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 2019  maggio 09 Giovedì calendario

Come lasciare la ’ndrangheta

LAMEZIA TERME (Catanzaro) «Abbandonare la propria famiglia di ‘ndrangheta per tirarsi fuori dalle logiche criminali si può. Io ci sono riuscito a 18 anni, dopo un percorso educativo intrapreso in carcere». Parla della sua scelta con orgoglio Giosuè D’Agostino, 48 anni, nato e cresciuto a Laureana di Borrello, in provincia di Reggio Calabria. Figlio di un boss ucciso nella guerra di mafia che sin dagli Anni 80 i D’Agostino-Chindamo-Lamari hanno combattuto con i Cutellè-Albanese, Giosuè all’età di 17 anni aveva già annusato l’odore di muffa delle fredde celle del carcere minorile di Reggio Calabria. Vi rimase rinchiuso per dieci mesi con l’accusa di tentato omicidio e rapina.
«Io con quei reati non c’entravo niente, mi sono ritrovato nel posto sbagliato al momento sbagliato», dice. La detenzione però l’ha salvato. «Il carcere mi ha aiutato a comprendere il senso della vita e la voglia di allontanarmi dalla mia famiglia», spiega Giosuè.
Ancora minorenne era stato «iniziato» al crimine e partecipava alle riunioni della cosca dove si prendevano decisioni anche sugli omicidi da portare a termine. «Avrei dovuto vendicare mio padre e commettere altri omicidi, perché se fai parte di una famiglia di ‘ndrangheta in guerra con altre cosche non puoi stare in disparte, ogni appartenente al clan ha come obiettivo – spiega – quello di sterminare il nemico».
In carcere il giovane Giosuè incontra don Italo Calabrò, il sacerdote che 50 anni fa fondò l’associazione Agape – oggi presieduta da Mario Nasone – impegnata ad aiutare i ragazzi esposti al rischio di essere risucchiati dalla mafia. Il percorso rieducativo del giovane rampollo dei D’Agostino iniziò da quell’incontro, seguito da tanti altri. Sino a quando Giosuè non fu pronto per affrontare la scelta.
«Le parole di don Italo hanno svincolato la mia mente dalle tendenze criminali cui per forza di cose – dice – mi ero attaccato». Uscito dal carcere Giosuè si trasferì per un breve periodo a Torino, da uno zio. Al suo rientro a Reggio Calabria la madre lo accolse con questa frase: «O stai cu prèviti, o stai cu nui». O stai con i preti o stai con la tua famiglia. Giosuè non ebbe nessun dubbio: lasciò la famiglia e si trasferì ad Alba.
Trovò un lavoro e una compagna che gli ha dato due figli che oggi hanno 13 e 15 anni. Non interruppe, però, i rapporti con i congiunti. La sua opera di mediazione per allontanare e convincere madre, sorella e cognato a cambiare vita e seguirlo nelle Langhe continuò incessantemente. Anni dopo riuscì nel miracolo. Oggi Giosuè D’Agostino è un affermato imprenditore nel settore agricolo. La sua azienda produce nocciole che vende a una multinazionale del settore dolciario. Giosuè ha raccontato la sua storia nella tappa compiuta a Lamezia Terme da Buone Notizie, l’impresa del bene in viaggio. La Calabria continua a restare nel suo cuore. Spesso ritorna e incontra studenti e figli di ‘ndranghetisti per raccontare la sua esperienza. Lo fa a fianco del presidente del Tribunale dei minori di Reggio Calabria, Roberto Di Bella che da 10 anni tutela i ragazzi che crescono in contesti mafiosi offrendo loro un percorso alternativo, nell’ambito del progetto «Liberi tutti».