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 2019  maggio 09 Giovedì calendario

Sui pesci d’acqua dolce

Andrea Soardi vive da sempre su un’isola e diventare pescatore per lui è stata un’evoluzione naturale. Un pescatore d’acqua dolce perché l’isola in questione, nel suo genere la più grande d’Italia, sorge in mezzo a un lago, il Lago d’Iseo. Il suo pesce di punta, conosciuto localmente come «sardina», in realtà non ha nulla a che vedere con l’omonima specie marina. «È un agone – spiega Soardi – ma so che a Genova dovrò spiegarlo a tutti altrimenti penseranno al mare». Perché i pesci di lago e fiume – salvo primedonne come la trota – sono ancora poco conosciuti e spesso snobbati in cucina.
A Slow Fish, evento internazionale dedicato al pesce e alle risorse dell’acqua la cui IX edizione si apre oggi al Porto antico di Genova, con la partecipazione di pescatori da tutto il mondo e stand delle regioni italiane, si parlerà anche di loro. E verrà presentato il Manifesto della piccola pesca locale del Lago d’Iseo: un’iniziativa per tutelare e promuovere le risorse di lago e fiume che parte dal Bresciano e conta nell’adesione di altre comunità italiane.
«Nel nostro Paese – spiega Sergio Zerunian, biologo e docente di Ecologia all’Università La Sapienza sede di Latina – sono presenti 48 specie indigene di pesci d’acqua dolce, di cui 22 endemiche, cioè che esistono solo in un determinato luogo del mondo, come il carpione del Garda». Al pari dei «cugini» di mare, molti pesci sono minacciati dall’attività dell’uomo: alterazione degli habitat, inquinamento delle acque, pesca illegale o eccessiva, introduzione di specie aliene come il siluro. «E alcuni, nello specifico storione, storione ladano e lampreda di fiume, sono già considerate estinte» sottolinea Zerunian. È di pochi giorni fa l’allarme lanciato dall’Onu, che avverte che, se non invertiremo la rotta, «scompariranno un milione di animali e vegetali». Senza contare che «abbiamo già alterato tre quarti delle superfici terrestri, il 40% degli ecosistemi marini e la metà di quelli di acqua dolce».
La risposta al cambiamento climatico – secondo Slow Food – è la tutela della biodiversità: vanno in questa direzione l’Arca del Gusto, catalogo di oltre 5000 prodotti da salvare, e il progetto dei Presìdi (piccole produzioni tradizionali che rischiano di scomparire), avviato con contadini, pastori, pescatori. Tra questi, ci sono il missoltino del Lago di Como e la sardina del Lago di Iseo.
«È un prodotto di nicchia che peschiamo e lavoriamo in modo artigianale. Sul nostro lago le licenze di pesca sono 34 – spiega Soardi -. Questo lavoro è fatto di fatica e passione, non ti arricchisci certo. C’è però chi non lo capisce e sfrutta troppo le risorse, per poi abbandonare. Noi pensiamo che si debba pescare meno e valorizzare di più il prodotto, altrimenti un giorno pescheremo solo alghe. I cuochi locali ci stanno aiutando e vorremmo che anche i consumatori capissero che se costa un po’ di più un motivo c’è».
Il Manifesto della condotta Ofli (Oglio – Franciacorta – Lago d’Iseo) punta a coinvolgere istituzioni e operatori di turismo, artigianato e ristorazione «per promuovere – auspica Soardi – il pescato d’acqua dolce al pari di quello di mare». Che, ovviamente, è un prodotto ben diverso.
«Innanzitutto la varietà – sottolinea Maurizio Serva, chef del ristorante due stelle Michelin La Trota di Rivodutri (Rieti) -. Le proposte di mare sono infinite, quelle d’acqua dolce, nel nostro caso, si limitano a 7-8 specie». Nonostante questo, oltre 20 anni fa Serva ha deciso, insieme al fratello chef Sandro, di proporre solo piatti con pesce di fiume o lago. «Negli Anni 90 – ricorda – quando la gente leggeva la carta e non trovava tonno o seppie scappava. Oggi si inizia a capire che esiste un pesce d’acqua dolce, e che è buono». Ma è stato un lavoro duro. «Quando ci hanno dato la seconda stella Michelin nella spiegazione si diceva “lavoro controcorrente, scommessa vinta”». Vinta anche sfatando alcuni l
uoghi comuni. «Tra i più duri a morire – continua lo chef – quello che il pesce d’acqua dolce sia grasso. Falsissimo. L’unico grasso è l’anguilla. Per il resto la media dei pesci di lago o fiume è più leggera di un branzino o un’orata».
I pesci che Serva propone vengono dal fiume Santa Susanna, dal lago Campotosto e da altri specchi d’acqua reatini o dall’allevamento biologico di trote di fianco al ristorante. E cucinarli, confessa, è più difficile: «Un tempo venivano fatti solo alla brace o alla griglia, oggi no. Ma non è come lavorare con il mare, non si avrà mai l’esplosione di sapori di un riccio o di un tonno. Il pesce d’acqua dolce è diverso: più sottile, dalla cottura complicata, va lavorato con aromi e marinature. Ma il risultato paga. E ci riporta indietro nel tempo. Quando, coste escluse, era il pesce più consumato in Italia. Allora il mare arrivava solo sotto forma di baccalà o sardina in barattolo. Tutto il resto era pesce d’acqua dolce. Che noi riproponiamo in chiave contemporanea».