Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2019
Fare il Parmigiano in Wisconsin
«America Dairyland’s». Anche le targhe delle auto in Wisconsin ricordano che questa per gli americani è la terra dei formaggi. Stato del Midwest, poco più di cinque milioni di abitanti, adagiato nella regione dei grandi laghi, tra Chicago e Minneapolis, con un clima umido e stagioni estive non troppo calde, ideali per la coltivazione del foraggio e per l’allevamento delle mucche da latte.
Nella bella stagione, come succede in Italia con le Cantine aperte per il vino, qui arrivano i turisti con i viaggi organizzati per visitare le fattorie e i caseifici. Ogni cinque abitanti in Wisconsin c’è una mucca da latte (sono 1.274.000 per la precisione, dagli ultimi dati dell’associazione dei Dairy Farmer’s). Mucche che producono fiumi di latte. Nel 2018 le mucche del Wisconsin hanno prodotto circa 14 miliardi di litri di latte. Il 90% del latte finisce nella produzione di formaggi, oltre 600 varietà. Per un giro d’affari che l’Università del Wisconsin nel 2016 stimava a 43,3 miliardi di dollari. Se fosse uno Stato sovrano il Wisconsin sarebbe al quarto posto nel mondo per la quantità di formaggi prodotti, dietro Stati Uniti, Francia, Germania e prima dell’Italia.
Tra i formaggi c’è di tutto. Già il nome delle cittadine accanto a Green Bay dove sono situate gran parte delle aziende agricole e dei caseifici fa capire che molti di questi produttori arrivano dall’Europa: Luxemburg, Denmark, Bellevue, Brussels. L’America è un Paese costruito dagli immigrati. E così è anche per i suoi tanti formaggi: non esiste veramente un formaggio solo americano. Il cheddar, che è una delle decantate specialità locali, lo hanno portato qui i coloni inglesi e gli irlandesi. Il gouda gli olandesi. Il brie i francesi. La feta i greci. La mozzarella e il parmesan gli italiani.
I cheese maker che producono formaggi italiani negli Stati Uniti, ma anche in Argentina, altro Paese a forte presenza di immigrati, sono proprio gli italiani. Gente che produceva formaggio in Italia e che nelle terre di emigrazione ha continuato a fare ciò che sapeva fare. Non tutti i formaggi italiani prodotti negli Stati Uniti sono di qualità. Ma ci sono le eccezioni.
Errico Auricchio si è trasferito con la famiglia in Wisconsin nel 1979 da Cremona. È uno dei dieci nipoti della famiglia omonima che dalla seconda metà dell’Ottocento produce provolone, prima in Campania e poi a Cremona. Un caso quello degli Auricchio di un’azienda di famiglia e di una produzione di eccellenza, tanto che il cognome è arrivato a identificare un tipo di formaggio. «Avevamo paura dei rapimenti in quel periodo. Abbiamo pensato di aprire una filiale qui, così se le cose dovessero andare male, si diceva, ci trasferiamo tutti». Gli inizi non sono stati facili. «Iniziammo subito a produrre provolone in un caseificio affittato. Producevamo un provolone con il marchio Auricchio Cheese, controllati dalla capogruppo italiana, ma il solo provolone non bastava a mantenere la società. Il primo anno perdemmo 320mila dollari, il secondo 112mila. Dopo due anni cominciammo a produrre altri formaggi. Il terzo anno cominciammo a fare profitto. Ricordo ancora il primo utile: 12mila dollari. Da allora siamo sempre stati in positivo e abbiamo continuato a crescere».
Nel 1993 Errico decide di vendere la sua quota in Auricchio e fonda la sua società BelGioioso, di cui oggi è il presidente, rilevando il marchio da Granarolo. Oggi produce formaggi classici italiani negli Stati Uniti, in 27 varietà, con ottocento dipendenti in otto stabilimenti in Wisconsin, più un nono stabilimento nello stato di New York. I prodotti principali per fatturato sono la mozzarella, il parmesan e il provolone. Ma nel catalogo dell’azienda ci sono anche la burrata, la stracciatella, un gorgonzola, una crescenza, una fontina, il mascarpone, la ricotta e così via.
BelGioioso non è tra i più grandi produttori di formaggio italiano in Nord America. Il primo è Leprino, immigrato siciliano, che in Colorado ha un’azienda specializzata nella produzione di mozzarella con 4mila dipendenti e che rifornisce con il suo formaggio le grandi catene americane come Domino’s Pizza e Pizza Hut. Altro grande produttore è la famiglia Saputo a Montreal, società quotata – il figlio del fondatore Joey è l’attuale proprietario del Bologna F.C. – che oltre al Canada ha una forte presenza in Australia dove ha acquisito grandi marchi di formaggi.
BelGioioso punta tutto sulla qualità e cerca di differenziarsi in questo dagli altri produttori americani più grandi. «La qualità costa e non tutti la fanno. Negli Usa il 90% del gradimento di un prodotto lo fa il prezzo. Molti puntano sul volume. Noi cerchiamo di fare il prodotto come deve essere fatto».
Molti produttori italiani lamentano il fatto che qui vengono “copiati” i formaggi italiani, i cosiddetti Italian Sounding. Ma la battaglia dei produttori italiani è difficile da sostenere negli Stati Uniti dove è riconosciuto il trademark e le Dop, i marchi a denominazione di origine protetta dell’Ue non hanno valore. «Per poter usare un marchio negli Stati Uniti devi soddisfare due condizioni: devo essere solo io a usare quel marchio e il marchio non deve confondersi con altri prodotti», racconta Errico Auricchio, che è anche il presidente del Consortium for common food names, (Ccfn), l’associazione internazionale che si batte per il diritto a utilizzare i nomi comuni dei prodotti alimentari.
«Credo – conclude l’imprenditore – che ormai si produca più parmesan all’estero che in Italia. Se pure i produttori di Parmigiano Reggiano volessero, con il latte che fanno a Parma e Reggio Emilia non riuscirebbero a soddisfare tutta la domanda di prodotto che c’è nel mondo. Importante è non fare confusione con l’origine. La Mozzarella di Bufala Campana è quella che si produce in Campania e nessuno ha il diritto di produrla se non è lì, ma la mozzarella è un tipo di formaggio. La difficoltà è sui nomi comuni. Un altro fattore è il prezzo: per 450 grammi di Parmigiano negli Usa ci vogliono 15 dollari, contro la metà del parmesan americano. Ci sono tanti consumatori che preferiscono il Parmigiano Reggiano, altri che guardano il prezzo e comprano il nostro. Il mercato americano è molto grande e c’è spazio per tutti».