembre. Silvio di Telemilano58 vuole le antenne di Elettronica Industriale, l’azienda di Lissone che Adriano, dopo gli investimenti in uno stabilimento balneare di Vieste, ha strappato a Ottorino Barbuti. Consumato l’aperitivo, verso il brasato, nasce Mediaset: “Silvio prese il 50 per cento di Elettronica Industriale e allora decise di coprire l’Italia di ripetitori e competere con la Rai con uno schema molto offensivo: tre reti a tre. Io ero solo un po’ angosciato, per una ragione di calcio, e fui perentorio”.
I ricordi hanno un difetto: sono indulgenti. E i ricordi di Galliani con Silvio sono epopea, col sole in tasca, sganciati dalle furbate del dottore, niente nuvole, ombre, dubbi: “Caro Berlusconi, io posso mettere l’antenna a Bari oppure a Trieste, ovunque, ma la domenica vado dal mio Monza. Silvio, che è un tipo generoso, mi disse: ok, sei pazzo”. Galliani conquista i gradi di vicepresidente del Monza nell’85, giura che tracce del sentimento milanista c’erano già, perché nel ’63, per Milan-Benfica di Coppa dei Campioni, varcò la frontiera svizzera per assistere alla partita in diretta da una tv locale, non in differita come in Italia. Oggi è a Viterbo: “Ora la mia mente è sospesa, non registro nulla. Mi parla, io non sento. Sono in campo con i ragazzi. Gara complicata, sono tosti”. La Viterbese si chiama Viterbese Castrense perché ha ottenuto in dote, in Eccellenza, il titolo della Grotte di Castro dal patron Piero Camilli, sindaco di Grotte di Castro, pare di centrodestra, imprenditore con Ilco, industria lavorazione carni ovine. Camilli è tornato alle origini, un Galliani di provincia, dopo le stagioni al Grosseto: “Camilli ha un record – illustra Galliani – perché ha licenziato due volte un certo Massimiliano Allegri”. E Galliani vorrebbe aggiungere: Max l’ho scoperto io e al Milan è diventato campione d’Italia. L’arbitro Nicola Ayroldi di Molfetta ordina cinque minuti di recupero. Bernabeu vacilla. Arcore freme. Paolo B. è immobile. Galliani prega i suoi santi ubicati in quel di Arcore. Al 93’, il bulgaro Živko Atanasov, forse un emissario comunista, segna l’1-0 che vale la Coppa per la Viterbese. Galliani se ne va, l’amuleto Gigi Marzullo non ha funzionato. Ora chi se la fa una domanda e chi se la dà una risposta?