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 2019  maggio 06 Lunedì calendario

Sara Gama, capitana della nazionale italiana di calcio

Capitana della nazionale, due scudetti e una Coppa Italia con la Juve e un Mondiale davanti. Sara Gama sa che il calcio femminile ha bisogno di facce note per crescere ed è felice di metterci la sua. 
La partita giocata allo Stadium tra Juve e Fiorentina che cosa ha spostato?
«Se fossi in un altro club e realizzassi che la Juve con questa scelta ha riportato famiglie negli stadi, ha dato un messaggio, imiterei». 
Imiteranno?
«È già successo. La Fiorentina è stato il primo club a pensare alle donne ma la Juve ha un altro impatto mediatico e ha sollevato un’onda. Ora l’Europa ci guarda. Non esistevamo e adesso la nazionale va ai Mondiali: facciamo sul serio». 
Lei ha giocato per il Psg, in un campionato considerato. L’Italia a che punto è?
«Sulla via giusta. Oggi ci alleniamo da professioniste».
Senza esserlo.
«Esiste una delibera in federazione che ci permetterebbe di esserlo, per applicarla bisogna preparare il terreno. Siamo come una start-up, servono sgravi fiscali per non soffocare le società. Ci sono ancora dilettanti come il Tavagnacco. Comunque non è una questione femminile, i rugbisti, per dire, non sono professionisti». 
Ai Mondiali i premi sono aumentati ma su un altro pianeta rispetto agli uomini.
«Erano 15 milioni e diventano 30, raddoppiare non è male. Se poi li metti vicino agli oltre 400 dei maschi capisci che la differenza è gigantesca e va ridotta. Succederà, gli sponsor si interessano, hanno capito che siamo aria fresca». 
L’allenatrice dell’Italia, Bertolini, ha detto «le donne salveranno il calcio».
«Me lo auguro. Non abbiamo i superpoteri, ma la differenza porta crescita. Un giorno parleremo di calcio e basta, senza declinare il genere. Fino ad allora gli uomini però saranno un sostegno». 
Il calcio ha bisogno di essere salvato?
«Ha bisogno di correnti nuove che lo contaminino».
Tre cose da rubare agli uomini e tre da lasciare a loro.
«Prenderei la conoscenza, l’esperienza e il professionismo. Lascerei i presunti tifosi che fanno danni». 
Il calcio femminile espandendosi è destinato a importare anche le tossine?
«Riusciamo a schermare. Resta il fatto che se la nostra società è intollerante e istiga all’odio questo atteggiamento si riversa anche negli stadi».
Bloccare le partite con cori razzisti servirebbe?
«Sì, però rischi di essere ostaggio. Farlo una volta può essere una scelta di rottura non la soluzione al problema. Viviamo con cellulari, telecamere e droni, possiamo individuare gli agitatori. E dovremmo farlo sempre». 
Come avrebbe reagito ai buu al posto di Kean?
«La miglior risposta è sempre l’indifferenza, ma lui è tanto giovane. Non è semplice».
Si è mai trovata in quella situazione?
«No. Si concentravano più a corrermi dietro. Esiste una meritocrazia tra i bambini e i genitori, allora non si permettevano commenti»
Avere una capitana multietnica della nazionale aiuta?
«Sì, perché mostri la faccia di una società globalizzata. Siamo mescolati e gli incroci ci migliorano, più lo vedi e più ti ci abitui».
Con il calcio è stato amore a prima vista?
«Nella mia famiglia non giocava nessuno, io lo faccio da quando cammino. Mio nonno e mia mamma mi accompagnavano agli allenamenti da bambina».
E suo padre?
«È arrivato in Italia, a Trieste, dal Congo come studente di ingegneria. Ha preferito tornare indietro. Qui siamo convinti che tutti vogliano venire in Italia e occupare il nostro spazio ma non è vero».
Suo padre è in Congo?
«Sì, preferisce la vita lì».
Lei ci è mai stata?
«No, ma sono felice dei mondi che mi attraversano. La mia famiglia è metà istriana, ho sangue misto: croato, congolese e il risultato è che sono italianissima».
Sta in consiglio federale. Battaglie vinte?
«È importante che ci vedano. Fino a 7 anni fa non eravamo rappresentate. Il contratto con le tv, prima Rai e ora Sky è stato un successo».
Il calcio è maschilista?
«Lo è: era un feudo, è normale. Abbiamo le quota rosa e nessuno le ama, io neppure, ma per iniziare devi dare delle opportunità. Anche se non è solo l’innesto di donne che può rendere l’ambiente meno maschilista».
Pensa a un cambio di mentalità?
«Certo. Oggi alla Juve ci alleniamo fianco a fianco con gli under 23, loro si abituano, crescono con noi e ci danno per scontate».
L’Italia ai Mondiali può passare il girone?
«Si può fare, la squadra ha tanta qualità, è cresciuta a livello fisico. Il bello è che ora spesso riusciamo a imporre il nostro gioco. Non si va a fare le comparse».
Ha una barbie a sua immagine, fiera o destabilizzata?
«Non mi pareva di avere affinità con le bambole, poi ho capito. C’era una volta la donna barbie e se trasformi lo stereotipo il concetto è forte. La bambola dice tu puoi fare quello che vuoi» 
Ha 30 anni, pensa al dopo calcio?
«Vorrei fare politica sportiva, la dirigente: manca leadership al femminile».