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 2019  maggio 09 Giovedì calendario

Dimezzate le riserve in dollari dei russi

Hanno trasformato i dollari in yuan, in euro e in oro. Con la pubblicazione del rapporto annuale della Banca centrale russa, che fotografa la composizione delle riserve in valuta e auree al 1° gennaio 2019 confrontandola con l’anno precedente, la de-dollarizzazione avviata dal Cremlino assume una dimensione precisa. E la geografia di Bank Rossii ne esce trasformata: gli attivi denominati in dollari sono più che dimezzati, passando dal 45,8% del totale al 22,7 per cento. Superati dall’euro, che ora copre assets promossi dal 21,7 al 31,7% del totale mentre la valuta cinese sale dal 2,8 al 14,2 per cento. In aumento anche le riserve auree, dal 17,2 al 18,1% del totale.
A monte di variazioni così drastiche, scelte geopolitiche non certo inaspettate. Se allontanarsi finanziariamente dagli Stati Uniti non è cosa semplice per un Paese che vende soprattutto gas e petrolio in dollari, la diversificazione del portafoglio di investimenti della Banca centrale russa, diretta da Elvira Nabiullina, è stata annunciata da tempo. Necessaria per limitare l’esposizione di Mosca – di banche come di imprese – di fronte alle sanzioni già in vigore ma soprattutto a quelle che il Congresso americano minaccia da mesi, alla ricerca di un modo per tenere gli investitori stranieri lontani da banche e debito sovrano russo: il cosiddetto “bill from hell”, scenario infernale per il Cremlino. La Banca centrale, aveva detto Nabiullina già nell’agosto scorso, «è in cerca di beni sicuri e diversificati». Per questo «tiene conto dei rischi finanziari, economici e geopolitici» nelle proprie decisioni di investimento.
Se la prospettiva di nuove restrizioni americane non si è ancora materializzata, il quadro che emerge dal resoconto pubblicato ieri dà la misura di quanto siano cambiati gli equilibri tra le valute nell’era delle sanzioni; mentre il governo e le banche russe sono impegnati a studiare meccanismi per adeguare operazioni commerciali e finanziarie alla nuova realtà.
La nuova distribuzione degli assets per Paese, sempre rispetto al 1° gennaio 2018 e tenendo conto che i rispettivi titoli di Stato ne costituiscono la voce più importante, indica un crollo di quelli americani, ridotti dal 29,9% al 9,7% del totale; la Cina sale dal 2,6 al 14,1%. I Paesi europei su cui soprattutto investe la Banca centrale russa, vincolata al rispetto di una soglia minima di rating (entro cui non rientrano i BTp italiani) sono Francia, Germania, Finlandia e Regno Unito, accanto a Giappone e Canada. Non tutti gli economisti – fa notare il sito di informazione The Bell – condividono la svolta verso Pechino, sottolineando un’eccessiva politicizzazione delle riserve là dove la quota dello yuan non corrisponde né alla struttura del mercato valutario del Paese, né al peso dei relativi scambi commerciali.
Nel loro complesso, a fine marzo le riserve russe sono tornate a superare i livelli appena precedenti l’inizio della crisi ucraina: 487,7 miliardi di dollari (397,7 in valuta e 90 in oro). Nel corso dell’ultimo anno sono cresciute di 36,1 miliardi e continuano ad aumentare: il dato relativo al 3 maggio è 491,8 miliardi. Di dollari.