La Stampa, 8 maggio 2019
L’uomo su Marte nel 2030
Robert Zubrin socchiude gli occhi e pronuncia d’un fiato la cifra che considera decisiva: 300 mila dollari. «Sarà questo il prezzo del viaggio, di sola andata, per Marte». E, mentre sta evocando lo scenario di un futuro prossimo, si mette a raccontare le migrazioni del XVII secolo, tirando i fili dell’immaginazione tra epoche solo in apparenza inconciliabili. «Anche allora si spendeva l’equivalente di 300 mila dollari per un viaggio oceanico diretto in America. C’era chi vendeva la casa o la terra. E chi non poteva si impegnava a lavorare a contratto per almeno sette anni».
Marte sta per diventare la Nuova Frontiera, come l’America dei coloni di quattro secoli fa, e Zubrin, ingegnere aerospaziale, è il suo profeta riconosciuto, prima che la Nasa ed Elon Musk rendessero il Pianeta Rosso un luogo di esplorazione e un oggetto di desiderio. Visionario creatore della «Mars Society», l’organizzazione privata «made in Usa» con sedi e soci in tante nazioni, è arrivato in Italia per un tour che da Torino lo porterà a Milano, Bologna, Roma e Napoli. «Siamo destinati a diventare una specie multiplanetaria - mi spiega in una lunga conversazione prima della lezione al Politecnico di Torino -. E Marte sarà la prima meta. Tra tante».
Che stia parlando della colonizzazione del suo pianeta-ossessione, del ritorno sulla Luna, dello sfruttamento delle orbite basse o, ancora, dei super-viaggi terrestri, da un continente all’altro a bordo di aerei-razzo, Zubrin intreccia continuamente l’impalpabilità del sogno con la concretezza. A ogni idea corrispondono costi precisi e ogni progetto diventa credibile perché innervato dall’implacabilità dei calcoli e dei risultati. «La nuova corsa spaziale è in pieno svolgimento», ammicca. E spiega come il boom di 90 società aerospaziali, tra Usa, Europa, Cina e India, sia la prova che il business è decollato. A conferma della bontà del modello - ed effetto numero uno - i prezzi delle avventure verso le stelle si stanno riducendo rapidamente. «L’anno scorso sono stati lanciati un centinaio di satelliti e, con la continua discesa dei costi, non mi stupirei se si arriverà presto a 200-300». Intanto - aggiunge - «con SpaceX di Musk la riduzione è già pari a un fattore 5». Un successo impensabile fino a poco tempo fa, se si pensa che ogni lancio dello space shuttle richiedeva la bellezza di un miliardo di dollari. «E, invece dei 40 previsti all’anno, non si sono mai superati gli otto».
Anche i tempi di progettazione e costruzione, d’altra parte, si sono straordinariamente accorciati. La famiglia dei razzi riutilizzabili «Falcon» - «ormai iconici, per la capacità di decollare e tornare nello stesso punto di partenza, come nei film» - ha debuttato nel 2012 e, appena sette anni dopo, ha portato nello spazio le capsule «Dragon» e testato la versione che ospiterà un equipaggio. Merito - sottolinea Zubrin - di Musk e dell’abilità nel trasformare obiettivi considerati impensabili in progetti ad altissima efficienza. Efficienza che invece - sottolinea - non si può attribuire alla sfortunata capsula «Orion» della Nasa: «È stata affidata nel 1988 alla Boeing e non è ancora pronta!».
«Musk ha cambiato le regole e continuerà a farlo con la gigantesca astronave “Starship” per portare l’uomo su Marte, mentre la Nasa vuole tornare sulla Luna nel 2024, ma ci riuscirà?». Zubrin socchiude di nuovo gli occhi e scuote la testa. «Non ci credo. I continui ritardi sono le conseguenze delle menti burocratiche che consigliano la Casa Bianca». E un’ulteriore conferma della condizione di «impasse» è - dice - «il recente “report” della Nasa che definisce irrealistico l’obiettivo di sbarcare su Marte negli Anni 30 del 2000. Eppure potrebbe succedere, se l’Agenzia si decidesse ad abbracciare la rivoluzione spaziale in corso, invece di restare legata alla sua eredità monopolistica».
Rituffandosi subito nella concretezza dei programmi, Zubrin definisce «assurda» l’idea della Nasa di realizzare una stazione intorno alla Luna e utilizzarla come base per la storica spedizione. «Meglio un lancio diretto. Le tecnologie già esistono e le ho analizzate in dettaglio nel piano “Mars direct”. Lo possiamo implementare entro il 2030. L’unica condizione è essere disposti a staccare gli assegni». Esibisce il suo nuovo saggio, «The Case for Space», che segue il long-seller «The Case for Mars», e lo sfoglia come se fosse un manuale di volo o il libretto di istruzioni per l’odissea che dovrà oscurare il record lunare del 1969. «Lo spazio è un oceano ed è davanti a noi, ora che usciamo dall’Età Oscura ed entriamo finalmente nel Rinascimento delle stelle».