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 2019  maggio 08 Mercoledì calendario

Se ci casca un asteroide in testa

Numerosi esperti si sono incontrati negli Usa per esercitarsi a fronteggiare un eventuale impatto Una soluzione, sostengono, è quella di colpirli per fargli cambiare velocità Anche l’Europa dà il suo contributo: un “occhio” italiano vigilerà dal monte Mufara in Sicilia di I l frammento dell’asteroide punta dritto su New York, cadrà su Central Park a mezzanotte del 29 aprile 2027 liberando energia pari a qualche centinaio di bombe di Hiroshima. Dell’Empire State Building, la Freedom Tower e gli altri grattacieli di Manhattan non rimarranno che macerie. A scrivere la sceneggiatura di questa fiction è stato Paul Chodas, del Jet Propulsion Laboratory in California. Il suo lavoro è studiare le traiettorie degli asteroidi veri. E inventarsene di verosimili, per mettere alla prova esperti, scienziati e agenzie spaziali, che devono rispondere a un’ipotetica minaccia alla vita sul nostro Pianeta. Ogni due anni, gli esperti di tutto il mondo si incontrano alla Planetary Defense Conference, quest’anno ospitata in Maryland ( Usa), per esercitarsi sugli scenari ideati da Chodas e discutere le soluzioni più efficaci a qualcosa che, prima o poi, dovrà accadere: «All’epoca delle missioni spaziali ci si è resi conto che quelli sulla Luna non erano vulcani spenti ma crateri da impatto – spiega Giovanni Valsecchi, ricercatore Inaf in pensione e membro dello Steering committee dell’International asteroid warning network ( Iawn) – e quindi sarebbe potuto succedere anche sulla Terra. Dopo la meteora esplosa su ?eljabinsk, in Russia nel 2013, la cui onda d’urto fece esplodere le finestre causando oltre mille feriti, anche il grande pubblico ha capito che bisognava dare retta agli scienziati». Insomma, non è solo roba da film apocalittici. Un asteroide causò l’estinzione dei dinosauri e del 75 per cento delle specie viventi, 66 milioni di anni fa. La” sliding door” si aprì per i mammiferi e infine per l’uomo. Oggi per la prima volta una specie (la nostra) ha la coscienza e la capacità di difendersi da una minaccia che viene dallo spazio. Telescopi e radiotelescopi di tutto il Pianeta scansionano il traffico nel cielo attorno a noi ogni giorno e inviano dati al Minor planet center, finanziato dalla Nasa: «Lì vengono validati e sono a disposizione dei centri che calcolano la probabilità di un impatto – continua Valsecchi – il primo a farlo sistematicamente è stato il NeoDyS di Pisa, nel 1999. Poi seguì il Cneos della Nasa nel 2002». Ormai è materia di interesse planetario, nel 2013 l’Onu ha istituito lo Iawn, per coordinare il monitoraggio e il sistema di allerta a livello globale. E lo Space Mission Planning Advisory Group ( Smpag), che raccoglie le principali agenzie spaziali, il board che decide come agire. Quest’anno erano riuniti per affrontare la minaccia del” finto asteroide” 2019 PDC, da 140 a 200 metri di diametro, previsto in caduta sulla zona di Denver nel 2027. Otto anni compressi nei cinque giorni della conferenza in Maryland, scanditi dai comunicati stampa e dalle simulazioni. Le opzioni sul tavolo escludono una soluzione hollywoodiana: sbriciolarlo come fece Bruce Willis in Armageddon non farebbe che moltiplicare il problema: «Ci sono tecnologie che possiamo controllare bene già ora, come un impattatore cinetico – prosegue Valsecchi – cioè colpire l’asteroide per fargli cambiare velocità». Così da evitare il rendez– vous con la Terra. Tra due anni dovrebbe prendere il via un ( vero) esperimento spaziale: una sonda” proiettile” della Nasa colpirà un piccolo asteroide, seguita da un “cubesat” dell’Asi. La sonda dell’Esa Hera misurerà l’efficacia dell’impatto. Nel 2017, la Planetary Defense Conference si tenne in Giappone. Durante la simulazione si prese in considerazione anche l’opzione nucleare: «Serviva il massimo di energia perché un frammento minacciava di distruggere Tokyo. Nonostante questo, il gruppo dei giapponesi al convegno si oppose. Per loro, unica nazione a essere stata bombardata con una atomica, è comprensibilmente un tabù e ci ha ricordato come nell’affrontare questo tipo di emergenze non ci si possa limitare ai soli fattori tecnici», ricorda Ettore Perozzi, dell’Ufficio Sorveglianza spaziale dell’Asi. Ma la” planetary defense” è soprattutto prevenzione: scovare i cosiddetti” oggetti potenzialmente pericolosi”, grandi più di 140 metri, che verranno a trovarsi nei dintorni della Terra. Non solo asteroidi in grado di scatenare un’apocalisse planetaria: «Quelli pensiamo di averli scoperti quasi tutti – sottolinea Valsecchi – ma della classe tra i 150 e i 200 metri che potrebbero causare un danno regionale robusto, ne conosciamo solo un terzo». Ogni anno si individuano centinaia di nuovi asteroidi. A volte però qualcosa sfugge, come la meteora di ?eljabinsk, sbucata dal nulla: «Ne restano da scoprire ancora moltissimi – riflette Perozzi – soprattutto quelli difficili da osservare perché, arrivando dalla zona interna tra noi e il Sole, come in quel caso, non li vediamo, così come non vediamo le stelle di giorno. Servirebbe un telescopio spaziale per questo. Tra poco anche l’Europa darà un contributo significativo con il telescopio” Fly- Eye”, che sarà installato sul monte Mufara, in Sicilia». Secondo Valsecchi un evento come quello di ?eljabinsk «potrebbe ricapitare un’altra volta in questo secolo». Nel 2082, un piccolo asteroide ( 2019 SD1) passerà molto vicino alla Terra. Se l’impatto, in futuro, dovesse rivelarsi probabile, lo sapremmo subito: «I dati sono resi pubblici online praticamente in tempo reale – puntualizza Valsecchi – per difenderci dai complottisti». È il 19 aprile 2027, dieci giorni alla catastrofe. I sei impattatori cinetici lanciati dalle agenzie spaziali hanno fatto centro ma un pezzo ha continuato la sua rotta, cadrà su New York. L’ultima soluzione è lasciare che esploda su una zona evacuata: «Le simulazioni servono anche a questo – conclude Perozzi – parliamo di eventi molto poco probabili ma che vanno inseriti nella lista di rischi naturali, si tratta di cultura della protezione civile. Per i terremoti sappiamo fin da piccoli cosa bisogna fare. Nel caso di ?eljabinsk, se tutti avessero saputo che quando si avvista una striscia così luminosa nel cielo bisogna allontanarsi dalle finestre, perché potrebbe generarsi un’onda d’urto capace di farle esplodere, non avremmo avuto tutti quei feriti. Senza creare allarmismi, ma senza nemmeno sottostimare i rischi, per non farci trovare impreparati».