7 maggio 2019
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Biografia di Vincenzo De Luca
Vincenzo De Luca, nato a Ruvo Del Monte (Potenza) l’8 maggio 1949 (70 anni). Politico (Pd; già Ds, Pds, Pci). Presidente della Regione Campania (dal 18 giugno 2015). Già sindaco di Salerno (1993; 1993-2001; 2006-2015), viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (2013-2014), deputato (2001-2008). «Io devo difendere la mia immagine di carogna» • «Le sue radici sono al di là dell’Irpinia, nella provincia di Potenza, nella parte di Basilicata che ha sempre guardato verso il Tirreno e la capitale del Regno delle due Sicilie: a Ruvo del Monte, mille abitanti e poco più, seicentotrenta metri sul livello del mare, fresco in estate, un freddo cane in inverno. È dunque un lucano, […] che è sceso da bambino verso la piana con addosso la corazza con cui nascono gli uomini dei contrafforti» (Lanfranco Pace). «L’uomo che non deve chiedere mai […] ha origini che si perdono nella vita di partito. Quando leggeva Kant e non Hegel, quando si vestiva da proletario, sempre con lo stesso maglione grigio o marrone, e non in giacca e cravatta come oggi, e quando il manganello, che trent’anni dopo avrebbe dato in dotazione ai vigili urbani, lo provava sulla sua pelle. Era il 1978, e il futuro sindaco, che all’epoca gli operai chiamavano il “professore”, fu manganellato e arrestato dalla polizia durante l’occupazione con i contadini a Persano delle terre del demanio militare. A quegli anni appartengono anche altri episodi rivelatori di quello che sarebbe poi stato il De Luca decisionista e autoritario. “Quando lottavamo al fianco delle Mcm contro le partecipazioni statali – ricorda Franco Siani, che fu con lui in Alleanza contadina prima e al Pci poi –, Enzo arrivò ad occupare per una notte intera la sede dell’Eni all’Eur. Un’altra volta nel Vallo di Diano a difesa degli allevatori locali bloccammo le cisterne che portavano il latte, e mentre decidevamo il da farsi lui arrivò, aprì i rubinetti e gettò tutto il latte a terra urlando: ‘Il popolo ha già deciso’”. Anni di impegno politico, che coincisero con la decisione di lasciare gli studi di Medicina, appena intrapresi dopo il diploma di maturità classica conseguito al glorioso liceo Tasso, per la gioia del padre, salumiere, e della madre casalinga, e di iscriversi a Filosofia, dove si sarebbe laureato» (Gabriele Bojano). «Tutta la sua carriera è un caso da manuale, la dimostrazione di quanto la realtà possa incidere nella trasformazione del pensiero e dell’azione politica. Nel Pci fu entusiasticamente ingraiano, stessa corrente di Antonio Bassolino, entrambi avversari del migliorismo di Amendola e Napolitano. Entrambi all’epoca hanno venature estremiste e ubbie movimentiste: pensano che la buona amministrazione e il buon governo siano banalmente sovrastrutturali e servano ad aiutare il capitalismo a risolvere le proprie contraddizioni, mentre solo la trasformazione sociale e la costruzione della nuova società sarebbero degni oggetti della politica» (Pace). «Metà degli anni ’70. Sezione “Di Vittorio” del Pci, a Salerno. Tra gli iscritti, due giovani emergenti: Antonio Bassolino e Vincenzo De Luca. Promettono bene, ma non legano. Caratteri troppo diversi: uno introverso, diffidente, di umili origini e con poco tempo per coltivare hobby. […] L’altro estroverso, narciso, laureato in Filosofia, due passioni: Bacone e la chitarra (sarebbe memorabile la sua interpretazione di Bandiera rossa). E quando l’allora segretario, Franco Fichera, va via, scoppia la crisi. De Luca aspira a sostituirlo, ma Bassolino gli preferisce un uomo a lui vicino, Paolo Nicchia. E la faida, per alcuni, prende inizio quel giorno. Cominciano vent’anni di polemiche a distanza tra Bulldozer – Pol Pot per gli avversari – e ’o Sindaco, […] ’o Governatore» (Angela Frenda). «Nel 1975 De Luca viene nominato segretario della federazione provinciale del Pci, carica che ricopre per dieci anni sempre con un obiettivo in testa: essere “meglio” di Gaetano Di Marino, l’intellettuale della federazione. All’epoca il tesoriere di partito è Raffaele Annunziata, il papà della futura giornalista Lucia. […] E sui muri della sede di via Manzo c’è un manifesto premonitore: “O Pci o camorra”. “Enzo è sempre stato autoritario – racconta Salvatore Forte, all’epoca vicesegretario –. La sua intelligenza l’ha messa a disposizione del suo arrivismo”» (Bojano). «Duro, rigoroso, scontroso al limite dell’aggressività. Oggi si definisce “gobettiano liberale”, ma il Vincenzo De Luca segretario della federazione salernitana del Partito comunista italiano non ha mai conosciuto mediazioni o toni concilianti. Per i militanti a lui fedeli era “il professore”. Per i suoi avversari, invece, era “Pol Pot”. Proprio da segretario costruisce la sua fortuna politica. Per chi ha seguito e poi contestato il ventennio del “professore”, l’ascesa al comune e alla scena politica nazionale è iniziata da un colpo di fortuna. Nel 1992 De Luca è vicesindaco della giunta Vincenzo Giordano, sindaco arrestato (e poi prosciolto) durante la tempesta di Tangentopoli. Fino a fine consiliatura De Luca prende le redini dell’amministrazione proponendosi come il nuovo che avanza. Un anno dopo, alle prime elezioni dirette del sindaco, vince con una lista civica, ma non è un plebiscito. Al primo turno va al ballottaggio con il 27 per cento dei consensi e poi viene eletto di misura: da questo momento costruisce il suo potere e il suo consenso bulgaro. A emergere è un primo aspetto: il decisionismo. Vincenzo De Luca dimostra di essere insofferente alle procedure formali e alla burocrazia. In poco meno di 48 ore, attraverso un’ordinanza sindacale, abbatte il vecchio cementificio sul lungomare cittadino, approfittando della caduta di alcuni calcinacci. Il suo interventismo decisionista affascina i salernitani, che rispondono con un sostegno larghissimo verso il loro sindaco-sceriffo. Questo atteggiamento è arricchito da tanti aneddoti. Alcune uscite anti-rom, come una famosa dichiarazione: “A Salerno gli zingari li prendiamo a calci, e il cielo stellato ce lo godiamo noi”. E poi ci sono i manganelli ai vigili urbani, i blitz in strada contro gli ambulanti e gli immigrati e ancora le telefonate agli impiegati comunali in piena notte, costretti ad aprire il palazzo comunale per una firma su una delibera o un’ordinanza. Ma gli anni Novanta sono, soprattutto, quelli dell’estensione del potere in maniera capillare. I suoi fedelissimi entrano nella stanze delle società partecipate, consulenze milionarie che determinano l’intervento della Corte dei conti. De Luca si muove con gli stessi meccanismi che portano all’apice del potere campano il suo acerrimo nemico: Antonio Bassolino. Uno di fronte all’altro, strenui avversari» (Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino). «In un territorio complicato, fatto di vicinanze, contiguità, interessi illeciti, occulti, intrecci criminali, non serve a nulla alzare le mani pulite al cielo, bisogna al contrario sporcarsele con abilità: camminare sulla corda tesa senza cadere è un’arte. I metodi del sindaco fanno discutere. Rifondazione comunista lancia le solite accuse di voto di scambio, massima ipocrisia della politica odierna, lui fa spallucce, se qualcuno ha le prove le tiri fuori. E, sennò, valle a trovare nella zona grigia. […] Delle cose minime e scivolose ovviamente il sindaco non si cura: pensa a riqualificare il centro storico, governa la città con competenza e lungimiranza, costruendo le premesse per una rinascita durevole. […] De Luca […] ha capito che non si può amministrare e al tempo stesso fare teoria politica, governare e coltivare i residui ideologici della sinistra, che la città e la grande politica nazionale sono come acqua e olio, non si fondono, l’una cosa va tenuta separata dall’altra, e che un sindaco deve scegliere: legarsi in maniera quasi morbosa a coloro che amministra o iscriversi ai circoli illuminati e glamour di coloro che chiacchierano» (Pace). «Corpulento, tostissimo, determinato come lo è chi vuole conquistare qualcosa, De Luca riuscì a costruire, con le sue […] giunte, un mix che piacque ai salernitani: era il sindaco di sinistra che prendeva le decisioni senza esitazioni, che seduceva anche la borghesia cittadina moderata con il suo carattere maschio e i suoi modi spicci, il diessino che riusciva ad essere il più applaudito in un congresso di An, quello che andava dietro alle ruspe ad incitare i demolitori quando i cittadini resistevano agli sgomberi. Un decisionismo che suscitava ironie o odi, ma anche rispetto: l’avvocato Filippo Falvella (fratello del giovane missino assassinato nel 1972), irregolare carismatico della destra salentina, ex consigliere Msi e suo grande rivale, coniò per lui un nomignolo ironico che gli rimase attaccato: “È un fascista in camicia rossa”» (Luca Telese). «L’antipolitica nasce con lui. Giunto alla poltrona di sindaco di Salerno, amministra attraverso un colloquio televisivo con i cittadini. Parla, accusa, decide, incita, oltraggia o ingiuria via etere. Cafone diviene la parola clou del vocabolario. Cafone è colui che imbratta e colui che contesta. Cafone è il diverso, cafone è chi non rispetta le regole e cafoni – o figli delle chiancarelle (figli di puttana, cioè) – coloro che invece esigono il rispetto delle regole. In una città abituata all’anarchia dei comportamenti, alla radice clientelare della propria carriera, la proposta di De Luca di scambiare quel po’ di democrazia che rimane con più efficienza pubblica è accolta immediatamente con grida di giubilo» (Antonello Caporale). «Nei quartieri degradati (che risana) lo iniziano ad amare come una star. E sono percentuali bulgare. Finché deve mollare Salerno dopo il doppio mandato. Lui deputato e Mario De Biase, il suo capo staff, incoronato come successore. Una campagna elettorale che è una passeggiata. La fanno addirittura in coppia, con lo stesso manifesto: “Insieme continuiamo”. Ma stare lontano, a Roma, per De Luca è un tormento. Essere sindaco è una specie di droga da cui ormai è dipendente. E, meticoloso, deve essere lui a occuparsi di tutto. Sempre in prima persona: è fatto così. E da deputato, in quella legislatura, continua a occuparsi di Salerno sempre in tv, dove in trasmissione s’inventa difensore civico della sua città a Roma. […] Nel 2006 (aprile) fa credere a tutti di voler rimanere a Roma: eletto deputato, due mesi dopo, l’11 e 12 giugno, corre di nuovo sindaco contro il volere della maggioranza Ds. È un capolavoro: ha calcolato che l’incompatibilità per il doppio incarico c’è solo se da sindaco vai in Parlamento, e non il contrario. E il fido De Biase rimane senza lavoro: glielo offre il nemico Bassolino» (Adolfo Pappalardo). «Nel 2006 […] vince al ballottaggio contro mezzo mondo: destra, Margherita, parti consistenti dei Ds. E nel 2011 si avvia al quarto mandato col 74,4 per cento. Nelle classifiche dei sindaci più amati è sempre ai primi posti. Legambiente premia Salerno per la più alta qualità ambientale del meridione. È la città con la massima percentuale di raccolta differenziata in Italia (74 per cento) proprio nei giorni in cui la Napoli di Bassolino è la discarica urbana le cui foto girano il mondo. Da noi, si vanta De Luca, non ci sono carte per terra. E nemmeno bivacchi di immigrati né venditori abusivi: problema (quasi) risolto con l’allestimento di un mercato etnico. Di sicurezza parla così: “Io smonto i campi dei rom, e me ne frego di dove quella gente va a finire”. Se ci sono presìdi contro le discariche, la soluzione è questa: “Vanno aperte anche con i carrarmati, è chiaro!?”. Intanto a Salerno arrivano a progettare palazzi e stazioni gli architetti superstar: Santiago Calatrava, David Chipperfield, Zaha Hadid, Massimiliano Fuksas, Jean Nouvel» (Mattia Feltri). «Nel frattempo De Luca diventa il nemico numero uno di Bassolino, ma il partito nazionale non gli fa la guerra. Serve qualcuno che sia un contraltare allo strapotere dell’allora governatore, e servono i voti salernitani per i congressi nazionali: prima per Fassino, poi per Bersani, facendo accrescere il suo peso specifico da leader» (Pappalardo). Ottenuta dal centrosinistra la candidatura alla successione a Bassolino alla guida della Regione Campania, nel 2010 De Luca fu nettamente sconfitto dal candidato del centrodestra Stefano Caldoro (forte del 54,27% dei voti, contro il 43,03% dell’avversario), acconciandosi quindi a una nuova, trionfale rielezione alle comunali di Salerno nel 2011, espugnate al primo turno col 74,42% dei consensi. Non essendosi comunque rassegnato a circoscrivere localmente le proprie ambizioni politiche, nel maggio 2013 riuscì a entrare nell’appena costituito governo Letta in veste di viceministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, rifiutando però categoricamente di abbandonare la carica di sindaco di Salerno: per tale ragione, a causa dell’incompatibilità delle due funzioni, non ebbe dal presidente del Consiglio alcuna delega, e nel febbraio 2015, a conclusione di un complesso iter giudiziario, fu dichiarato definitivamente decaduto dalla carica di sindaco di Salerno. Nel frattempo, però, il governo Letta era da tempo caduto, e a capo dell’esecutivo era giunto Matteo Renzi, «che all’inizio De Luca non ama. S’incontrano, parlano, ma non scatta l’idillio tra i due allora sindaci. Poi […] Enzo capisce come il vento sia cambiato nel partito: serve aria nuova e vira sul rottamatore. Tutto pur di mettersi in tasca la rivincita contro Caldoro. Per levarsi la macchia di dosso di una sconfitta e non perdersi l’ultima grande chance politica a 66 anni» (Pappalardo). Maturò così la nuova candidatura di De Luca alle elezioni regionali campane del maggio 2015, strenuamente avversata da esponenti del suo stesso partito per via delle sue numerose pendenze giudiziarie. «Quando la commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi lo include nella lista dei candidati impresentabili a poche ore dal voto delle ultime regionali, cosa che per molti sarebbe stata una mazzata letale, lui non si lascia travolgere. […] Regge il colpo, si batte. Vince. Nelle urne. Vince nelle aule di tribunale. Riesce pure ad aggirare la legge Severino, che sospende dalla carica chi è stato eletto con condanne o procedimenti in corso. Presenta ricorso al Tribunale di Napoli, che sospende la sospensiva e chiede lumi alla Corte costituzionale per capire se la legge vìola il principio fondamentale della non retroattività. La risposta della Consulta è arrivata […] fuori tempo massimo, dopo la sentenza d’Appello di piena assoluzione perché il fatto non sussiste. […] Governa la regione. Ha portato con sé gli uomini chiave di Salerno, il fedelissimo Fulvio Bonavitacola, Carmelo Mastrursi detto Nello, l’uomo che nelle retrovie fa il lavoro sporco, per esempio sferrare un calcio a un giornalista petulante. E applica gli stessi metodi: giunta ristrettissima, cinque donne e due uomini, le deleghe importanti le conserva per sé» (Pace). Da ultimo, «Vincenzo De Luca […] ha appoggiato Maurizio Martina alle primarie Pd, ma ha poi inviato un messaggio di congratulazioni al neo-eletto Zingaretti, con cui concorda sulla necessità di un’offensiva contro il governo, ma mette in guardia che vi devono essere paletti identitari, cioè non tutti possono salire sul carro del nuovo corso piddino» (Carlo Valentini) • «Non è solo per il suo particolare modo di esercitare il potere, per il disprezzo evidente che nutre per ipocriti, mosci e mammole o per personale vanità che De Luca ha vissuto come in una trance eroica, a petto in fuori, il lungo braccio di ferro che l’ha opposto al circo mediatico-giudiziario. Un susseguirsi di indagini a suo carico per fatti risalenti anche a dieci anni prima. […] La sfilza dei procedimenti a carico di De Luca è consultabile in rete, c’è persino una tavola sinottica che dovrebbe facilitare la lettura e dice invece quanto sia difficile governare una città, salvare posti di lavoro, trovarne di nuovi per i disoccupati, fare importanti opere pubbliche, persino nominare una nuova figura di tecnico, senza violare qualcosa, senza incorrere in reati piccoli e meno piccoli e nelle relative sanzioni: è il percorso di guerra dell’amministratore locale. Della lista non resta più nulla: tra proscioglimenti e assoluzioni, è finita in una bolla di sapone» (Pace). «Io sono orgoglioso. In questo Paese siamo tutti indagati, non c’è un amministratore che non abbia avuto un avviso di garanzia. Chi non ce l’ha è una chiavica» • Divorziato dalla sociologa Rosa Zampetti, da cui ha avuto i due figli Piero (1980), avvocato, e Roberto (1983), economista, entrambi già da qualche anno avviati a propria volta alla carriera politica, il primo già a livello nazionale (dal 2018 è deputato del Pd), il secondo in ambito locale, a Salerno. «Roberto […] sarebbe destinato a raccogliere la successione al Comune. La città, che ha imparato a temere De Luca più che ad amarlo, non sembra del tutto contraria a una sorta di monarchia ereditaria, ritenendola legittima e possibile, e questo favorirebbe il disegno paterno di lasciare il potere in eredità ai figli» (Bojano). Attualmente De Luca è sentimentalmente legato alla dirigente pubblica Maria Maddalena Cantisani (classe 1970) • Tra i principali obiettivi dei suoi strali polemici odierni, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris e i dirigenti del Movimento 5 stelle. «“La verità dei numeri ci dice che l’amministrazione comunale di Napoli è il più grande disastro amministrativo d’Italia. È l’unica grande città di cui sia stato bocciato il bilancio di previsione. Non c’è un euro disponibile né per manutenzione né per investimenti. E ci sono due emergenze: ordine pubblico e immigrati”. Ma non ne ha mai parlato con De Magistris? “Non abbiamo mai interloquito su questi problemi. Ma sfatiamo la leggenda del ‘dobbiamo parlarci’. Io incontro tutti, ma decidiamo su cosa dobbiamo parlare, non ho tempo da perdere. Ognuno si deve preoccupare di sanare i suoi conti e produrre fatti e non demagogia o pulcinellismo”» (Sergio Luciano). «Non ha riguardi per nessuno. A cominciare dai 5 stelle. […] Ogni venerdì alle 15 il governatore parla da Lira Tv, una web televisione di Salerno, che è stata fondata in epoca non sospetta molto prima della sua elezione a sindaco e pare sia il fiore all’occhiello dell’informazione cittadina e regionale. Seduto impettito dietro la sua scrivania di legno chiaro, inappuntabile in vestito intero e camicia bianca, parla con l’eloquio di un vecchio preside di liceo e con gesticolazione misurata. Di fianco a lui un giornalista che non si vede mai è ripreso sempre di spalle, si presume gli ponga la domanda d’avvio e poi resta in silenzio, lasciandolo parlare per un quarto d’ora senza mai interromperlo. Così le parole gli escono dritte come gli vengono, “facevano balletti gioiosi per la strada, avevano i panierini per i picnic, ora se la prendono con i poteri forti: i poteri forti, avete capito, oh Gesù, Giuseppe e Maria”. […] Tutto il gruppo dirigente è preso di mira, hanno messo in piedi qualcosa di demenziale e lui spera vivamente che finisca presto senza produrre troppi danni. Di Maio, Di Battista e Fico, “tre mezze pippe appollaiate sui trespoli”, Luigi Di Maio il chierichetto, Roberto Fico il moscio, Di Battista il gallo cedrone. […] Insieme fanno tre falsi come Giuda, si baciano e si abbracciano in pubblico ma in privato si detestano, si odiano, stanno lì con i coltelli pronti a pugnalarsi alla schiena, “e che vi possano ammazzare tutti quanti”» (Pace). «Un altro bersaglio di De Luca nell’area della sinistra radicale è Roberto Saviano: “Si è fatto milioni di euro rovinando le nuove generazioni, che per fenomeni emulativi si mettono a parlare e si comportano come quegli imbecilli della serie tv (Gomorra). La camorra c’è, ma ci sono anche i ‘camorrologi di professione’ che debbono ingigantire il problema perché se non c’è si ritrovano disoccupati”» (Valentini) • «Punti cardine della parabola deluchiana: la sicurezza urbana (da non trascurare in nome di approcci ideologici), la sburocratizzazione (per accelerare i tempi decisionali), le critiche al Partito democratico (che tanto sulla sicurezza quanto sul lavoro non ha saputo dire nulla)» (Clemy De Maio). «Vincenzo De Luca è stato sempre sul carro dei vincitori nel partito. Dalemiano, fassiniano, veltroniano, bersaniano e […] renziano, ha sempre inviato messaggi molto chiari: a Salerno comando io. Senza ammettere critiche, nemmeno dai fedelissimi, che sono stati costretti, in qualche caso, a lasciare la città. […] Lunga è la lista delle frasi, dei modi di dire, degli aggettivi. I giornalisti definiti “pi-pì” (cioè pronti a trovare il pelo nell’uovo in qualsiasi occasione); i detrattori definiti “pulcinella” e “jettatori”, gli avversari “sfessati”, “sfrantummati” o “sciamannati”, i cittadini indisciplinati “somari”, “animali”, “cafoni”. […] “Io sono la destra europea”; “Spero di incontrare quel grandissimo sfessato e pipì di Marco Travaglio di notte, al buio”; “Io e Cosentino ci siamo incontrati tremila volte. E poi, se porta voti, che male c’è?”: sono soltanto alcune delle frasi di Vicienzo ’a funtana, soprannominato così per la mania di abbellire le piazze (soprattutto nel suo primo mandato da sindaco)» (Manzo e Pellegrino) • «Un uomo né simpatico né affabile e che ammette di non aver mai avuto amici (“È incapace costituzionalmente”, sottolinea un suo ex stretto collaboratore)» (Bojano). «Boss della Campania e magnifica carogna» (Pace). «Caudillo liberale (“sono gobettiano”, dice)» (Francesco Merlo). «Il più rilevante esponente del fascio-comunismo italiano» (Caporale). «Il personaggio è quello che è: old, rude e pragmatico come piace agli elettori di destra che in parte lo hanno votato; tutto sburocratizzazione, legge & ordine e scarso ambientalismo, come dimostra il faraonico progetto del Crescent sul lungomare della sua città» (Mario Ajello). «Ha fatto cose quasi impossibili per Salerno, è oggetto delle attenzioni cattive e banali di alcuni pm e di alcuni giornalisti ammanettati al giustizialismo de’ noantri, è un combattente senza paura e con tutte le macchie necessarie a fare buona politica in una pessima società civile, ma strafottendosene. È ’nu ddio, per un mascalzone come me. È un tipo da Cunto de li cunti. […] Ha l’aria di conoscere il territorio, di sapersi destreggiare con cuore docile e mano ferma tra bene e male, irride i miti facili (“La moralità… Enrico Berlinguer… Così moriamo. Fra gli applausi, ma moriamo”); ha fair play (“Che Dio maledica Crozza, devo dire che la sua è una performance straordinaria”); è sovranamente sarcastico e aforistico (“Casaleggio? Uno che dopo i cinquant’anni sta lì tutte le mattine a farsi la permanente è capace di ogni delitto”); liquidatorio (“Grillo? Sta con il panzone al sole nella villa di Marina di Bibbona, poi mette gli occhiali Ray-Ban a specchio e va a fare le consultazioni… Ohei… Che siamo, al teatro? Al circo equestre?”); è bipartisan (“Gasparri? È una strana mescolanza di umano e di pinguino”); è scientifico, preciso, chirurgico (“I giornalisti? Cialtroni imbecilli sfessati e pinguini”): ve l’ho detto, è ’nu ddio» (Giuliano Ferrara) • «La parola “sicurezza” il Pd non la usa, ma chi non la usa è fuori dal mondo. Chi vive sulla pelle il problema della sicurezza è la povera gente, ma siamo prigionieri di una sinistra radical-chic che parla dai salotti, mentre io – che pure vivo in una città in cui la sicurezza è stata garantita per anni – a volte incrocio realtà che mi incutono paura, pur essendo abbastanza carogna, notoriamente. Se non capisci che oggi l’esigenza di sicurezza è un bene primario, non parli più con nessuno. Dopo di che, puoi parlare di sicurezza in termini sgangherati e demagogici, ma non puoi colpevolizzare chi domanda sicurezza». La Lega in tante realtà è più partito di noi, ha più militanza e più radicamento sociale. Interpreta in larga misura le domande di un popolo che coltiva valori di buonsenso e di sacrificio. Per noi è doveroso dialogare e collaborare con queste realtà. Poi però, in alcune componenti, si registra anche un senso comune che sfiora il razzismo e l’antimeridionalismo preconcetto. Qui dobbiamo combattere, senza ideologismi (la Lega è fascista…) e senza opportunismi. Dobbiamo ribadire che il tema della sicurezza ha due facce. La difesa senza imbarazzo della serenità di vita delle nostre famiglie; ma anche il rispetto permanente per i valori di uguaglianza e di solidarietà». «Cosa le piacerebbe fare dopo la Regione? “Io conservo la mia ispirazione di tanti decenni fa, e ritengo che sia moralmente doveroso impegnarsi per far fare a una comunità un passo in avanti per mettere in condizione la povera gente di non vivere la propria vita da servo e subalterno”. Ma non ha risposto: cosa farà dopo la Regione? “Intanto andiamo avanti. Poi, l’importante è che ci sia la salute!”» (Sergio Luciano).