Libero, 7 maggio 2019
Cavallo batte trattore
Lavorano ogni giorno quattro ore di seguito, passate a solcare la terra dei campi non son poche, ma la mattina o il pomeriggio sono liberi, e a loro disposizione hanno un ortopedico e… un veterinario. Sono i quattro imponenti cavalli utilizzati dall’azienda agricola Bellavista, che prende il nome dalla collina di Erbusco su cui si trova, un metodo “nobile” per arare le vigne storiche che si stendono in dieci ettari di terreno. I cavalli sono specialisti in “tiro pesante”: un Bretone, un Ungherese e due Percheron: razze francesi perché quelle italiane non sono geneticamente selezionate per il mestiere del traino agricolo. I transalpini se la tirano anche così: nella nostra tradizione, si fanno trainare gli aratri a banali vacche e buoi. Qui, invece, tra i 207 ettari di vigne in Franciacorta, Bellavista ha cominciato una sperimentazione: due aratori, Ilario Bortuzzo e Luca Barani – i quali lavorano per le otto ore canoniche e quindi se la passano peggio dei cavalli – lavorano i filari con tecniche antiche, con un aratro a mano al posto dei cingolati con gomme. È un nuovo concetto di gestione biodinamiche della vigna: niente più petrolio per far muovere i macchinari, ma la forza muscolare dei cavalli, che con i loro dieci quintali di peso non solo hanno la struttura fisica adatta al lavoro, ma operano di sopra e di sotto: calpestando il terreno con i larghi zoccoli, infatti, favoriscono lo scambio organico e la circolazione dell’ossigeno negli strati superficiali del terreno. Smottano la terra scavata dall’aratro e la rendono più fertile. Le ruote dei carri, al contrario, la compatterebbero, rendendo più difficile il drenaggio delle acque piovane.
LA STORIA
L’azienda Bellavista è nata nel 1977. «In questi quarant’anni il lavoro è cambiato, soprattutto per quanto riguarda il marketing», racconta Vittorio Moretti, il patron del gruppo Terra Moretti, ormai quarta realtà vitivinicola italiana. Moretti non si accontenta di produrre vini di pregio (oltre che nel Bresciano, si è allargato anche in Sardegna, aggiungendo 756 ettari di vite ai 328 che già possedeva in Franciacorta e Toscana), ma da piccolo imprenditore edile qual era, ora costruisce centri commerciali e ha pure mani nell’hotellerie di lusso, gestendo l’Albereta, che fin dal 1993 era stata la “casa” di Gualtiero Marchesi. «Però», aggiunge, «noi abbiamo sempre adottato la tecnologia quando poteva migliorare il lavoro dell’uomo mantenendo alta, se non superiore, la qualità: la tecnologia che scegliamo è quella che permette all’uomo di realizzarsi di più, applicando meglio ingegno e forza fisica. Ho sempre pensato che il lavoro che dà soddisfazione è quello che unisce cervello e mani: nel mondo del vino questi due ambiti sono in equilibrio, e l’uomo vive meglio». Viene da credergli: Moretti, infatti, il 28 aprile scorso ha compiuto 78 anni (anche se lui dice «di averne non più di cinque»), lavora affiancato dalle tre figlie (Francesca è al timone del segmento vini, Valentina si occupa del settore dell’edilizia. Carmen dell’hotellerie), ma l’idea di “assumere” cavalli da tiro è roba sua. Svolta ecosostenibile, “bio”, diranno i fissati. Ma sono sono arrivati tardi, perché l’odierna attenzione ossessiva dei consumatori per la provenienza e per i metodi di produzione degli alimenti incontra una filosofia connaturata nell’azienda: «Abbiamo sempre usato uve della Franciacorta, solo vendemmia manuale, solo tre tipi di uva, solo affinamento in bottiglia con lieviti selezionati», spiega Moretti. Come si arriva così pieni di idee a 78 anni? Senza avere interessi sportivi, confessa Moretti, e viene in mente subito l’anziano Winston Churchill: quando gli chiesero quale fosse il segreto della sua vitalità in tarda età, «la palestra», rispose. E aggiunse: «Non ne ho mai fatta». E anche tenendosi alla larga dagli eventi mondani. Prima la famiglia: una sola donna, sua moglie Mariella, da sessant’anni; poi il lavoro. Quando gli si chiede dei suoi prodotti che vengono esportati, il presidente insiste sull’italianità: «Il prodotto italiano deve qualificarsi come eccellenza mondiale. Abbiamo il clima, abbiamo la gente che sa lavorare bene e con passione, abbiamo una storia: tutto questo ci obbliga all’eccellenza e a presentarci nel mondo come il mondo si aspetta che noi siamo, cioè ingegnosi, creativi, ospitali».
MARCHESI E BRERA
Caratteristiche anche di Marchesi: «Gualtiero Marchesi non ha paragoni nel mondo. Ha creato una scuola di pensiero. Tutti si sono ispirati a lui. In lui c’era tutto ciò che è caratteristico del genio: disciplina e creatività, tecnica e arte, curiosità e libertà di pensiero. Me lo fece conoscere Gianni Brera, che aveva una sapienza infinita e che amava mangiare e bere bene», continua Moretti, «Gianni è stato un grande amico, l’ho conosciuto a caccia, mi suggerì di creare un Premio per fare conoscere la Franciacorta alla stampa. Per vent’anni abbiamo portato in questi luoghi giornalisti di tutto il mondo. A Brera dobbiamo tutti qualcosa, qui in Franciacorta: noi gli abbiamo dedicato una vigna». Come un mecenate del Cinquecento, coltiva il futuro e custodisce il passato: ha deciso di prendersi cura, insieme con Mariella, del Convento dell’Annunciata, sul Monte Orfano, a Rovato. È una struttura del 1449, «Un luogo storico per la Franciacorta», racconta, «I frati non riuscivano ad andare avanti e non avrebbero potuto mantenere questo luogo, unico dal punto di vista del paesaggio, della natura, dell’arte e della storia, ma anche dello spirito. Mi sono preso la responsabilità di tutelarlo per i prossimi vent’anni. I frati mi hanno chiesto di mantenere questo patrimonio, ma anche lo spirito di accoglienza e di cultura che lo ha da sempre caratterizzato».