Il Sole 24 Ore, 7 maggio 2019
La Cina fornisce più liquidità alle banche
La tattica del ricatto a oltranza di stampo trumpiano è di quelle alle quali la nomenklatura cinese è dichiaratamente allergica. Davanti al capitombolo delle borse cinesi di ieri, tuttavia, la questione va ben oltre l’etichetta o la guerra dei nervi. Nella sostanza, l’escalation della tensione nella guerra commerciale Usa-Cina è un problema concreto già ben presente, perfino stimabile negli effetti sull’economia, tanto è vero che ieri la Banca centrale cinese ha tempestivamente tagliato i ratios di alcune banche di piccolo-medio calibro da attuare in tre fasi (15 maggio, 17 giugno, 15 luglio) per un valore di 41 miliardi di dollari.
Un provvedimento che segue la scia delle altre mosse di Pechino – taglio delle tasse da 300 miliardi di dollari sull’Iva, esortazione alle banche di aprire i cordoni della borsa alle piccole e medie imprese, riordino delle norme sull’e-commerce per recuperare gettito e favorire i consumi in maniera corretta – che vanno già nella direzione di controbilanciare gli effetti dell’arrivo di nuovi e più pesanti dazi.
I rischi da contraccolpo, d’altronde, esistono sia per la Cina, sia per l’economia globale. Nel caso di una vera guerra commerciale dominerebbero le esternalità negative con una minor crescita del Pil circa mezzo punto percentuale in due anni. Lo si legge nel Position Paper di Confindustria sulla Cina, diffuso in aprile, secondo il quale una guerra diretta tra Cina e Usa potrebbe, nel breve, salvare l’Europa e l’Italia, ma nel lungo termine non ci sarebbe salvezza per nessuno.
«I dati relativi al primo semestre 2018 pubblicati dalle Dogane cinesi mostrano come l’interscambio con gli Stati Uniti sia gia entrato in una fase di forte rallentamento: le esportazioni cinesi – si legge nel Report – sono infatti cresciute del 5,4% contro il 19,3% dello stesso periodo del 2017, con un divario ancora più accentuato nel mese di giugno, quando l’export di Pechino è cresciuto del 3,8% contro il 27,6% registrato a giugno 2017».
In buona sostanza l’economia globale non ha ancora pienamente recepito l’effetto delle misure protezionistiche già approvate dall’amministrazione americana e quest’anno, nel 2019, il commercio internazionale si troverà ad affrontare i rischi maggiori.
Che succede se la situazione resta com’è? Secondo l’Ocse si prevede un impatto al 2021 sul Pil di USA e Cina rispettivamente dello -0,2% e -0,3 per cento. E, cosa, invece, se i dazi – come minacciato da Trump dovessero aumentare? L’impatto potrebbe giungere all’1% del Pil Usa e all’1,3% di quello cinese nel caso in cui le tensioni sfociassero in un irrigidimento delle condizioni di finanziamento all’economia reale.
Ben più gravi sarebbero gli effetti sul commercio globale, che, nella peggiore delle ipotesi, potrebbe contrarsi addirittura dell’1,9%, sostanzialmente dimezzando le sue performance attuali: la Cina non affonderebbe da sola, trascinando nel baratro il resto del mondo.