Libero, 9 maggio 2019
Pupi Avati contro i critici
Ad agosto arriva nei cinema Il signor Diavolo, il thriller horror di Pupi Avati ambientato nel profondo Nord-Est, tratto dal libro dello stesso Avati scritto nel 2018 (edito da Guanda) e incentrato sulla storia di un ragazzo di 14 anni che ha ucciso un suo coetaneo. Maestro, per girare Il Signor Diavolo è tornato nelle paludi del Po. Perché questa scelta? «Siamo tornati negli stessi luoghi de La casa dalle finestre che ridono per ritrovare le atmosfere anni ’50 che hanno fatto da sfondo al film. Tra casolari abbandonati, il rumore dell’acqua: la paura del reale funziona. E il finale... è assolutamente imprevedibile». Vuole dire che non sarà quello del libro? «No, essendo un thriller sarebbe stato un errore. La sorpresa è proprio nel finale».
Il cast?
«Ho voluto Lino Capolicchio e Gianni Gavina insieme a giovani attori».
Perché far uscire il film ad agosto invece di tentare la via del festival di Venezia?
«Considerando che la crisi è pazzesca e che non si può più fingere il calo di spettatori, l’estate potrebbe essere una risposta positiva. Portarlo al festival? C’è una sorta di sottocultura e di snobismo sui film di genere. Solo Leone con i film di genere western è stato capace di ottenere un meritatissimo successo in tutto il mondo».
Deluso?
«No, obiettivo, anche se mi ritengo più forte oggi che nel passato. Ho sempre preferito la tenerezza alla rabbia in quei film intimistici e autobiografici dove ho recuperato ricordi e passioni». Come regista è stato coerente e alternativo. Si riconosce in questa affermazione? «Sì, infatti ho faticato molto per rimanere alternativo. Ho una discreta conoscenza delle radici della controtendenza nei rapporti».
Il Bel Paese... è volubile, spesso discriminante.
«Questo Paese è fatto ancora di persone perbene che si muovono e si esprimono in modo corretto, ma c’è anche l’incompetenza del potere che pur avendo delle responsabilità pubbliche, non ha l’intelligenza di capire quali sono i limiti su cui fermarsi. Il successo di un film viene giudicato solo dai numeri. I critici italiani hanno perso la credibilità».
Alcuni non sono neanche giornalisti...
«Giudizi senza senso. Mi chiedo: come si fa a fare un film che fa soldi? È questa la richiesta che arriva dagli addetti ai lavori. E la storia, che fine fa? Mio fratello Antonio ed io abbiamo messo a repentaglio la nostra vicenda umana, come i salmoni che risalgono da soli la corrente. È un prezzo davvero elevato».
Ha fatto 50 film e il pubblico la ama. Ora propone un film sul Diavolo: si strizzeranno dalla paura!
«(ride ndr). Il Male c’è, inutile negarlo. Sì, ho fatto 50 film, non tutti sono andati bene, ma poi sono stati rivalutati. Per imparare bisogna cadere e rialzarsi. Quello che ho cercato di mettere ne Il Signor Diavolo è la paura del reale che funziona. Quella paura che non ha tempo, non ha età, ma si vive in ogni sua sfaccettatura. Il Male è invincibile come il Bene».
Maestro, cosa è rimasto del ragazzo del bar Margherita a Bologna, del jazz e del clarinetto?
«Ho lo stesso entusiasmo forse perché vengo dall’Emilia, una terra fatta di sogni».