il Giornale, 9 maggio 2019
Anche l’Asia scopre l’alcol
Anche gli stereotipi cederanno il passo alla realtà dei fatti. La birra a fiumi nei pub inglesi e tedeschi, il vino sulle tavole delle osterie italiane e dei bistrot francesi, la vodka prima dei pasti in Russia. Usi, e abusi, che resistono. Ma che nell’immaginario comune saranno affiancati da altre scene, in arrivo soprattutto dall’Asia. Il consumo di alcol sta crescendo a livello mondiale: +10% tra il 1990 e il 2017 e un ulteriore + 17% previsto di qui al 2030. Ma a trainarlo non sono i Paesi in cui tradizionalmente si sono sempre consumati più alcolici. Al contrario: ad alzare le statistiche sono la Cina e l’India, i Paesi più popolosi del globo, in cui dagli anni Novanta a oggi si è registrata un’impennata nei consumi delle bevande alcoliche.
A dirlo è uno studio pubblicato due giorni fa sulla rivista scientifica britannica The Lancet. I ricercatori, guidati da Jakob Manthey dell’Istituto di psicologia clinica e psicoterapia di Dresda hanno monitorato le «bevute» degli adulti (dai 15 anni in su) in 189 Paesi del mondo. Ne è emerso che negli ultimi neanche vent’anni il consumo medio annuale di alcol puro pro capite è salito dai 5,8 litri del 1990 ai 6,5 litri del 2017. La previsione è che si arrivi ai 7,6 litri entro il prossimo decennio.
A crescere non è solo la quantità, ma anche il numero di bevitori: entro il 2030, secondo gli autori dello studio, metà della popolazione adulta mondiale (esattamente il 50%) berrà regolarmente vino, birra o superalcolici, contro il 45 per cento dell’inizio degli anni Novanta. Contestualmente, calano gli astemi: dal 46 al 40%.
Il motivo è da ricercare principalmente a Oriente. In Europa i consumi sono addirittura in (lieve) discesa. Dal 2010 a oggi, ad esempio, li hanno ridotti il Regno Unito (-7,4%) e la Russia (-22%, dovuto probabilmente a nuove normative più strette per contrastare gli abusi). In Cina, al contrario, c’è stata un’impennata del 70% dagli anni Novanta a oggi: i dati riferiti al 2017 parlano di 11 litri pro capite all’anno per gli uomini e 7 per le donne, perlopiù sotto forma di birra e superalcolici.
L’Italia, per fare un paragone, nel 2017 ne ha consumati in media 7,4 litri, gli Stati Uniti poco meno di 10: nel 2030 si prevede il sorpasso di Pechino su Washington. In India i numeri assoluti sono più bassi – nel 2017 ha dichiarato di aver bevuto alcolici il 40% degli uomini e il 22% delle donne – ma in proporzione il salto è significativo: Nuova Delhi ha raddoppiato i consumi in meno di trent’anni. A questi due grandi Paesi si affianca il Vietnam, che nel 2017 ha bevuto più in media 8,9 litri di alcol, contro i 4,7 del 1990: +90%.
La ragione, come spiegano i ricercatori sul The Lancet, è che l’alcol non è più appannaggio dei Paesi più ricchi. Fino alla fine degli anni Ottanta è stato così, e infatti il record ce l’aveva l’Europa, dove tuttora si riscontra il tasso più alto di persone con patologie collegate all’abuso di alcolici: ne soffre il 15% degli uomini e il 3,5% delle donne. Seguono gli Stati Uniti, i secondi grandi consumatori, rispettivamente con l’11,5 e il 5%. Il problema, spiega lo studio, è che insieme ai consumi cresceranno anche gli eccessi. Il team guidato da Manthey prevede che nel 2030 quasi un quarto della popolazione mondiale (il 23%) esagererà con l’alcol, consumando almeno quattro drink in una serata per almeno una volta al mese. Questo significa che cresceranno le patologie legate all’alcolismo che già oggi riguardano circa 280 milioni di persone al mondo.